La definizione agevolata degli oneri tributari operata attraverso legge di condono, risulta del tutto particolare e atipica in quanto, come evidenziato da autorevole dottrina1, comporta problemi di legittimità costituzionale poiché, operando nel passato, determina alterazione di precedenti equilibri creati da norme tributarie sostanziali che restano immutate ed introduce criteri arbitrari ed astratti che non trovano fondamento costituzionale nell'art. 53 Cost.
A ciò si aggiunge, nel caso dell'IVA, l'incompatibilità del condono con i principi di diritto comunitario in quanto, attraverso la mancata "esatta riscossione" del tributo ed una rinuncia generale ed indiscriminata all'accertamento delle operazioni imponibili, si possono determinare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti in ambito comunitario e si altera la neutralità fiscale2.
La Corte di Giustizia della Comunità Europea ha infatti recentemente affermato, nella sentenza Commissione CE/Repubblica italiana del 17 luglio 2008, causa C-132/063, con riguardo alla verifica di compatibilità degli artt. 8 e 9 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, con gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva IVA, che, in conformità al principio di neutralità, gli operatori economici che effettuano le stesse operazioni non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell'IVA.
Viene inoltre precisato che coloro che non abbiano rispettato gli obblighi in materia di IVA negli esercizi di imposta compresi tra il 1998 e il 2001 possono, grazie al condono, sottrarsi definitivamente agli obblighi ed alle sanzioni previsti attraverso il versamento di somme forfetarie di un importo non proporzionale al fatturato realizzato4.
È evidente il richiamo, da parte della Corte di Giustizia comunitaria, al principio di proporzionalità, che risulta molto simile al principio di ragionevolezza, e che è divenuto uno dei parametri fondamentali in fase di decisione delle controversie in materia tributaria.
Assume inoltre particolare importanza, nella sentenza della Corte, la lotta alle frodi ed agli abusi in materia di IVA, che è tra gli obiettivi primari comunitari e che è stata spesso considerata dalla stessa giurisprudenza5. La normativa sul condono prevista dalla citata legge n. 289/2002, secondo i giudici comunitari, invece di combattere tali fenomeni, li favorirebbe.
Tale decisione appare sicuramente innovativa in quanto, oltre a sancire e rafforzare l'irragionevolezza del condono a livello non solo costituzionale, ma anche comunitario, pone in risalto la peculiarità dell'IVA, la cui disciplina risulta sempre meno espressione della sovranità fiscale nazionale al punto tale che, interventi come quello operato dalla legge n. 289/2002, non devono generare indirettamente un diverso trattamento non solo tra contribuenti di uno stesso Stato, ma anche tra quelli di diversi Paesi europei. Ciò assume un connotato diverso rispetto ai trattamenti discriminatori tra residenti e non residenti censurati della Corte comunitaria attraverso i suoi frequenti interventi. La disparità di trattamento generata dal condono IVA ha infatti portata molto più ampia, in quanto gli effetti di tale provvedimento si ripercuotono irragionevolmente sulla posizione di quanti (contribuenti comunitari) non hanno beneficiato della rinunzia, discriminandoli e pregiudicando la loro buona fede oggettiva.
Inoltre, particolare rilevanza assumono, dalla lettura di tale decisione, le norme procedimentali in materia di accertamento e riscossione IVA che, pur non essendo armonizzate in ambito comunitario6, non possono determinare una rinuncia generale e indiscriminata ad ogni attività di verifica del tributo, mettendo in discussione la responsabilità che grava su ogni Stato membro di garantire l'esatta riscossione dell'imposta.
La cessazione di efficacia del condono attraverso l'incompatibilità comunitaria sancita dalla Corte di Giustizia fa sorgere senza dubbio problematiche complesse in materia di tutela effettiva dei diritti del contribuente e di eventuali azioni di recupero da parte dell'Amministrazione finanziaria.
Si è ritenuto, in proposito, che non si tratti di un tributo versato indebitamente per contrasto con il diritto comunitario per il quale valgono le normali disposizioni in materia di rimborso, ma di una somma forfetaria simile ad un corrispettivo dell'immunità7 che potrebbe far scattare l'esercizio del diritto al rimborso di quanto pagato dai contribuenti entro il termine decennale di prescrizione dalla data della sentenza. Non pochi dubbi genera tale interessante orientamento, in quanto il condono, pur non essendo basato sui principi che regolano la materia tributaria, incide in ogni caso su norme tributarie riducendo forfetariamente il loro ammontare. L'effetto particolare che scaturisce dal condono e dalla sua natura derogatoria8 consiste nel determinare l'estinzione del diritto all'imposta che opererebbe, in casi come quello in esame già disciplinati da norme tributarie sostanziali e procedimentali che restano immutate, eliminandone in parte le conseguenze giuridiche.
La disapplicazione di una disposizione così particolare per incompatibilità con norme della sesta direttiva comunitaria e la decadenza dai benefici del condono che, si ricorda, ai sensi degli artt. 8 e 9 della legge n. 289/2002, garantivano ai contribuenti l'esenzione da ogni verifica diversa da quella riguardante la dichiarazione integrativa, l'estinzione delle sanzioni amministrative e l'esclusione della punibilità per alcuni reati tributari nei confronti del contribuente, potrebbe far riassumere (trattandosi di rapporti pendenti all'epoca dell'entrata in vigore della stessa legge n. 289/2002) l'efficacia della norma procedimentale (art. 57 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), che fissa un termine di decadenza per l'accertamento IVA di quattro anni dalla presentazione della dichiarazione.
In realtà tale ipotesi - piuttosto remota - che presuppone un congelamento dei termini di decadenza dell'accertamento attraverso il condono, sarebbe una logica conseguenza dell'efficacia ex tunc delle decisioni della Corte di Giustizia della Comunità Europea, ma che tuttavia è normalmente limitata dalla stessa giurisprudenza in casi di gravi conseguenze finanziarie9. Nel caso del condono tale interpretazione potrebbe essere giustificata dall'esigenza del nostro governo e dell'Unione Europea di recuperare l'IVA che era dovuta e di eliminare effettivamente le gravi distorsioni al corretto funzionamento del sistema dell'IVA che il condono ha determinato.
Il più forte ostacolo alla retroattività della sentenza che può rappresentare una garanzia per i contribuenti ingannati da una sanatoria considerata successivamente illegittima, ed alla conseguente possibilità di recupero da parte dell'Amministrazione finanziaria di somme riguardati un tributo non condonabile, è rappresentato dalla tutela della buona fede oggettiva e dell'affidamento che è un principio generalmente considerato dalla stessa giurisprudenza prevalente della Corte di Giustizia nel caso di decisioni sfavorevoli al contribuente, e che condiziona e vincola il legislatore e l'Amministrazione finanziaria nazional10. L'interpretazione più garantista dell'applicazione del principio della tutela dell'affidamento potrebbe indurre a ritenere legittima la richiesta di restituzione delle somme versate forfetariamente da coloro che abbiano aderito al condono, creando un doppio svantaggio economico-finanziario al governo italiano che, per assicurarsi indiscriminatamente un gettito immediato, ha rinunciato definitivamente al potere di verifica e di rettifica di somme più elevate, costituenti in parte entrate proprie del bilancio dell'Unione Europea.
Particolare, infine, è la situazione delle liti pendenti aventi ad oggetto l'irregolarità della domanda di condono ove, non essendosi ancora esaurito il rapporto fisco-contribuente, la sanatoria potrebbe essere considerata non valida, consentendo ai giudici di pronunciarsi sul merito con possibilità da parte dell'Amministrazione finanziaria di recuperare l'IVA evasa.
Prof. Fabrizio Amatucci
Professore Ordinario di Diritto tributario
Seconda Università degli studi di Napoli
Note:
1. Cfr. E. DE MITA, Il condono fiscale tra genesi politica e limiti costituzionali, in Riv. sc. giur., Univ. Cattolica, Milano, 2003, 432-433.
2. Nelle conclusioni al caso in esame C-132/06 presentate dall'Avv. Gen. Sharpston il 25.10.2007, ai punti 73 e 74, è affermato che la Commissione UE non si oppone a tutti i condoni in materia di IVA in via assoluta e si precisa che i condoni dovrebbero determinare l'immunità da condanne penali, da ammende e da pagamento di interessi, incoraggiare pagamenti volontari cercando di non arrivare alla situazione estrema di rendere più vantaggioso evadere. Inoltre, sarebbe necessario ricorrere ai condoni una tantum ed accompagnarli da un annuncio di incremento di controlli. Il condono italiano, secondo l'Avvocato Generale, non presenta nessuna di queste caratteristiche.
3. Pubbl. in questo stesso fascicolo, a pagina 1384.
4. In tal senso vedi il punto 42 della citata sentenza, ove si precisa che le somme forfetarie sono sproporzionate rispetto all'importo che il soggetto avrebbe dovuto versare sulla base del volume d'affari risultante dalle operazioni effettuate ma non dichiarate.
5. Cfr. Corte Giust. UE, 21 febbraio 2006, causa C-255/02, in Boll. Trib. On-line, e anche in Riv. dir. trib, 2006, V, 107.
6. Tale armonizzazione risulta tra l'atro dal quattordicesimo considerando della sesta direttiva, laddove è stabilito che gli obblighi dei contribuenti debbono essere, per quanto possibile, armonizzati per assicurare le garanzie necessarie ad una riscossione equivalente dell'imposta in tutti i Paesi membri.
7. Cfr. P. CENTORE, Condono IVA, la chance rimborsi, in Il Sole 24 Ore del 19 luglio 2008.
8. Cfr. G. FALSITTA, I condoni fiscali tra rotture di regole costituzionali e violazioni comunitarie, in il fisco, 2003, 797. L'A. considera tali i condoni fiscali "impuri" o premiali che si risolvono in una manipolazione delle aliquote previste per le imposte regolari da condonare.
9. Cfr. Corte Giust. UE, 13 febbraio 1996, causa C-197/94, in Boll. Trib. On-line, e anche in Foro it., 1998, IV, 484; e Corte Giust. UE, 4 ottobre 2001, causa C-294/99, in Racc. I-6797.
10. Cfr. Corte Giust. UE, 26 aprile 2005, causa C-376/02, in Boll. Trib., 2005, 504, e Corte Giust. UE, 8 giugno 2000, causa C-396/98, in Racc. I-4279.