1. L'altalenante esperienza dell'imposta sul soggiorno turistico in Italia: posso ma non vorrei
La recente introduzione da parte del Comune di Roma di un contributo di soggiorno a decorrere dal 1° gennaio 2011, è l'occasione per svolgere alcune riflessioni ri- spetto alla fiscalità del fenomeno turistico e alla tassazio- ne dei flussi turistici nelle città d'arte e nei territori con spiccato appeal storico, artistico e ambientale.
Il nuovo sistema tributario locale che va delineandosi con l'approvazione del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, sul c.d. "federalismo fiscale municipale" non appare in linea con l'auspicata attribuzione ai Comuni di una reale autonomia tributaria al fine di assicurare la tendenziale coincidenza tra beneficiari della spesa pubblica e coloro che ne sostengono gli oneri: non v'è alcuno spazio per tributi propri comunali, potendosi al più ipotizzare tributi di scopo con un impiego (anche) turistico o strumenti di road pricing e imposte di soggiorno, misure che tendenzialmente disattendono le auspicabili istanze di accountability degli enti locali rispetto alle scelte operate poiché i soggetti passivi (i.e. i turisti) non votano per quelle Amministrazioni cui corrispondono il tributo.
Invero, gli enti territoriali non amano attivare una propria leva fiscale, non solo per l'impopolarità in termini di consenso, ma anche per le difficoltà organizzative connesse alle fasi di controllo e riscossione, preferendo piuttosto gestire risorse devolute.
In quest'ottica, anche in considerazione della tendenziale esportabilità del relativo onere impositivo, l'imposta di soggiorno può costituire per gli enti locali un apprezzabile volano per l'economia dei territori sui quali insiste la pressione dei flussi turistici, ciò al fine di internalizzare le esternalità negative che tale affluenza impone a carico dei pubblici servizi e di compensare i costi aggiuntivi che ne derivano per la collettività.
Naufragata l'ipotesi, accarezzata nel corso dei lavori di approvazione della manovra finanziaria per il 2007, di introdurre un contributo comunale di ingresso e soggiorno destinato a interventi di manutenzione urbana e alla valorizzazione dei centri storici, l'esperienza italiana ha mostrato di non apprezzare appieno l'imposta di soggiorno, salvo la contrastata iniziativa della Regione Sardegna.
Se, da un lato, con la nota sentenza n. 102 depositata il 15 aprile 2008, la Corte Costituzionale ha rigettato la questione in ordine alla legittimità dell'imposta di soggiorno sul rilievo secondo il quale i non residenti non sopportano alcun prelievo il cui gettito sia specificamente diretto alla salvaguardia dell'ambiente ma, anzi, con il loro soggiorno nella Regione, in coincidenza con il periodo di maggior afflusso turistico, determinano un maggior consumo dell'ambiente con conseguenti costi pubblici aggiuntivi; così si giustifica la scelta di far gravare l'imposta, in una misura non sproporzionata, a carico solo dei soggetti non residenti, trattandosi diversamente e in modo adeguato situazioni giuridiche diverse e, quindi, non travalicando i limiti della ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.
D'altro canto, le riserve circa il trattamento discriminatorio a scapito dei non residenti, sui quali soltanto avrebbe gravato il prelievo, ne hanno determinato l'abrogazione da parte dell'art. 2 della legge regionale 14 maggio 2009, n. 1.
È con l'imposta di scopo di cui all'art. 1, commi 145 e segg., della legge 27 dicembre 2006, n. 296, che ai Comuni a vocazione turistica s'è offerta la possibilità di attivare una propria leva fiscale al fine di ricavare risorse da destinare (anche) allo sviluppo del turismo con la realizzazione di opere pubbliche destinate, ad esempio, a implementare la viabilità dei centri urbani o costieri e la costruzione di parcheggi nelle zone di maggior congestione turistica.
Peraltro, tale imposta non risolve in maniera del tutto soddisfacente il problema del finanziamento della spesa pubblica, tanto è vero che che l'art. 6 del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, in materia di federalismo municipale ha previsto i) la possibilità che il gettito dell'imposta finanzi l'intero ammontare (e non più solo il 30 per cento) della spesa dell'opera pubblica da realizzare e ii) l'individuazione di opere pubbliche ulteriori rispetto a quelle già annoverate nell'art. 1, comma 149, della legge n. 296/2006.
Ulteriore spinta propulsiva si rinviene nella previsione contenuta nell'art. 12, lett. d), della legge delega 5 maggio 2009, n. 42, della «disciplina di uno o più tributi propri comunali che valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà di stabilirli e applicarli in riferimento a particolari scopi quali (...) il finanziamento degli oneri derivanti da eventi particolari quali flussi turistici e mobilità urbana».
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