Tale misura deve essere proporzionata, effettiva e dissuasiva.
La normativa italiana non prevede alcuna misura che limiti la durata massima totale dei contratti o il numero dei loro rinnovi (e nemmeno predispone misure equivalenti): l'unico intervento che merita di essere menzionato in questa sede è il D. Lgs. n. 368/2001 in forza del quale i contratti a tempo determinato di durata superiore ai 36 mesi sono trasformati in contratti a tempo indeterminato, provvedimento che tuttavia non si applica al settore scolastico.
Come sopra accennato, in tali circostanze il rinnovo dovrebbe essere giustificato da una ragione obiettiva, quale la particolare natura delle funzioni, le loro caratteristiche o il perseguimento di una legittima finalità di politica sociale (in ogni caso tali ragioni rappresentano circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività).
Secondo la Corte, la sostituzione temporanea di lavoratori per motivi di politica sociale (congedi per malattia, parentali, per maternità o altri) costituisce una ragione obiettiva che giustifica la durata determinata del contratto.
In forza di quanto sino ad ora affermato, non sussistendo nell'alveo scolastico italiano alcuna misura legislativa diretta a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, la normativa interna in materia merita d'essere censurata.
Ne consegue la necessità di sanzionare il predetto abuso: la Corte ravvisa che la legislazione italiana non prevede alcuna misura diretta a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato nel settore dell'insegnamento, escludendo persino l'eventualità di un risarcimento del danno subito dai lavoratori precari (il fatto che il supplente possa ottenere un contratto a tempo indeterminato, mediante l'immissione a ruolo per l'effetto dell'avanzamento in graduatoria non è sanzione sufficientemente effettiva e dissuasiva ai fini di garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell'accordo quadro).
La Corte sottolinea inoltre che, sebbene il settore dell'insegnamento testimoni un'esigenza particolare di flessibilità (in quanto inerisce ad un diritto costituzionalmente garantito, ossia quello alla ricezione di un'istruzione), lo Stato italiano non può esimersi dall'osservanza dell'obbligo di prevedere una misura adeguata, per sanzionare debitamente il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato.
La normativa esistente, infatti, non prevede criteri obiettivi e trasparenti volti a verificare se il rinnovo risponda ad un'esigenza reale, se sia adeguato a raggiungere l'obiettivo perseguito e se sia necessario a tal fine. Né prevede misure che consentano di evitare siffatto abuso.
Conclusioni
La sentenza della C
orte di Giustizia UE ora presa in esame rappresenta una svolta per il diritto italiano, sanzionando il nostro legislatore per la regolamentazione prevista circa relativa al rinnovo imperituro dei contratti a tempo determinato per i precari della scuola: perché una proroga di detti rapporti contrattuali possa ritenersi lecita, è necessario che essa risponda ad esigenze obiettive e temporanee e non a bisogni che, in realtà, sono permanenti.
Tanto più che il legislatore nazionale ha previsto la conversione automatica dei contratti a tempo determinato reiterati per più di 36 mesi in contratti di lavoro a tempo indeterminato per il pubblico impiego, escludendo, però, da tale disciplina il settore dell'insegnamento.
Forse che i docenti non siano dipendenti pubblici?
Fonti
- Corte di Giustizia Europea, Sez. III, sentenza n. C-22/13 del 26 novembre 2014; Mattiello, "Precari nella scuola: UE condanna l'Italia", articolo su www.altalex.com;
- Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Comunicato Stampa n. 161/14, Lussemburgo 26 novembre 2014, su www.curia.europa.eu.