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Mercoledì 2 dicembre 2015

Il mobbing accertato nel merito è insindacabile in sede di legittimità

a cura di: Studio Legale Mancusi



Non è possibile, in sede di legittimità, operare una diversa valutazione relativa al carattere mobbizzante del comportamento tenuto dal datore di lavoro ed agli effetti dannosi prodotti sul lavoratore, una volta accertata la sussistenza dei fatti astrattamente idonei a tale configurazione. E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza del 09 luglio 2015, n. 14301, mediante la quale ha rigettato il ricorso della Società datrice di lavoro e confermato quanto già statuito dalla Corte di Appello di Brescia, con sentenza 3 marzo 2012, n. 93.

In tema di mobbing, ha precisato la Corte di Cassazione, «una volta accertata la sussistenza dei fatti astrattamente idonei alla sua configurazione, non è poi possibile in sede di legittimità operare una diversa valutazione relativa al carattere mobbizzante del comportamento datoriale ed agli effetti dannosi prodotti sul lavoratore».

Nel caso di specie, rigettando il ricorso della società datrice di lavoro, il giudice di legittimità ha ritenuto non censurabile la pronuncia impugnata con la quale la corte del merito, oltre a ritenere illegittimo il licenziamento irrogato ai danni di un dirigente, aveva anche liquidato in favore di quest'ultimo l'importo di quarantamila euro a titolo di mobbing. La condotta mobbizzante attuata dal datore di lavoro era consistita in comportamenti atti a svilire il ruolo aziendale del dirigente, quale direttore amministrativo della società ricorrente, ad iniziare dallo scavalcamento di quest'ultimo nella gestione dell'assunzione del nuovo personale.

A proposito di condotta mobbizzante che si concreta in una emarginazione del lavoratore recentemente abbiamo pubblicato: «Emarginazione del lavoratore: doppia condanna, mobbing e abuso d'ufficio» a commento, breve, di una recentissima pronuncia,  Corte di Cassazione, Sezione VI, con la sentenza del 7 ottobre 2015, n. 40320 che vi invito a leggere per la valutazione di ulteriori aspetti del fenomeno.

Tornando al caso in esame, la Corte di cassazione ha fatto rilevare come il giudice d'appello, ha descritto dettagliatamente gli episodi che hanno concretizzato il comportamento mobbizzante ed il conseguente danno per il lavoratore, quali, ad esempio, «i numerosi addebiti rivelatisi infondati, nonché gli scambi di e-mail con gli impiegati da ritenersi travalicanti il semplice dissidio o la semplice polemica. Tali episodi, a giudizio della Corte d'appello, insindacabile in questa sede, comprovano una volontà persecutoria generatrice di ansia e di malessere nel lavoratore che concretizza la ritenuta condotta mobbizzante».
Avv. Amilcare Mancusi

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