La ricostruzione teorica tradizionale
Secondo ampia dottrina il definitivo va qualificato sia come contratto, ed in quanto tale costituisce esercizio di autonomia privata, sia come atto dovuto, in quanto adempimento di una obbligazione, ipotizzando una duplicità di cause concorrenti.
Stabilito tale principio di carattere generale, tra gli stessi fautori della dottrina tradizionale, emergono alcune divergenze a proposito della causa del contratto definitivo.
Un primo orientamento riconosce pari dignità sia al profilo causale proprio del definitivo sia alla causa solvendi. (CARIOTA FERRARA L.)
Tale teoria, risalente nel tempo, è stata di recente ripresa e sviluppata da N. Visalli il quale ha affermato che è ben possibile la coesistenza della natura negoziale e di adempimento di un preesistente obbligo nello stesso atto e che la natura negoziale del definitivo deriva dalla funzione principale svolta dallo stesso che è il c.d. controllo delle sopravvenienze.
Tale orientamento è supportato da alcune previsioni codicistiche.
Alcuni autori aderendo a questo orientamento hanno cercato di stabilire con quali modalità si pone la relazione tra la causa solutoria e causa negoziale.
In particolare si è affermato (NICOLO' R.) che il rapporto esistente tra atto del debitore e negozio giuridico sia quello tra contenente (atto dovuto) e contenuto (volontà della conclusione del definitivo) con non poche critiche.
Resta in ogni caso difficoltoso per i fautori di tale orientamento spiegare come un singolo atto possa avere due cause distinte e separate.
Gli assertori della teoria della doppia causa si sono posti il problema delle conseguenze, sul successivo negozio, dell'invalidità della premessa. Cariota Ferrara ha sostenuto che la nullità e l'annullabilità del preliminare non reagiscono sul definitivo; altri autori hanno teorizzato la possibilità di chiedere la ripetizione della prestazione effettuata col secondo contratto. (RASCIO R.)
Un secondo orientamento attribuisce maggiore rilevanza alla causa solvendi su quella propria del definitivo, specie in caso di contratti ad effetti reali. (GIORGIANNI M.)
Questa opinione si sta affermando soprattutto in riferimento al preliminare di vendita dove il definitivo è visto come atto traslativo solvendi causa e come tale non astratto, perciò non contrastante con il principio causalistico.
Secondo grande parte della dottrina e la giurisprudenza quasi unanime, nel definitivo assume importanza prevalente il profilo causale cosiddetto interno, lasciando uno spazio residuo molto limitato alla causa solvendi.
Qualcuno ha affermato che il contratto definitivo tende a riprodurre nel suo seno l'intera struttura negoziale (consenso più causa) e quindi appare difficile assegnargli anche valore di mero atto esecutivo di un accordo precedente. (DI MAJO A.)
Il preliminare si atteggerebbe dunque quale "mero presupposto di fatto e/o guida o parametro" per la futura condotta negoziale delle parti.
Aderisce a tale orientamento un altro autore (MAZZAMUTO S.) il quale però traccia una linea di demarcazione tra la sequenza preliminare definitivo e quella tra preliminare-sentenza costitutiva: nel primo caso si espande pienamente il potere di autonomia privata delle parti; nel secondo caso invece c'è una attuazione coattiva del programma obbligatorio che può tollerare solo un intervento di verifica e specificazione del giudice.
La giurisprudenza, anche se nelle sentenze difetta un rigoroso approfondimento teorico dei concetti, ha statuito la funzione solutoria e, in pari tempo, negoziale del contratto definitivo con l'enunciazione di due postulati: primo, esso non deve avere un contenuto tale da alterare la fisionomia del preliminare nei connotati essenziali; secondo, la sua funzione solutoria prevale se quella negoziale non si può sviluppare autonomamente su alcuni elementi oggettivi secondari per mancanza di accordo tra le parti.
Per visualizzare l'intero articolo di Gioacchino Genchi clicca qui.