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Giovedì 9 maggio 2013

L'autotutela: l'istituto e la sua applicazione in sede di mediazione tributaria

a cura di: Dr. Massimo Pipino


Nel caso in cui l'amministrazione fiscale si renda conto di avere commesso nel corso del suo operato un errore,
danneggiando in modo ingiusto un contribuente, le corre l'obbligo (e non la facoltà) di provvedere a porvi rimedio annullando in sede di esercizio del proprio potere di autotutela tutto il procedimento che sino ad allora si è formato senza la necessità di un intervento da parte del giudice (l'analisi del concetto di autotutela in materia tributaria si fonda sull'analisi del dettato costituzionale. Rilevano, in particolare, gli articoli 23 e 53 secondo i quali, rispettivamente, "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge" e "tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva". Queste due disposizioni sanciscono, da una parte, il diritto del fisco ad esigere il tributo e, dall'altra parte, l'obbligo del contribuente a corrispondere lo stesso solo nei casi e nelle misure previste dalla legge, unica legittimata a fissare i criteri di determinazione della capacità contributiva. L'Amministrazione finanziaria dovrà quindi evitare di emanare atti illegittimi o, in caso di adozione, provvedere alla loro eliminazione esercitando il potere di autotutela, il cui utilizzo fa sì che il soggetto impositore desista dal richiedere una prestazione infondata, nel rispetto del principio posto dall'articolo 97 della Costituzione - vedi nota n. 1) La mera discrezionalità non è ammessa poichè "essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell'arbitrio, in palese contrasto con l'imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre debbono informare l'attività dei funzionari pubblici" (in questo senso si è, per esempio, ultimamente espressa la Suprema Corte di Cassazione, Sezione III, con la Sentenza n. 6238, del 20 aprile 2012). Ove si realizzi che l'atto è viziato da elementi di illegittimità o è infondato, l'Ufficio ha il dovere di annullarlo immediatamente in autotutela (vedi nota n. 2) senza attendere che il contribuente provveda di propria iniziativa ad avanzare un'istanza di annullamento e sempre che non si sia già formato un giudicato relativamente al rapporto tributario che è oggetto di controversia. Se la pretesa dell'ufficio è infondata, in tutto o in parte, deve essere annullata o ridotta. Alla correzione dell'errore commesso dall'Amministrazione consegue l'obbligo di procedere alla restituzione al contribuente di tutte le somme che siano state eventualmente riscosse. L'annullamento dell'atto che è stato riconosciuto come viziato da illegittimità può essere effettuato anche se l'atto è pendente in giudizio, se è divenuto definitivo in conseguenza del decorso dei termini per il ricorso e se il contribuente ha presentato un ricorso che è stato respinto per motivi di carattere formale (inammissibilità, improcedibilità, irricevibilità) con sentenza passata in giudicato. L'annullamento in autotutela dell'atto illegittimo o infondato è invece escluso in presenza di una sentenza che sia passata in giudicato in modo favorevole all'Ufficio dopo una decisione sul merito del rapporto tributario, di conseguenza, se sulla questione pendente si è formato un giudicato sostanziale (se, cioè, il contribuente ha impugnato l'atto e i giudici tributari, con decisione non più revocabile, hanno dato ragione all'Amministrazione), l'annullamento sarà ancora possibile soltanto per motivi di illegittimità del tutto diversi da quelli esaminati e respinti dai giudici.
L'annullamento dell'atto riconosciuto illegittimo comporta che automaticamente siano annullati anche degli atti ad esso consequenziali (ad esempio, al ritiro di un avviso di accertamento infondato consegue l'annullamento della conseguente iscrizione a ruolo e delle relative cartelle di pagamento) nonché l'obbligo di restituzione delle somme già riscosse sulla base degli atti per i quali è intervenuto l'annullamento. Nel caso in cui l'atto non venga annullato in autotutela ed il contribuente si veda costretto a rivolgersi al giudice che poi procede all'annullamento, l'Ufficio è tenuto alla rifusione delle spese che il contribuente ha dovuto sostenere per il contenzioso. Se poi il contribuente si è visto costretto a sostenere dei costi al fine di ottenere l'annullamento dell'atto impositivo in via di autotutela, anche questi devono essere risarciti da parte dell'Ufficio.

L'autotutela sostitutiva e integrativa
È necessario differenziare i casi concreti di autotutela sostitutiva sia dalle diverse ipotesi di integrazione o modificazione dell'atto di accertamento (vedi in proposito la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 2531 del 22 febbraio 2002 - "In tema di accertamento tributario, è legittimo il comportamento dell'amministrazione finanziaria che annulli un avviso di accertamento. Già notificato al contribuente e, nell'esercizio del potere generale di autotutela, diverso dal potere previsto dall'articolo 43, terzo comma, del DPR n. 600 del 1973, lo sostituisca con un nuovo avviso") sia dalle diverse fattispecie in cui l'ufficio, riscontrata l'illegittimità o l'infondatezza dell'atto che è stato notificato, lo annulla definitivamente (c.d. "autotutela non sostitutiva"). Si è soliti parlare di "atto integrativo" nel caso in cui l'integrazione si debba riferire a categorie di reddito che non sono state considerate nel precedente avviso e di "atto modificativo" nel caso in cui il nuovo atto vada ad incidere sui profili quantitativi di categorie reddituali che abbiano già formato oggetto di un precedente atto di accertamento. L'autotutela sostitutiva differisce dal potere di integrare l'atto impositivo in quanto l'integrazione presuppone l'esistenza di un precedente atto valido, mentre nel caso di sostituzione è necessario procedere all'eliminazione (anche implicita, se l'atto riformato riproduce il medesimo contenuto dell'atto che viene da esso sostituito) del precedente atto impositivo che era viziato da elementi di illegittimità o infondato.
Nell'ipotesi di integrazione o di modificazione dell'atto di accertamento viene esercitato un diverso ed ulteriore potere di rettifica della dichiarazione, alla base del quale si richiede che l'amministrazione sia necessariamente sopravvenuta alla conoscenza di nuovi ed ulteriori elementi, mentre la rinnovazione per autotutela sostitutiva presuppone l'esercizio da parte degli uffici dell'identico potere che è stato esercitato con il primo atto; l'autotutela a contenuto positivo, con carattere rinnovatorio "ex nunc", elimina e sostituisce il precedente atto affetto da nullità.
Il discrimine tra le due precedenti ipotesi è costituito dal contenuto degli atti notificati al contribuente, che nel primo caso vengono modificati, conducendo ad un incremento dell'imposizione, mentre nel caso della rinnovazione per autotutela sostitutiva il contenuto degli atti resta immutato. Nel caso di autotutela sostitutiva, mentre non è consentito procedere all'annullamento di un avviso di accertamento che sia stato già notificato al contribuente al fine di sostituirlo con uno nuovo il cui contenuto prevede una maggiore pretesa impositiva, come derivante da un più accurato giudizio degli elementi che sono già disponibili al momento dell'emanazione dello stesso accertamento, nessun ostacolo impedisce al Fisco di procedere a riesaminare il proprio operato (entro i termini previsti per la decadenza) ed annullare i propri atti, eventualmente viziati da elementi di illegittimità, sostituendoli con altri legittimi, purchè l'ammontare dei tributi contestati sia pari o inferiore a quello precedente.

L'autotutela sostitutiva e l'autotutela non sostitutiva
Occorre ora distinguere tra l'autotutela sostitutiva e l'autotutela non sostitutiva (per completezza di trattazione è opportuno segnalare anche l'ipotesi di autotutela "sospensiva", ovvero del potere riconosciuto all'Amministrazione di sospendere gli effetti dell'atto. Più precisamente il comma 1-bis dell'articolo 2-quater del decreto legge 30 settembre 1994, n. 564 stabilisce che "nel potere di annullamento o di revoca di cui al comma 1 deve intendersi compreso anche il potere di disporre la sospensione degli effetti dell'atto che appaia illegittimo o infondato". Tale potere risponde alla necessità di impedire che l'atto per il quale esiste il sospetto di illegittimità o di infondatezza, durante il procedimento di riesame, possa produrre i suoi effetti, in modo da evitare, da un lato, che si produca un danno presumibilmente ingiusto al contribuente e, dall'altro, che l'atto sia annullato prima del completamento di tutte le necessarie indagini). Nella prima delle die ipotesi, l'Amministrazione - previo ritiro dell'atto precedentemente notificato - provvede all'emanazione di un nuovo provvedimento, favorevole o meno al contribuente. Il fondamento dell'autotutela sostitutiva, ovvero il ritiro di un atto impositivo e l'emanazione, in sua sostituzione, di nuovo atto dal contenuto identico ma emendato degli errori formali, deve essere rintracciato nel principio di "perennità della potestà amministrativa" e nei principi che vengono espressi dagli articoli 53 e 97 della Costituzione. Quando l'Ufficio riconosce di avere commesso nel corso della sua attività di accertamento un errore, invece che procedere all'annullamento dell'atto viziato, può sostituirlo con un altro, tenendo anche nel debito conto le osservazioni che eventualmente sono state espresse dal contribuente. In questi casi si parla di autotutela "sostitutiva". Questa ha lo scopo di eliminare dal mondo giuridico atti caratterizzati da vizi di illegittimità, perseguendo così l'interesse pubblico (quindi, affinchè l'Amministrazione possa procedere all'annullamento di un atto impositivo per autotutela, accanto all'illegittimità o infondatezza dell'atto, è necessario vi sia l'interesse concreto ed attuale all'annullamento che deve risultare, a seguito di una valutazione comparativa, prevalente rispetto all'interesse pubblico alla certezza e stabilità delle situazioni giuridiche e quindi al mantenimento dell'atto). L'ipotesi di autotutela non sostitutiva riguarda invece la fattispecie in cui il mero ritiro dell'atto viziato non è seguito dall'adozione di un nuovo provvedimento. Il potere discrezionale del soggetto pubblico si esaurisce in questo caso nella semplice rimozione dell'atto che viene considerato non essere più idoneo a soddisfare l'interesse collettivo. Va sottolineato che l'esistenza di tale interesse deve essere esplicitata nella motivazione del provvedimento di autotutela. Inoltre, nella valutazione comparativa di tali interessi, deve essere tenuto conto di vari elementi, quali la gravità del vizio dell'atto, il costo derivante da inutili carichi di lavoro che comportano la sottrazione di risorse diversamente utilizzabili, ovvero, in caso di giudizio, la probabilità di soccombenza dell'Ufficio, il rischio di condanna alle spese di lite, il valore della lite stessa.

Quali sono i presupposti su cui si basa l'ammissibilità della cosiddetta autotutela sostitutiva
A questo punto della trattazione devono essere delineati quelli che sono i presupposti dell'ammissibilità della cosiddetta autotutela sostitutiva, consistente nella possibilità riconosciuta all'Amministrazione di procedere al ritiro di un atto impositivo e nell'emanazione di un nuovo atto di identico contenuto ma corretto dai suoi vizi formali. Occorre riconoscere la legittimità dell'autotutela sostitutiva, distinguendo esattamente fra le ipotesi di autotutela sostitutiva e quelle di autotutela integrativa (dell'atto di accertamento). In particolare occorre riconoscere la legittimazione a rinnovare ex nunc un avviso di accertamento invalido (come per esempio nel caso di omessa allegazione del PVC richiamato dall'avviso di accertamento), allorché la rinnovazione non comporti una maggiore pretesa erariale a carico del contribuente rispetto a quella del precedente accertamento (sul punto preso ad esempio va però sottolineato che parte della giurisprudenza di merito non giunge a tale conclusione - si veda, ad esempio la sentenza n. 151/18/2006 della Ctp di Firenze, depositata l'1/4/2006). La rinnovazione "ex nunc" dell'atto affetto da vizi di natura formale è possibile solo nel caso in cui l'atto impositivo si trovi ad essere inficiato nella sua validità esclusivamente da nullità derivante da vizi di natura formale tali da non arrivare ad incidere su quella che è l'esistenza stessa del credito tributario vantato dall'Erario nei confronti del contribuente o la sua consistenza. Quindi, l'esercizio del potere di sostituzione non deve comportare una pretesa erariale da esperirsi in misura maggiore rispetto a quella di cui al precedente atto di accertamento.
Il vizio di invalidità dell'avviso di accertamento derivante dalla mancata indicazione delle aliquote (caso in cui l'atto di acccertamento è addirittura nullo) può essere sanato dall'Amministrazione mediante l'esercizio del potere di autotutela sostitutiva esperibile attraverso la rinnovazione ex nunc dell'atto viziato (sulla nullità dell'atto che non riporti le aliquote di imposta si veda Corte di Cassazione - Sezione V, Ordinanza 26430 del 7 dicembre 2011).

La rimozione degli errori formali è condizionata dai seguenti limiti:

la rinnovazione dell'avviso di accertamento presuppone che non sia ancora decorso il termine di decadenza dell'azione accertatrice, previsto per quanto riguarda le imposte dirette, dall'articolo 43 del DPR 600/1973 ("Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle disposizioni del titolo I l'avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l'accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell'avviso devono essere specificatamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell'ufficio delle imposte"); la rinnovazione è preclusa nel caso in cui sia intervenuto il giudicato di merito in relazione all'atto per il quale si deve procedere all'annullamento. Si tratta del generale limite da frapporre al potere di autotutela, limite che è comune sia all'autotutela sostitutiva che all'annullamento deliberato d'ufficio; nel caso in cui il nuovo provvedimento sia emanato sulla base di motivazioni completamente differenti, occorre che sia data dimostrazione delle ragioni per cui tali motivazioni non siano state poste alla base dell'avviso precedente e del perchè le stesse siano state oggetto di considerazione sono in un momento successivo all'annullamento dell'atto basato su ragioni diverse; la rinnovazione deve essere fatta precedere dall'annullamento del precedente atto impositivo, ai fini della tutela delle ragioni di difesa del contribuente e del divieto di plurima imposizione in dipendenza dello stesso presupposto ex articolo 67 del DPR n. 600 del 1973 (in questo senso si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, Sezione V Civile Tributaria, con la sentenza n. 11114 emanata il 16 luglio 2003 e con la sentenza n.3951 del 2002).

In relazione alla possibilità di procedere all'azione di autotutela sostitutiva è necessario operare una distinzione tra la fattispecie consistente in un vizio formale e quella relativa all'esistenza di un vizio sostanziale: l'autotutela può infatti aversi ogni volta in cui il vizio dell'atto, anche se sanzionato a pena di nullità, sia a carattere formale e sanabile con la rinnovazione dello stesso epurato dei vizi. "In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'articolo 43 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui consente modificazioni dell'avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte delll'Ufficio, non opera con riguardo ad avviso di accertamento nullo, alla cui rinnovazione ex nunc l'Amministrazione è legittimata in virtù, che ad essa compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti: l'esercizio di tale potere, tuttavia, non potendo risolversi nella compressione dei diritti del contribuente o nella violazione dei principi che regolano il contraddittorio processuale, può avere luogo soltanto in presenza di vizi formali dell'atto ed entro il termine previsto per il compimento dello stesso, on può tradursi nell'elusione o nella violazione del giudicato eventualmente formatosi sull'atto viziato, e dev'essere preceduto dall'annullamento di quest'ultimo, a tutela del diritto di difesa del contribuente ed in ossequio al divieto di doppia imposizione in dipendenzza delllo stesso presupposto" (vedi Suprema Corte di Cassazione, V sezione Civile Tributaria, sentenza n. 24620, emanata il 20 novembre 2006 - nota n. 3 - l'orientamento in parola è stato confermato da ultimo dall'ordinanza della VI Sezione Civile Tributaria n. 6329 del 13 marzo 2013).
L'emissione di un atto contenente un secondo accertamento è possibile solo dopo l'annullamento del primo e fino al momento in cui non è scaduto il termine decadenziale o non si è formato il giudicato sull'atto nullo. Il secondo accertamento emesso dall'ufficio, a seguito di intervenuto annullamento del primo, è valido in applicazione del potere di autotutela tributaria. L'articolo 43, DPR 600/1973 riconosce all'ufficio il potere di modificare l'avviso di accertamento solo nel caso in cui siano subentrati nuovi elementi, criterio che comunque non opera nel caso in cui l'accertamento sia nullo. In questo caso l'Amministrazione Finanziaria è legittimata a correggere i propri errori, salvo il caso in cui l'atto rinnovato rappresenti un'elusione o una violazione dell'eventuale giudicato che si è formato sull'atto che è stato riconosciuto nullo. L'esercizio di tale potere di autotutela può avere luogo solo entro il termine previsto per il compimento dell'atto, ma non può tradursi nell'elusione o nella violazione del giudicato eventualmente formatosi sulla base dell'atto riconosciuto come nullo e deve essere preceduto dall'annullamento del primo atto a tutela del diritto di difesa riconosciuto dal legislatore al contribuente ed in ossequio al divieto di doppia imposizione. Di conseguenza l'atto di autotutela ha ad oggetto un precedente atto di accertamento che è nullo, ed al quale si viene a sostituire con innovazioni che possono investire tutti gli elementi strutturali dell'atto, costituiti dai destinatari, dall'oggetto e dal contenuto e può condurre alla mera eliminazione del precedente od alla sua eliminazione ed alla contestuale sostituzione con un nuovo provvedimento diversamente strutturato che conserva la propria legittimità. Solo nell'ipotesi di integrazione o modificazione si esercita, quindi, un ulteriore potere accertativo, in quale, in quanto tale, richiede necessariamente la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi (vedi nota n. 4). La rinnovazione per autotutela sostitutiva presuppone, invece, l'esercizio dell'identico potere già illustrato con il primo atto.
Per la Suprema Corte il presupposto della "sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi", per l'esercizio del potere di integrare o di modificare in aumento l'avviso di accertamento già notificato, non è richiesto per l'annullamento d un precedente avviso di accertamento e la sostituzione dello stesso con uno nuovo, contenete lo stesso dispositivo ma una diversa motivazione, atteso che, in tal caso, non ricorre l'esercizio del predetto potere integrativo o modificativo, ma sostituzione di un precedente provvedimento ritenuto illegittimo con un nuovo provvedimento conforme a diritto, nell'ambito del generale potere di autotutela della Pubblica amministrazione (in proposito si veda la Sentenza n. 13891 del 28 maggio 2008 della Suprema Corte di Cassazione, Sezione V Civile Tributaria). Il giudice di legittimità (Suprema Corte di Cassazione, Sezione V Civile Tributaria, Sentenza n. 2531 del 22 febbraio 2002 - si veda la nota n. 5) riconosce al Fisco la legittimazione a rinnovare ex nunc un avviso di accertamento invalido (ad esempio per omessa indicazione dell'aliquota applicata; per omessa sottoscrizione da parte del capo dell'ufficio), allorché la pretesa erariale non manifesti l'integrazione o la modificazione in aumento del precedente accertamento. In conclusione, mentre non è consentito annullare un avviso di accertamento già notificato al contribuente e sostituirlo con uno nuovo, contenente una maggior pretesa impositiva, come derivante da un più attento giudizio degli elementi già disponibili al omento dell'emanazione dello stesso accertamento, nessun ostacolo impedisce all'Amministrazione di riesaminare il proprio operato (entro i relativi termini decadenziali) e annullare i propri atti, eventualmente illegittimi, sostituendoli con altri legittimi, purché, l'ammontare dei tributi contestati sia di ammontare uguale (o addirittura, come possibile, inferiore) rispetto a quello precedente.

L'esercizio dell'autotutela in sede di mediazione tributaria
L'istanza di autotutela contenuta nel reclamo ex articolo 17-bis del D.Lgs n. 546 del 1992 (il comma 9 dell'articolo 32 del DL 6 luglio 2011, n. 98, recante "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", ha introdotto nel D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 54, l'articolo 17-bis che prevede che "per le controversie di valore non superiore a ventimila euro relative ad atti emessi dall'Agenzia delle entrate, chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo") , permette all'Ufficio di annullare l'atto nel corso del reclamo, usufruendo delle limitazioni di responsabilità erariale (limitate ai soli casi di dolo) previste dall'articolo 39 del DL 98/2011 (convertito con Legge n. 111/2011). In sede di controllo preventivo delle istanze di mediazione (vedi nota n. 5), in presenza di atti che siano privi o palesemente carenti di motivazione ovvero di altri elementi essenziali, ferma restando la potestà dell'ufficio di provvedere alla sostituzione dell'atto viziato, alla luce del principio di economicità dell'azione amministrativa e del principio della giusta imposizione, gli uffici nella prassi operativa provvedono ad un accordo di mediazione che evita l'emanazione e la notificazione di un ulteriore atto sostituivo del precedente viziato. Nell'ipotesi in cui susssitano i presupposti per l'esercizio del potere di autotutela parziale l'ufficio provvede alla verifica della possibilità di giungere ad un accordo di mediazione con il quale poter definire l'intera controversia prima di procedere alla notifica dell'accoglimento parziale dell'istanza (per completezza della trattazione occorre precisare che il provvedimento di autotutela parziale non configura un nuovo accertamento e quindi non può essere impugnato. Il contribuente, dunque, può proporre ricorso entro il termine 60 giorni, che decorre dalla data di notifica dell'accertamento originario. Si veda in proposito quanto è stato chiarito dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate 1E/2013). Non è possibile procedere ad un accordo di mediazione successivamente alla notifica dell'accoglimento parziale dell'istanza, in quanto secondo quanto viene stabilito dall'articolo 17-bis, comma 9, del D.Lgs. 546/1992, la notifica fa decorrere per il contribuente il termine di 30 giorni per la costituzione in giudizio. L'autotutela parziale deve comunque essere esercitata prima del decorso di 90 giorni, e quindi anche in assenza del raggiungimento dell'accordo di mediazione. Nel caso in cui le motivazioni dell'istanza siano in grado di giustificare l'annullamento dell'atto in via di autotutela, l'Ufficio porta a conoscenza del contribuente il provvedimento di accoglimento dell'istanza. Allo stesso modo l'Ufficio accoglie l'istanza del contribuente quando ritiene che i presupposti del rimborso che è stato richiesto siano sussistenti. L'accogliemento dell'istanza volta all'ottenimento del rimborso conseguente all'annullamento dell'atto o al riconoscimento del diritto al rimborso determina senz'altro il venite meno dell'interesse ad agire in giudizio e rende, pertanto, inammissibile l'eventuale l'eventuale ricorso giurisdizionale.

La trattazione dei ricorsi senza la preventiva presentazione dell'istanza di reclamo/mediazione
Nel caso in cui il contribuente che ha presentato ricorso senza istanza si sia costituito prematuramente in giudizio, senza cioè attendere l'esito del procedimento di mediazione ovvero il decorso dei 90 giorni (con la Direttiva n. 29/2012 in merito all'ammissibilità o meno dei ricorsi presentati dai contribuenti contro gli accertamenti di importo inferiore a 20.000 euro senza istanza di reclamo, l'Agenzia delle Entrate ha ritenuto essere ammissibile il ricorso presentato dal contribuente difforme dallo schema che la stessa Agenzia aveva diffuso con Circolare n. 9/2011 e, in particolare, priva dell'istanza di reclamo richiesta dall'articolo 17-bis, D.Lgs. n. 546/1992: tale istanza, infatti, riguarda un procedimento di natura amministrativa e non giudiziale), occorre operare la seguente distinzione:

qualora sussistano i presupposti per l'accoglimento in via di autotutela del ricorso senza istanza oppure quando l'obbligo del procedimento di mediazione non sia stato evidenziato nelle avvertenze dell'atto impugnato o comunque sia stato disatteso non sulla base di una scelta premeditata del contribuente, il procedimento di mediazione deve essere comunque attivato; in caso di perfezionamento della mediazione, l'Ufficio provvede a costituirsi al fine di chiedere l'estinzione della controversia per cessazione della materia del contendere; nell'eventualità che non sussistano i presupposti per procedere all'annullamento d'ufficio, anche in misura parziale, dell'atto impugnato o per concludere l'accordo di mediazione, nemmeno con la sola riduzione delle sanzioni, dovendosi pertanto disporre il diniego (per inammissibilità o per ragioni di merito), l'Ufficio si costituisce in giudizio nel termine previsto dall'articolo 23 del D.Lgs. n. 546 del 1992, decorrente dalla data di notifica del ricorso senza istanza, eccependone in via preliminare l'inammissibilità.

Autotutela intervenuta prima dell'impugnazione avverso un atto il cui valore è superiore a 20.000 euro (Circolare Agenzia delle Entrate del 3.08.2012 n. 33/E)
Nell'ipotesi della notifica di un atto, emesso dall'Agenzia delle Entrate e rientrante nell'elenco di cui all'articolo 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, in cui intervenga un provvedimento di autotutela parziale in dipendenza dei termini di proposizione del ricorso, per effetto del quale il valore della controversia risulti essere non superiore a 20.000 euro, il contribuente che abbia intenzione di proporre ricorso è tenuto a notificare preventivamente l'istanza di cui all'articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992. Il contribuente è comunque tenuto a presentare l'istanza di mediazione, considerato che il valore della controversia (al momento dell'impugnazione) non è superiore a 20.000 euro.

Autotutela intervenuta dopo l'impugnazione avverso un atto il cui valore è superiore a 20.000 euro (Circolare Agenzia delle Entrate del 3.08.2012 n. 33/E)
Nell'ipotesi della notifica di un atto emesso da parte dell'Agenzia delle Entrate e facente parte dell'elenco di cui all'articolo 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e successivamente alla notifica del ricorso giurisdizionale ma prima del deposito di quest'ultimo nella segreteria della Commissione Tributaria Provinciale, intervenga un provvedimento di autotutela parziale che riduce la pretesa tributaria ad un valore non superiore a 20.000 euro, non è applicabile l'articolo 17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992. L'articolo 17-bis non è applicabile, atteso che il valore della controversia al momento dell'impugnazione è superiore alla soglia individuata dal comma 1 dello stesso articolo 17-bis. Alla controversia in esame possono, ovviamente, trovare applicazione le disposizioni in tema di conciliazione giudiziale.

Note

Nota n. 1. Qualunque analisi delle problematiche riguardanti la disciplina dell'autotutela in materia tributaria non può prescindere dalla verifica delle caratteristiche fondamentali del fenomeno nell'ambito del diritto amministrativo. Punto di partenza è l'articolo 113 della Costituzione, che consente al privato di agire in giudizio nelle competenti sedi per difendere i propri diritti nei confronti dell'Amministrazione. La tutela che viene riconosciuta ai destinatari degli atti amministrativi comporta l'obbligo, per l'organo adito, di pronunciarsi in merito alla eventuale lesione di posizioni giuridiche attive del ricorrente da parte del soggetto pubblico. Discorso diverso, e qui arriviamo alla fattispecie di cui ci si pone il compito di trattare nel presente lavoro, va fatto invece con riguardo al concetto di autotutela, che si differenzia dalla tutela per il fatto di consentire ad un determinato soggetto di "farsi giustizia da sé", ponendo in essere autonome iniziative prescindenti dall'intervento di organi terzi. Secondo la giurisprudenza le fonti del potere di autotutela vanno individuate nel dettato costituzionale; in particolare si è fatto fatto riferimento all'articolo 97, che si preoccupa di garantire il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione. Rimuovendo in sede di autotutela l'atto non conforme alla legge, il soggetto pubblico ripristinerebbe la situazione di legalità. Va poi sottolineato come il carattere generale del concetto di autotutela abbia reso fondamentale il ruolo della giurisprudenza, che ha stabilito alcuni canoni interpretativi, primo fra tutti quello in base al quale l'esercizio del potere di autotutela non necessiti di particolari atti di iniziativa o sollecitazioni da parte del privato. Da ciò deriva l'assenza, in capo all'Amministrazione, di un qualsivoglia obbligo a provvedere: il soggetto pubblico può quindi valutare discrezionalmente se fare ricorso all'istituto dell'autotutela o meno. Fondamentale è la distinzione che va fatta tra l'autotutela decisoria e quella esecutiva: la prima si riferisce ai procedimenti di annullamento o di revoca (di cui si discuterà ampiamente nel prosieguo del presente lavoro), che intervengono su una situazione giuridica già disciplinata attraverso l'emanazione di un nuovo provvedimento finale detto "di secondo grado". Oggetto di autotutela decisoria possono anche essere provvedimenti divenuti definitivi per mancata impugnazione da parte degli aventi diritto, a patto che il riesame dell'Amministrazione non leda diritti acquisiti facenti capo ai soggetti controinteressati. Anche gli atti inefficaci possono essere rimossi attraverso un provvedimento di secondo grado; medesimo discorso vale per gli atti non ancora sottoposti a controllo - ove previsto - nonché per gli atti per i quali la fase integrativa dell'efficacia non risulti ancora conclusa. Nel secondo tipo di autotutela che, come sopra accennato, viene detta "esecutiva", l'Amministrazione risolve in via autonoma i conflitti reali esistenti con i privati in merito all'esecuzione di determinati provvedimenti amministrativi. La massima espressione del potere del soggetto pubblico si ha poi allorché l'atto, oltre ad essere esecutivo, è anche esecutorio. Il concetto di esecutorietà fa riferimento alla possibilità di eseguire il provvedimento anche contro la volontà del destinatario e, soprattutto, in assenza di una pronuncia giurisdizionale di un organo terzo, sempre nel rispetto del principio di legalità, che impone l'esistenza di una norma che legittimi l'uso di tale potere eccezionale da parte dell'Amministrazione. Esempi di atti esecutori sono quelli ablatori reali (espropriazione, occupazione, requisizione) e obbligatori (ad esempio, prestazioni tributarie in esecuzione di quanto previsto dall'art. 23 della Costituzione e dalle relative leggi). In tale sede, occorre tuttavia parlare dell'autotutela decisoria, di cui il potere d'annullamento d'ufficio e la revoca rappresentano fattispecie di fondamentale rilevanza
Nota n. 2. I casi più frequenti di annullamento di un atto o di revoca dello stesso si hanno quando l'illegittimità deriva da:
- errore di persona;
- evidente errore logico o di calcolo;
- errore sul presupposto dell'imposta;
- doppia imposizione;
- mancata considerazione di pagamenti regolarmente eseguiti;
- mancanza di documentazione successivamente presentata (non oltre i termini di decadenza);
- sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
- errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'Amministrazione.
Nota n. 3. "In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l'articolo 43 del DPR 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui consente modificazioni dell'avviso di accertamento soltanto in caso di sopravvenienza di nuovi elementi di conoscenza da parte dell'Ufficio, non opera con riguardo ad avviso di accertamento nullo, alla cui rinnovazione "ex nunc" l'Amministrazione è legittimata in virtù del potere, che ad essa compete, di correggere gli errori dei propri provvedimenti: l'esercizio di tale potere, tuttavia, non potendo risolversi nella compressione dei diritti del contribuente o nella violazione dei principi che regolano il contraddittorio processuale, può aver luogo soltanto in presenza di vizi formali dell'atto ed entro il termine previsto per il compimento dello stesso, non può tradursi nell'elusione o nella violazione del giudicato eventualmente formatosi sull'atto viziato, e dev'essere preceduto dall'annullamento di quest'ultimo, a tutela del diritto di difesa del contribuente ed in ossequio al divieto di doppia imposizione in dipendenza dello stesso presupposto" (Si veda anche Suprema Corte di Cassazione, Sentenze n. 2531/2002, 3951/2002, 16972/2002, 11114/2003.
Nota n. 4. I nuovi elementi, venuti a conoscenza dell'Ufficio dopo la notifica dell'accertamento, devono essere adeguatamente portati a conoscenza del destinatario attraverso al motivazione del nuovo atto, ed il richiamo ad essi non può essere del tutto generico, ma deve contenerne una descrizione, sia pur sintetica, al fine di consentire al contribuente un'adeguata difesa (in proposito si può vedere la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Legge, Sezione IV, n. 145 del 29 gennaio 2013 e Cassazione 10527/2006)
Nota n. 5 A questo proposito, nella circolare del 19 marzo 2012, n. 9/E si afferma che "anche nei casi di palese inammissibilità l'istanza può comunque essere trattata come una richihesta di autotutela".

Dr. Massimo Pipino

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