PIÙ CORRUZIONE, MENO PIL
Il dibattito sui fattori che hanno determinato l'ingente debito pubblico italiano e l'elevato rapporto debito/Pil non si è adeguatamente soffermato sul ruolo della corruzione. Eppure, la corruzione influisce sulle principali variabili che determinano il livello del debito: da un lato, tende a far crescere i livelli di spesa pubblica a causa del maggior costo dei servizi e beni acquistati; dall'altro, diminuisce il tasso di crescita del Pil e di conseguenza riduce il gettito fiscale.
In particolare, la corruzione: a) agisce come un'imposta e riduce il livello degli investimenti; b) premia e sviluppa le competenze degli agenti per ottenere risorse dalle amministrazioni pubbliche invece di premiare gli imprenditori migliori; c) modifica la composizione della spesa pubblica in quanto i politici corrotti preferiscono investire in grandi progetti (da cui è più facile estrarre tangenti) piuttosto che in piccoli progetti: si fanno le grandi dighe, ma non i sistemi di canalizzazione che portano acqua alle campagne; d) accentua la tendenza ad aumentare i controlli ex ante e quindi ad accrescere la complessità per le procedure di spesa e il numero di passaggi di una delibera fra i vari organismi amministrativi. In tal modo, si rallentano i tempi della spesa e si aumenta il numero di burocrati sui quali gli interessati devono intervenire, con mezzi leciti e illeciti, per far approvare un provvedimento.
Gli effetti negativi della corruzione sulla crescita sono stati evidenziati da un'ampia letteratura empirica. Uno dei primi lavori è quello del 1995 di Paolo Mauro il quale verifica una relazione significativa fra indice di corruzione, costruito utilizzando informazioni elaborate da Business International in settanta paesi, e indici di crescita: "un paese che migliora il suo indice di corruzione da 6 a 8 (0 il più corrotto, 10 il meno corrotto) vedrà aumentare il suo tasso di investimento del 4 per cento e dello 0,5 per cento il suo tasso annuale di crescita del Pil". In un successivo lavoro Mauro riscontra come un incremento della corruzione dell'1 per cento riduce la crescita del Pil dello 0,6 per cento.
Per quanto riguarda l'Italia, un mio studio con Erasmo Papagni stima un panel dinamico relativo al periodo 1963-1991 con riferimento alle venti Regioni italiane. Il lavoro evidenzia un effetto negativo della corruzione sulla crescita delle singole Regioni. In particolare, le stime mostrano che un aumento dell'indice di corruzione di un ammontare pari alla deviazione standard riduce il tasso di crescita dello 0,145 per cento l'anno. Se si tiene conto che l'Italia presenta un alto e crescente livello di corruzione fin dagli anni Settanta è chiaro come il fenomeno possa aver influito in modo significativo sul livello del debito pubblico.
ITALIA, DAGLI ANNI OTTANTA A OGGI
Nonostante i dati Istat sui reati corruzione e quelli di Transparency International abbiano indicato, fin dagli inizi degli anni Ottanta, che il nostro era un paese a elevato livello di corruzione, non sono state prese misure significative per contrastare il fenomeno. Alla fine degli anni Ottanta, però, una serie di scandali come quello dell'Irpinia, la crescita del debito pubblico e la perdita di competitività hanno prodotto nell'opinione pubblica la percezione che fra le loro cause vi fosse anche la corruzione. Così, negli anni Novanta i processi di Mani Pulite e alcune riforme della legge elettorale hanno ridotto il fenomeno, mentre la svalutazione ha favorito la competitività dell'Italia e ha aumentato i tassi di crescita del Pil. Il miglioramento della situazione economica ha tuttavia contribuito a sottovalutare il fenomeno della corruzione.
Nel periodo successivo all'entrata nell'euro, in particolare dopo la seconda metà del 2000, il Parlamento ha approvato una serie di leggi (la riduzione della prescrizione per i reati di corruzione, la depenalizzazione del falso in bilancio) che di fatto hanno ridotto la probabilità di condanna per corruzione. Né d'altronde vi erano norme chiare per ridurre, attraverso sequestri del patrimonio e dei profitti, il guadagno di corruzione per le imprese corrotte coinvolte negli appalti. Riduzione della probabilità di condanna e possibilità di mantenere, anche se scoperti, i guadagni risultato della corruzione hanno incentivato questa forma di reato. D'altronde, almeno fino a oggi, molto poco è stato fatto sul fronte della lotta alla corruzione. La legge Severino, approvata dal Governo Monti, accanto alle norme sulla decadenza e la non candidabilità, ha anche ridotto i reati e i tempi di prescrizione relativi all'induzione alla corruzione, fornendo ulteriori incentivi a comportamenti illegali. I recenti scandali hanno nuovamente evidenziato la gravità del fenomeno e il rapporto della Commissione Europea "EU Anticorruption Report", che ne stima il costo in Italia in 60 miliardi l'anno, ha spinto a rendere esplicito anche nei rapporti economici ufficiali, compresa la Relazione della Banca d'Italia 2014, che la corruzione è un rilevante ostacolo alla crescita.
LA CORRELAZIONE CORRUZIONE-DEBITO
Per evidenziare gli effetti della corruzione nel caso italiano, abbiamo indicato nel grafico 1 la dinamica del rapporto debito/Pil e della corruzione utilizzando gli indicatori di corruzione percepita di Transparency International.
Il grafico evidenzia una stretta correlazione nel periodo 1995-2012 fra debito pubblico/Pil e indicatori di corruzione. Per entrambi gli indici, vi è una tendenza alla diminuzione dal 1995 al 2005 e una crescita nel periodo successivo.
Se riprendiamo alcune spiegazioni della dinamica del debito pubblico in Italia e applichiamo i ragionamenti sui meccanismi attraverso cui la corruzione influisce sul debito pubblico, si ottengono risultati interessanti. Giorgio Basevi, Paolo Onofri e Angelo Tantazzi evidenziano come l'aumento dell'indebitamento primario negli anni Settanta trovi una spiegazione in entrate insufficienti a far fronte all'aumento della spesa. Per tutto quel decennio, la pressione fiscale in Italia è decisamente inferiore a quella di Germania, Francia, Inghilterra e fino al 1977 è ai livelli di quella Usa. In assenza di corruzione, si sarebbero potute avere entrate più elevate sia come effetto di un Pil più alto sia di minor evasione fiscale. Ciò avrebbe determinato un minor debito pubblico e non vi sarebbe stata quella sua esplosione negli anni Ottanta, determinata dalla crescita della spesa per interessi dovuta all'aumento dei tassi di interesse reali, che portò poi alla crisi del 1991. D'altronde, il fatto che la corruzione si sia mantenuta molta alta ha contribuito ai livelli elevati di debito pubblico, che hanno portato, a partire dal 2009, a rigide politiche di austerità.
Una stima quantitativa degli effetti della corruzione sul debito pubblico è complessa perché il fenomeno influisce sia sulle entrate che sulle spese. Inoltre occorre tenere conto che il debito è una variabile che viene influenzata dalle situazioni passate. Ad esempio, un effetto anche molto lieve della corruzione sulla crescita del Pil in ciascun anno, a causa del meccanismo minori entrate-maggior debito-maggiori interessi, può avere riflessi molto rilevanti sul debito.
Per avere una idea di come piccole variazioni nel livello del Pil possono avere influito nella situazione italiana degli ultimi anni, partiamo dall'ipotesi di una riduzione dello 0,14 per cento l'anno del Pil dovuto alla corruzione. Prendiamo come anno di partenza il 1995 e arrestiamoci al 2009, allorché si sono fatte sentire più pesantemente le politiche di austerità. Il Pil effettivo nel 2009 è inferiore del 2 per cento rispetto a quello che si sarebbe avuto in assenza di corruzione nel periodo 1995-2009. Se non fa una grande differenza in termini di Pil, ne fa una notevole in termini di rapporto debito/Pil: in assenza di corruzione tale valore sarebbe stato nel 2009 del 17 per cento inferiore all'effettivo e cioè pari a 1,06 rispetto all'effettivo 1,26 e contro un valore effettivo di 1,20 nel 1995. Risultati non molto diversi si ottengono utilizzando le stime econometriche di Arusha Cooray e Friedrich Schneider, secondo le quali la riduzione del debito pubblico in presenza di livelli di corruzione per una media di paesi industrializzati è circa il 15,5 per cento. Il problema del debito pubblico italiano non sta tanto nell'eccessiva spesa per consumi pubblici (il cui livello è in ogni caso influenzato dalla corruzione), quanto nel fatto che l'elevata corruzione ha avuto effetti negativi sulla crescita del Pil.
In conclusione, la nostra analisi mette in evidenza come il non avere affrontato il problema della corruzione abbia notevolmente peggiorato la situazione della finanza pubblica italiana, obbligandoci a seguire quelle politiche di austerità che si sono avute a partire dal 2009. Questo non implica che nel breve periodo si possa ignorare il problema della spesa pubblica, ma evidenzia la necessità di un'efficace lotta alla corruzione anche come strumento di riduzione della spesa pubblica.
Occorre una serie politica contro la corruzione che abbracci numerosi aspetti, fra cui controlli ex ante e provvedimenti che aumentino la probabilità di condanna in caso di corruzione e riducano sostanzialmente i benefici che le parti ne ricevono. Altrimenti, un aumento dei controlli avrà il solo effetto di rendere più macchinosa la Pa e di aumentare i costi della corruzione senza riuscire a ridurla.
Sebbene una seria lotta alla corruzione non possa ribaltare nell'immediato i valori effettivi del debito pubblico e del rapporto debito/Pil, può però influire sulle aspettative degli operatori italiani e stranieri e quindi sulla situazione economica del nostro paese. Purtroppo, su questo piano i recenti Governi hanno fatto poco. La legge anticorruzione del Governo Monti è stata dichiarata inefficace dalla Commissione UE in quanto, fra l'altro, non modifica "la prescrizione, la legge sul falso in bilancio e l'autoriciclaggio e non introduce reati per il voto di scambio": tutti provvedimenti che aumenterebbero la probabilità di condanna. Anche nelle recentimisure del Governo Renzi non vi è nessuna visione organica della lotta alla corruzione.
Riferimenti bibliografici
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