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Lunedì 19 novembre 2012

L'incompatibilità dei dipendenti pubblici. Quale futuro dopo il nuovo regolamento di riforma delle professioni?

a cura di: La Previdenza.it


Appare di particolare interesse, anche per i dipendenti del pubblico impiego, il nuovo regolamento delle professioni emanato con D.P.R. 7 agosto 2012 n. 137 "Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali" che sembra contenere novità in merito al tema della incompatibilità dei pubblici impiegati.
Eppure, la disciplina dell'incompatibilità, storicamente sottratta dall'ambito della contrattazione per espressa disposizione del legislatore, sembrava restare estranea ad ogni intervento legislativo di riforma anche dopo l'intervento di riforma della pubblica amministrazione a seguito del D.lgs.n.150/2009 (c.d. riforma Brunetta) e di quelli recenti, che hanno inciso sull'ambito di attribuzione alla contrattazione collettiva delle materie del rapporto di lavoro con la modifica, tra l'altro, degli artt.5 e 40 del D.lgs. n.165/2001,.
Ebbene, dopo il nuovo regolamento delle professioni emanato con D.P.R. 7 agosto 2012 n. 137, appare necessaria una profonda riflessione sull'intero impianto normativo del pubblico impiego, alla luce di disposizioni così incisive che aprono ad una "liberalizzazione delle professioni" e che sembrano rimuovere tutte quelle limitazioni rinvenibili storicamente tra le ragioni di interesse pubblico, che hanno da sempre impedito al dipendente pubblico l'esercizio di una professione. Dette disposizioni, che si ritrovano in particolare agli artt. 2 e 12 del D.P.R.n. 137/2012, attuazione dell' art. 3, c. 5-bis, della L. 148 del 14 settembre 2011 , non possono che essere interpretate, in attesa dei decreti attuativi da emanare da parte del Governo entro il 31/12/2012, tenendo conto della specifica disposizione vigente nel regime di pubblico impiego privatizzato, e cioè dell'art.53, c. 1 del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

Come è noto la norma all'art 60 del T.U. sancisce l'obbligo di esclusività fissando un generale divieto di espletamento di attività industriali, commerciali, agricole e professionali , operando una vera e propria estensione a tutti i dipendenti pubblici della disciplina delle incompatibilità dettata dal testo unico degli impiegati civili dello Stato agli artt.60-64 del D.P.R. n. 3 del 1957. Analizzando, ad esempio, le disposizioni di cui agli artt. 2 e 12, c. 2 del D.P.R. 137/2012, è difficile non rilevare una forte portata innovativa, sia in relazione alla finalità di rimuovere limiti alla iscrizione agli albi professionali e alle incompatibilità nei confronti dei dipendenti pubblici, sia in riferimento alla disciplina del c.d. part-time speciale, richiamato nello stesso art. 53 del D.lgs. n.165/2001. Ed infatti dall'esame degli artt. 2 e 12, c. 2 del D.P.R. 137/2012, che operano una parziale attuazione all'art. 3, comma 5, lettere da a) a g), della L. 148/11, si rilevano, senza dubbio, gli effetti abrogativi dei limiti al libero accesso alle professioni e al suo successivo esercizio.

A ben vedere, infatti, in primo luogo l'art. 2 in tema di accesso ed esercizio dell'attività professionale sembra evidentemente prevedere che eventuali limiti all'accesso alla professione (iscrizione all'albo) risulterebbero illegittimi, se non fondati su "motivi imperativi di interesse generale"; l'art. 12 ( Disposizione temporale) prevede al c. 2 che "Sono abrogate tutte le disposizioni regolamentari e legislative incompatibili con le previsioni di cui al presente decreto, fermo quanto previsto dall'articolo 3, comma 5-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, e successive modificazioni, e fatto salvo quanto previsto da disposizioni attuative di direttive di settore emanate dall'Unione europea".

Di particolare interesse poi l'art. 2, c. 3, del D.P.R. n. 137/2012 che si sofferma sulle modalità di espletamento delle professioni e sul concetto di attività abituale e prevalente, sancisce espressamente che "non sono ammesse limitazioni, in qualsiasi forma, anche attraverso previsioni deontologiche del numero di persone titolate a esercitare la professione, con attività anche abituale e prevalente, su tutto o parte del territorio dello Stato, salve deroghe espresse fondate su ragioni di pubblico interesse, quale la tutela della salute".

Quanto all'analisi degli effetti sulla norma speciale per il pubblico impiego, e cioè sull'art. 53 del D.lgs. n.165/2001, appare difficile sostenere la totale "indifferenza del sistema pubblico" rispetto alla rivoluzione operata dal regolamento delle nuove professioni, contrariamente ritenendosi che i "motivi imperativi di interesse generale", di cui al comma 1 dell'art. 2 del D.P.R. n. 137/2012, in riferimento alle iscrizioni agli albi e ai "divieti di limitazioni anche all'esercizio delle professioni", nonché "al tipo di attività abituale e prevalente", di cui al c.2 e c. 3, possano essere qualificati come espressioni del tutto tautologiche e prive di contenuto, con conseguente salvezza di tutte le limitazioni già al momento vigenti all'esercizio delle professioni e dunque delle stesse incompatibilità stabilite sia negli ordinamenti delle singole professioni (si pensi alla limitazione in tema di esercizio della professione forense, introdotta con la L.n.339 del 25 novembre 2003).
Probabilmente la "riforma delle professioni" potrebbe rappresentare un buon momento per addivenire, nella pubblica amministrazione alla previsione di specifiche discipline di incompatibilità del dipendente, attualmente relegate a circolari ministeriali non sempre coerenti, in ciò garantendo da una parte, il principio costituzionale di esclusività della prestazione lavorativa a favore del datore pubblico di cui all'art.98 della Costituzione e dall'altra, il diritto all'esercizio delle professioni.

di Maurizio Danza


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