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Venerdì 6 maggio 2005

LA TRASFORMAZIONE ETEROGENEA

a cura di: AteneoWeb S.r.l.


Articolo di Mattia Condemi notaio in Parma

La riforma del diritto societario ha introdotto importanti e molteplici elementi di novità per quanto concerne la disciplina delle società di capitali: fra di essi si segnala una regolamentazione del tutto nuova relativamente all'istituto della trasformazione, con particolare riguardo alla trasformazione eterogenea.
Il riferimento è in particolare agli articoli 2500-septies e seguenti introdotti dalla riforma all'interno del vigente Codice Civile, disciplinanti, come detto, le ipotesi di trasformazione eterogenea, vale a dire ipotesi di trasformazione da società di capitali ad ente collettivo di natura diversa, e viceversa.
Si tratta di una serie di articoli, posti a chiusura della normativa sulla trasformazione in generale (Capo X, Sezione I),  la cui portata innovativa è senza dubbio notevole, e le ragioni sono intuitive.
Nella nuova normativa generale sulla trasformazione, così come peraltro nella vecchia, manca una definizione del concetto di trasformazione: tradizionalmente l'istituto è sempre stato considerato come possibilità concessa ad una società, strutturata secondo un dato tipo legale, di adottare una deliberazione assembleare a seguito della quale strutturarsi secondo un tipo legale differente.
E' assodato in dottrina e giurisprudenza che il fenomeno della trasformazione non comporti una modificazione soggettiva dell'ente collettivo che la adotta: in altri termini il risultato della modificazione della veste legale, sotto la quale il soggetto si trova ad operare, non mette in dubbio il permanere giuridico del medesimo soggetto originario, il quale non subisce quindi alcun procedimento di tipo estintivo/costitutivo.
Vale la pena sottolineare che l'assunto sopra espresso non viene messo in discussione nemmeno nel caso in cui la trasformazione comporti il passaggio da società di persone a società di capitali, o viceversa.
La trasformazione omogenea, vale a dire quella che rimane in ambito societario, lascia fermi tutti gli elementi contrattuali originari diversi dal tipo, anche se molto spesso nella pratica si accompagna ad altre modifiche statutarie (capitale, oggetto, sede etc.).
Ovviamente la società in trasformazione deve, adottando un nuovo tipo, strutturarsi in modo legalmente compatibile con la scelta effettuata e quindi adattarsi alle condizioni richieste dalla legge relativamente al nuovo tipo in questione (si pensi ad esempio ai minimi di capitale).
Il fenomeno della trasformazione eterogenea, ora espressamente disciplinato, rappresenta un passo ulteriore rispetto a quanto sinora detto, dal momento che gli effetti che si producono per l'ente interessato non si limitano ad una variazione del tipo, ma incidono sul concetto di causa del contratto.
Sotto la normativa previgente ci si domandava se il concetto di trasformazione dovesse considerarsi confinato al mondo societario ovvero se fosse possibile estenderne i principi anche laddove il soggetto di partenza o di arrivo del fenomeno trasformativo fosse diverso da una società di persone o di capitali.
Esisteva, in ogni modo, l'impossibilità per le società lucrative di trasformarsi in società cooperative, e viceversa, in ragione delle differenze causali fra le due figure. Si ammetteva però, con il consenso unanime dei soci, il primo dei due passaggi.
Si assisteva, d'altro canto, ad un certo fiorire di spunti dottrinali e pronunce giurisprudenziali relative ad ipotesi di trasformazione che vedessero il fenomeno societario virare verso figure quali l'associazione non riconosciuta ed il consorzio.
Ora la normativa societaria dedica tre articoli del Codice Civile (2500-septies, 2500-octies, 2500-novies) in modo specifico alla trasformazione eterogenea, con una nutrita previsione di possibili soggetti interessati; le tesi che in passato avevano cercato di leggere l'istituto della trasformazione in modo ampio vengono in tal modo a ricevere una esplicita legittimazione legislativa.
Passano in tal modo da una a quattro le ipotesi di trasformazione espressamente previste dalla normativa (si consideri anche l'articolo 2545-decies per le cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente).
Anche per questa tipologia di trasformazione valgono dunque le considerazioni sopra fatte e relative al concetto di mero mutamento di veste legale di un soggetto giuridico che rimane il medesimo. 
Prima di addentrarsi nell'analisi degli articoli in questione, si può notare come la rubrica stessa della Sezione I del Capo X, nella sua semplicità ("Della trasformazione") e nel suo voluto mancato riferimento esclusivo alle società, sia il primo indizio della rivoluzione copernicana che interessa l'istituto.
L'articolo 2500-septies disciplina le ipotesi di trasformazione eterogenea che abbiano come punto di partenza una società di capitali. Emerge subito in modo chiaro come la gamma di istituti nei quali una società può ora trasformarsi sia decisamente ampia: la normativa fa espresso riferimento a consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni.
Il richiamo che detto articolo effettua nei confronti del precedente 2500-sexies sancisce che la deliberazione societaria di trasformazione eterogenea viene adottata con le maggioranze richieste per le modificazioni dello statuto e preceduta da apposita relazione degli amministratori; viene in ogni modo specificato che occorre comunque il voto favorevole dei due terzi degli aventi diritto al voto ed il consenso unanime dei soci che in virtù della trasformazione assumessero responsabilità illimitata.
Presumibilmente il riferimento ai due terzi deve intendersi per quote di capitale e non per teste.
L'unanimità potrebbe essere, più che presupposto per adottare la delibera, condizione perché essa produca effetti.
Non è mancato chi ha notato come detta configurazione dei quorum abbia lo scopo di scoraggiare la trasformazione regressiva.
L'importanza dell'articolo è grande dal momento che sancisce in modo netto la possibilità, per i soci di una società, di deliberare a maggioranza il cambiamento di un elemento fondamentale del contratto che li lega, vale a dire la sua causa.
In altre parole non esiste giuridicamente la possibilità di sostenere che un socio di società abbia il diritto soggettivo a che l'ente collettivo, del quale è parte, continui ad esercitare la funzione per la quale è nato (ossia svolgere una attività economica per produrre utili). Detto socio non può impedire che una maggioranza qualificata trasformi la società in qualcosa di radicalmente diverso (vedi associazione non riconosciuta o fondazione).
La tutela che egli riceve non si sostanzia nella difesa della causa originaria del contratto, bensì nella difesa della responsabilità limitata. Si tratta evidentemente di un principio di grande portata.
Il che non significa comunque che il socio sia privo di efficace protezione: si consideri che le maggioranze richieste per la delibera di trasformazione eterogenea sono più elevate di quelle per la delibera di modifica dell'atto costitutivo; che, come visto, occorre l'unanimità per modificare il regime della responsabilità da limitata ad illimitata e che, in ogni caso, è assicurata la via del recesso (sulla scorta dell'articolo 2437, comma 1, lettera b e dell'articolo 2473).
Il successivo articolo 2500-octies disciplina l'ipotesi inversa di trasformazione eterogenea in società di capitali da parte di soggetti di vario tipo: in particolare, vengono considerati consorzi, società consortili, comunioni d'azienda, associazioni riconosciute e fondazioni (si noti come l'elencazione sia differente da quella dell'articolo precedente).
Per ognuno dei soggetti in questione la norma indica con quali modalità debba essere assunta la decisione volta alla trasformazione e viene altresì indicato con quale criterio debbano distribuirsi le azioni o quote della società. In particolare viene statuito il principio per il quale, ad una associazione che abbia ricevuto contributi pubblici ovvero liberalità od oblazioni dal pubblico, sia interdetta la trasformazione in società di capitali. E' altresì previsto l'intervento dell'autorità governativa per la fondazione che voglia trasformarsi.  
L'articolo 223-octies delle disposizioni transitorie stabilisce che associazioni e fondazioni possono trasformarsi se ciò non realizzi distrazione di fondi o valori, creati con contributi di terzi o in virtù di particolari agevolazioni fiscali. In quest'ultimo caso è consentita la trasformazione previo versamento delle relative imposte.
Non è consentita la trasformazione eterogenea alle fondazioni bancarie.

Possono notarsi, dalla lettura dei due articoli di Codice Civile sopra visti, alcuni aspetti singolari:

vengono considerati fra gli istituti potenzialmente interessati dalla trasformazione eterogenea la comunione d'azienda, così come il consorzio in ogni sua forma; il passaggio da società consortile a società viene letto come ipotesi di trasformazione, mentre in precedenza, da più parti, veniva considerato modifica dell'oggetto; curiosamente per la trasformazione in società di capitali la norma non  richiede espressamente la perizia di stima, ma sembra improbabile che questa sia la volontà del legislatore; è possibile per una associazione che l'atto costitutivo vieti la trasformazione in società di capitali, ma è dubbio che tale possibilità possa estendersi ad altre tipologie di enti; non emergono fondate ragioni per le quali la società di capitali possa trasformarsi solo in associazione non riconosciuta ed il passaggio inverso sia consentito solo all'associazione riconosciuta.  

Merita qualche riflessione ulteriore il primo punto sopra evidenziato, soprattutto riguardo l'inclusione della comunione d'azienda nel novero degli istituti interessati dal fenomeno della trasformazione eterogenea.
Se infatti, come sopra affermato, detto fenomeno ha la caratteristica di assicurare una continuità giuridica al soggetto trasformato, in questa particolare ipotesi questo assunto non può trovare pratica applicazione: si realizza, in realtà, il passaggio da un soggetto societario a sé stante ad una sommatoria di beni divenuti di proprietà di una pluralità di soggetti (o viceversa).
E' dunque evidente (commentando il passaggio da società a comunione) che in detta trasformazione non ci si trova innanzi al permanere del soggetto originario: si assiste indiscutibilmente ad un fenomeno estintivo di questo, introducendo in tal modo una serie di effetti giuridici senza dubbio inediti per l'istituto, così come tradizionalmente ricostruito (ed in antitesi sistematica con l'inquadramento dato dalla riforma stessa).
Una attenta dottrina ha evidenziato, per questa fattispecie, come il principio di continuità possa allora intendersi, non con riferimento al soggetto trasformato, quanto piuttosto con riferimento all'azienda interessata dalla trasformazione eterogenea.
La continuità risiederebbe, in altri termini, nella conservazione del patrimonio aziendale: naturalmente questa fattispecie troverà effettiva applicazione solo laddove azienda vi sia. La medesima dottrina non esclude che l'istituto possa trovare applicazione anche per il passaggio da impresa individuale a società unipersonale, e viceversa (si tratta comunque di possibilità piuttosto controversa).
Riflessi pratici di tale ricostruzione sono, in caso di presenza di immobili in azienda, da un lato l'indubbia necessità della trascrizione e dall'altro l'obbligatorietà delle menzioni urbanistiche nell'atto di trasformazione.
La normativa specificamente disegnata per la trasformazione eterogenea si chiude con l'articolo 2500-novies: detta norma statuisce che la trasformazione ha effetto decorsi 60 giorni dall'ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti dall'articolo 2500, purché consti il consenso dei creditori oppure il pagamento dei creditori non consenzienti. Ai creditori è consentito, pendente detto termine, fare opposizione con applicazione della normativa prevista dall'ultimo comma dell'articolo 2445, dettato in materia di riduzione del capitale.
Può notarsi, in via generale, che la descritta normativa in tema di trasformazione eterogenea ha comunque disciplinato ipotesi che vedono, come punto di partenza o di arrivo, una società di capitali. Ciò discende dal fatto che la legge delega era indirizzata alla regolamentazione di quel tipo di figura.
Resta dunque priva di riferimenti normativi generali la possibilità di trasformazione eterogenea al di fuori del mondo delle società di capitali.
Possono peraltro segnalarsi autorevoli posizioni dottrinali favorevoli ad una diretta applicabilità degli articoli del Codice Civile qui commentati ad ipotesi di trasformazione eterogenea da o in società di persone, senza obbligo di perizia.

Articolo pubblicato da SUMMA (http://www.consrag.it/summa/default.htm) la Rivista del Consiglio Nazionale dei Ragionieri Commercialisti ed Economisti d'impresa.


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