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Lunedì 6 novembre 2017

Avvocati: quando sono offensive le espressioni usate negli atti?

a cura di: Studio Legale Mancusi



In punto di diritto nel conflitto tra diritto a svolgere la difesa giudiziale nel modo più largo e insindacabile e il diritto della controparte al decoro e all'onore prevale il primo, salvo l'ipotesi in cui le espressioni offensive siano gratuite, ossia non abbiano relazione con l'esercizio del diritto di difesa e siano oggettivamente ingiuriose; pertanto non commette illecito disciplinare l'avvocato che, in un atto del giudizio, usi espressioni forti per effettuare valutazioni generali attinenti alla materia del contendere e a scopo difensivo.

È quanto ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza del 9 settembre 2017, n. 120, mediante la quale ha accolto il ricorso e annullato quanto già deciso, nel caso de quo, dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Modena.

La vicenda

La pronuncia ha avuto origine dal fatto che nel 2013, i sig.ri TIZIO e CAIO presentavano al C.O.A. di Modena un esposto con cui veniva segnalato il comportamento dell'Avv. SEMPRONIO [RICORRENTE] che, nel corso di un procedimento civile quale difensore del sig. [OMISSIS], utilizzava in comparsa conclusionale le seguenti espressioni sconvenienti ed offensive: " ...la pretesa assurda dal punto di vista logico, può trovare una spiegazione solo in chiave psicoanalitica, considerato che essa dimostra che in realtà questi signori pensavano di impossessarsi direttamente della somma mutuata (ed esempio come è loro costume, tramite la percezione di compensi spropositati)".

Veniva, pertanto, avviato un procedimento disciplinare a carico dell'Avv. SEMPRONIO [RICORRENTE] che veniva incolpato di aver violato l'art 5 del CDF rubricato "doveri di dignità, probità e decoro" e l'art. 20 del CDF rubricato "divieto di espressioni sconvenienti ed offensive".

L'Avv. SEMPRONIO [RICORRENTE], contestava la sussistenza di responsabilità deontologica, precisando di essersi limitato a svolgere il dovere di difesa nei confronti del proprio assistito.

In particolare, nel riferire lo svolgimento dei fatti, chiariva che le cause tra il proprio assistito e gli esponenti erano molteplici e riguardavano la denuncia del sig. [OMISSIS], socio di minoranza della medesima società [OMISSIS] s.r.l. per un perdurante abuso di potere degli esponenti, soci di maggioranza della medesima società, per una serie di comportamenti, quali: la determinazione e percezione di compensi sproporzionati quali amministratori della società, rispetto alla situazione patrimoniale economica ed effettiva; la non corretta redazione dei bilanci d'esercizio.

All'esito dell'istruttoria e dell'assunzione delle prove testimoniali il COA di Modena riteneva l'incolpato responsabile della violazione deontologica contestata, precisando che il professionista può esporre con vigore le proprie tesi difensive, nell'interesse del proprio assistito, senza però fare ricorso ad un linguaggio atto ad offendere e comunque non consono alla correttezza ed al decoro professionale, dovendosi rammentare il limite dell'intangibilità della persona dell'avversario.

Il C.O.A. di Modena riteneva, quindi, tale limite superato, poiché le espressioni utilizzate:

a) erano atte ad esprimere un giudizio di disvalore personale e denigratorio, con il richiamo alla necessità dell'analisi psicologica dell'altrui comportamento; b) contenevano una palese accusa di volersi illegittimamente appropriare di somme, ed anzi di averlo già fatto, utilizzando l'artifizio dell'autoliquidazione di compensi sproporzionati; c) contenevano una grave accusa lesiva del prestigio e della moralità degli avversari, priva di riscontro in provvedimenti giudiziari precedenti.

Pertanto, il C.O.A. territoriale dopo aver rammentato che la ricchezza terminologica della lingua italiana avrebbe certamente consentito all'incolpato di rappresentare altrimenti le proprie ragioni al Giudice, irrogava all'Avv. SEMPRONIO la sanzione disciplinare dell'avvertimento attesa la mancanza di precedenti disciplinari.

L'incolpato, con ricorso tempestivamente depositato, chiede a questo Consiglio Nazionale Forense di annullare la decisione gravata affidando le proprie doglianze ai seguenti motivi.

I motivi di ricorso

L'Avv. SEMPRONIO [RICORRENTE] censura la decisione del C.O.A. di Modena adducendo l'assoluta insussistenza degli addebiti oggetto del provvedimento disciplinare - Violazione degli artt. 5 e20 CDF nonché degli artt. 24 e 111 Cost., 6 e 13 Conv. EDU, 47 Carta diritti UE
In particolare, il motivo si cui sopra veniva ampiamente articolato sulla scorta di diverse precisazioni afferenti il merito della vicenda che possono essere così riassunte:

a) Lesione della dignità professionale e delle prerogative difensive dell'avvocato ed illegittimità della valutazione del merito delle questioni di merito relative alla vicenda giudiziaria da parte del C.O.A. territorialmente competente; b) Assenza di responsabilità deontologica; c) Contraddittorietà della decisione che sanziona illegittimamente l'esercizio di attività difensiva tout court.

A fondamento dei propri assunti l'Avv. SEMPRONIO [RICORRENTE] chiarisce che gli esponenti non hanno richiesto la cancellazione della frase ritenuta offensiva, né il risarcimento del preteso danno come previsto dall'art. 89 c.p.c. a riprova della consapevolezza che il giudice non avrebbe disposto la cancellazione delle frasi ritenute offensive.
Di talché, il C.O.A. di Modena sarebbe incorso in un travisamento dei fatti per l'erronea valutazione delle circostanze oggetto di disamina disciplinare che avrebbero determinato, consequenzialmente, il difetto della motivazione della decisione gravata.
Invero, l'incolpato ritiene le espressioni censurate "strettamente funzionali alla materia del contendere" poiché utilizzate per sottolineare l'infondatezza e l'illegittimità della pretesa riconvenzionale dei ricorrenti, che avanzavano personalmente richiesta di risarcimento del danno, subito dalla società, da liquidarsi tuttavia a loro favore.

La decisione

Il Consiglio Nazionale Forense, mediante la citata sentenza n. 120/2017 ha ritenuto i motivi fondati ed ha accolto il ricorso.
A dire del CNF la condotta tenuta dall'incolpato, risultante dall'effettiva convergenza tra le espressioni (seppur molto vigorose) rese in atti e l'oggetto del giudizio civile nelle quali sono state rilasciate, non appare integrare gli illeciti disciplinari di cui al capo di incolpazione.

E' noto, nella giurisprudenza disciplinare, che "Nel conflitto tra diritto a svolgere la difesa giudiziale nel modo più largo e insindacabile e il diritto della controparte al decoro e all'onore prevale il primo salvo l'ipotesi in cui le espressioni offensive siano gratuite, ossia non abbiano relazione con l'esercizio del diritto di difesa e siano oggettivamente ingiuriose; pertanto non commette illecito disciplinare l'avvocato che, in un atto del giudizio, usi espressioni forti per effettuare valutazioni generali attinenti alla materia del contendere e a scopo difensivo". (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 6 giugno 2015, n. 74 ex multis 64/15; 61/15; 54/15; 24/15; 204/14).

Dalla documentazione in atti e dagli argomenti esposti con lo scrutinato mezzo introduttivo, emerge che effettivamente gli esponenti hanno percepito compensi sproporzionati quali amministratori della società rispetto alla situazione economica della stessa, nonché di essere stati assunti nella stessa società percependo un ulteriore compenso a fronte della medesima attività svolta.

Tali evenienze, come detto, seppur espresse secondo canoni espositivi poco opportuni risultano, però, intimamente connesse all'oggetto di causa ove gli esponenti proponevano addirittura in proprio domanda riconvenzionale per asseriti danni causati alla società.

In conclusione, deve riconoscersi l'attinenza delle frasi censurate con le esigenze difensive prospettate dal ricorrente tenuto conto, quindi, che la continenza nella forma espositiva risulta integrata per effetto della mancata adozione di una terminologia obiettivamente offensiva.

Da quanto precede la decisione del C.O.A. di Modena applicativa della sanzione dell'avvertimento deve essere annullata.

Link alla sentenza
Ecco il link a: Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza del 9 settembre 2017, n. 120.

Avv. Amilcare Mancusi

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