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Mercoledì 31 maggio 2017

Danno permanente subìto dal professionista: può ottenere il risarcimento del lucro cessante?

a cura di: Studio Legale Mancusi



In punto di diritto il professionista che in conseguenza di un sinistro subisca una menomazione di media entità, che può incidere anche sullo svolgimento dell'attività lavorativa, pur essendo questa una attività intellettuale, deve fornire la prova che la contrazione della capacità di guadagno per ottenere il risarcimento del lucro cessante futuro.

E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con la sentenza del 18 maggio 2017, n. 12467, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso, nel caso de quo, dalla Corte d'appello di Milano.

La vicenda

La pronuncia traeva origine dal fatto che il notaio TIZIO nel 2006 venne coinvolto, quale trasportato sull'auto di CAIO, in un incidente stradale con vettura priva di copertura assicurativa, riportando lesioni alla persona (lo scoppio di una vertebra) con esito permanente.
Conveniva in giudizio il vettore CAIO e la compagnia di assicurazioni di questi, nonché il conducente dell'altra vettura che, perdendo una ruota che andava ad urtare la BMW condotta da CAIO, ne provocava l'uscita di strada, e le Generali Ass.ni quale impresa designata dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada, non essendo la seconda vettura risultata assicurata.
La domanda risarcitoria di TIZIO in primo grado era accolta solo in parte.

Il Tribunale rigettava la domanda volta al risarcimento del danno da lucro cessante connesso alla invalidità temporanea e alla invalidità permanente.

La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza qui impugnata, le riconobbe una ulteriore somma a titolo di risarcimento del lucro cessante per il periodo di invalidità temporanea, confermando il rigetto della domanda in relazione al lucro cessante da invalidità permanente sulla considerazione che si fosse provveduto a personalizzare il danno biologico nella misura massima, tenendo conto della considerazione del c.t.u. relativa al una diminuzione della capacità lavorativa specifica del 20%, rapportata al maggior affaticamento e alla usura lavorativa del notaio.

La Corte d'appello, in particolare, negava il risarcimento del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica escludendo che fosse stata fornita la prova, anche presuntiva, di un pregiudizio economico collegato alle conseguenze permanenti dell'incidente.
TIZIO propone, quindi, ricorso per cassazione sulla base di tre notivi.

I motivi di ricorso

Il ricorrente, con i tre motivi di ricorso, e con la breve premessa che vi ha anteposto, sottolinea come le sia stato negato dai giudici di merito il diritto ad un integrale ristoro del pregiudizio subito, in quanto gli stessi avrebbero sottovalutato, nonostante gli elementi di prova forniti, le conseguenze anche in termini di pregiudizio patrimoniale della lesione dell'integrità fisica riportata, che si traduce, come postumi permanenti ( avendo il notaio riportato la lesione di una vertebra) principalmente in una maggiore faticosità del lavoro, nelle difficoltà di conservare per lungo tempo sia la stazione seduta, che la stazione eretta, nella difficoltà di effettuare spostamenti, ed in una necessità di interruzioni consistenti e del rispetto di tempi più lunghi di recupero fisico rispetto a quelli ordinari di una persona che si trovi nelle stesse condizioni di età e di salute complessiva senza la predetta alterazione fisica.

Il tema evocato è quello dell'apprezzamento del danno permanente riportato da chi eserciti una professione intellettuale, sotto il profilo della riduzione della propria capacità di produrre guadagno, e quindi del verificarsi di un lucro cessante futuro.

Il ricorrente ricostruisce i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia nel modo seguente:

il danno derivante da invalidità permanente che si traduca nella lesione della "cenestesi lavorativa", che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà nello svolgimento dell'attività lavorativa, si risolve innanzitutto in una compromissione biologica dell'individuo e va liquidato come danno alla salute; può essere liquidato anche come danno patrimoniale, qualora si provi che esso abbia comportato anche una comprovata riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, in connessione con l'attività da questi svolta; della riduzione del reddito e della connessione causale tra questa contrazione e la menomazione subita deve essere fornita la prova; l'onere della prova grava sul danneggiato ma la prova della incidenza causale della invalidità sulla diminuzione della capacità di produrre reddito può essere fornita anche a mezzo di presunzioni.

La domanda, che il ricorrente assume che erroneamente non sia stata accolta, concerne invece il danno patrimoniale derivante dalla contrazione della sua capacità lavorativa specifica, e quindi la perdita di guadagno e di incremento delle proprie occasioni lavorative derivante dal fatto che non è più fisicamente in grado di svolgere l'attività professionale come prima, dovendo necessariamente fare della pause più lunghe per recuperare le forze, non potendosi sottoporre a lunghi spostamenti o stare molte ore di seguito in una stessa posizione.



La decisione

La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 12467/2017 ha ritenuto i motivi non fondati ed ha rigettato il ricorso.

Spiega la Suprema Corte che la censura pone motivi di riflessione circa la difficoltà della prova di una connessione causale tra la diminuzione dei guadagni e l'invalidità subita da un professionista, esercente una professione intellettuale, e tuttavia non può essere accolta.
La motivazione della corte d'appello non contraddice, in diritto, i principi di riferimento che sono stati correttamente riportati dalla ricorrente.

Essa si muove, con accertamento in fatto non rinnovabile in questa sede, sul piano della prova: dà atto della presenza di una danno permanente non lieve, stimato dal c.t.u. come avente una incidenza del 20% sulla capacità lavorativa specifica del soggetto, in considerazione del quale, come riconosce la ricorrente, personalizza il danno biologico nel massimo grado consentito, per adeguatamente risarcire la professionista della indubbia perdita di qualità della vita, privata prima che professionale, conseguente ai postumi permanenti dell'incidente.

In presenza di tale menomazione di media entità, che può andare ad incidere anche sullo svolgimento dell'attività lavorativa del soggetto, pur essendo questa una attività intellettuale, e quindi non necessitante in via primaria dell'impiego di forza fisica, la corte d'appello da un lato afferma che la contrazione della capacità di guadagno, pur in presenza del verificarsi di una invalidità permanente di incidenza non trascurabile, non può essere presunta, ma deve essere allegata e provata, e tale affermazione è corretta.

Quindi, non ritiene che questa prova sia stata fornita.

In particolare, non ritiene che dalle dichiarazioni dei redditi del notaio, pur prodotte, si traggano elementi univoci nel senso di un decremento progressivo dei guadagni negli anni successivi all'incidente. Essa vi rinviene piuttosto delle oscillazioni, prive della necessaria univocità e non idonee a fornire la prova di una costante diminuzione della capacità di guadagno da porre in rapporto causale con il verificarsi dell'evento dannoso.

Quindi ritiene in primo luogo che la danneggiata non abbia fornito prova sufficiente del pregiudizio patrimoniale stesso. In più, non ritiene che sia stata fornita una prova adeguata della derivazione causale, secondo la regola della regolarità causale o del più probabile che non, tra la contrazione di reddito verificatasi, sebbene non con la richiesta univocità, negli anni successivi al fatto illecito o la mancanza di incremento e la impossibilità fisica, per il notaio, di mantenere i ritmi lavorativi precedenti, e tanto meno di incrementarli.

Avv. Amilcare Mancusi

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