Cosa determina l'evasione fiscale? È chiaro che l'esosità del fisco incide, ma è altrettanto ovvio che l'efficienza nello spendere i soldi dei contribuenti e il livello della regolamentazione dei mercati (dei prodotti, del lavoro, eccetera.) giocano un ruolo importante. Non sto alludendo alle regolamentazioni "buone", che possono anche condurre a risparmi o ad aumenti di produttività, ad esempio quelle inerenti la sicurezza sul lavoro. Mi riferisco, invece, alla congerie di regole che inutilmente generano, per mutuare una frase in voga anni fa, lacci e laccioli che gravano sul libero svolgimento dell'azione economica dei privati. In entrambi i casi "extra-fiscali", d'altronde, la logica è simile a quella delle tasse: si tratta di costi aggiuntivi imposti dallo Stato che, non sorprendentemente, vengono chiamati "tasse occulte". Insomma, in questi casi sarebbe più corretto parlare di "evasione dal sistema".
Come si misurano
Sembra dunque interessante domandarsi se l'evasione fiscale è legata più alle imposte "tradizionali" che a quelle occulte. Va da sé che la misurazione di variabili quali l'evasione, l'efficienza delle istituzioni pubbliche e simili è esercizio oltremodo complesso. Tanto per dire, qual è l'aliquota che fa scattare la non/sotto dichiarazione del reddito? Quella massima o quella media? E che dire delle deduzioni, detrazioni, eccetera? Nondimeno, proprio per l'importanza e la pervasività dei fenomeni di cui sto parlando, non mancano tentativi di misurazione. Quelli eseguiti a livello internazionale cercano quantomeno di consentire confronti tra paesi. Nella tabella seguente ne propongo alcuni che risultano particolarmente adeguati ai presenti fini, anche perché disponibili per un lasso di tempo non indifferente.
Evasione, aliquote e tasse occulte (media 1990-2003)
S=quota % di sommerso sul Pil totale, I,R=voto alle istituzioni (I) e alle regolamentazioni (R): voto più alto=cittadino/impresa più soddisfatto/a (0
La stima della quota di economia sommersa (indicata con S nella tabella 1) è tratta da Schneider ed è calcolata con varie e sofisticate tecniche econometriche. (1)
L'indicatore di efficienza delle istituzioni economiche pubbliche è preso dal sito del Fraser Institute e riguarda la certezza del diritto, la durata dei procedimenti, e così via. La sua scala varia tra dieci e zero, decrescendo dalla "perfezione" all'anarchia. È quasi inutile sottolineare che approvare leggi buone e chiare e farle rispettare senza eccezioni ed entro tempi non biblici è tra i più essenziali e primari servizi che lo Stato fornisce ai cittadini. Pertanto, è lecito pensare che se lo Stato è incapace di offrire il de minimis, difficilmente sarà in grado di soddisfare efficacemente le altre istanze, cioè anche quelle più materiali, della collettività. Anche i dati sulla pervasività delle regolamentazioni sono scaricabili gratuitamente dal sito del Fraser Institute. Il relativo indice, qui chiamato R, è inteso cogliere la facilità di svolgere l'attività economica privata: si basa sul grado di accessibilità e concorrenza nel mercato creditizio, sulla rigidità del mercato del lavoro e sul livello di burocratizzazione gravante sull'attività imprenditoriale. Anche R varia tra dieci e zero (zero=insormontabili difficoltà di fare libera impresa). Sia R che I sono la summa di elaborazioni (vedi nota 2) di dati quantitativi e qualitativi anche di fonte istituzionale. La pressione fiscale generale (gettito totale sul Pil) e quella a carico degli onesti (gettito totale sul Pil dichiarato) segnalano i valori estremi entro cui potrebbe collocarsi l'aliquota media, non occulta, effettivamente gravante sui contribuenti.
Prima di tentare una interpretazione dei dati, vale la pena osservare che la speranza è che i numeri della tabella riescano a cogliere quantomeno gli elementi più macroscopici, gli elementi di fondo, della condizione reale. D'altronde, si tratta di situazioni difficilmente modificabili in pochi anni ed è anche perciò che riporto valori medi di un periodo non breve. Ad esempio, non è essenziale che la stima del sommerso per l'Italia sia proprio quella vera. L'importante, è che l'effettiva posizione relativa dei vari paesi sia all'incirca quella mostrata in tabella. D'altronde le stime, e le metodologie che vi sono dietro, sono da tempo facilmente accessibili e, dunque, sotto costante vaglio e vieppiù raffinate. E ancora, varie stime alternative disponibili non cambiano la sostanza del quadro. (2) Infine, la circostanza che sono spesso utilizzate dalla comunità scientifica, depone a favore della loro attendibilità.
Investire nel sistema paese
Premesso ciò, cosa si può rilevare in merito all'associazione tra tasse più o meno occulte, da un lato, e quota di evasione, dall'altro? Per facilitarne la lettura, ho organizzato la tabella riportando i paesi in ordine di (quota di) evasione crescente, ho evidenziato in rosso i voti più imbarazzanti e in blu quelli dei primi della classe. Sorprendentemente (?), i sistemi relativamente insufficienti in quanto a evasione fiscale non sono quelli con i peggiori voti nella "materia fiscale", ma sono quelli che stentano di più nelle "materie istituzionali": la maggiore evasione tende ad associarsi più al "rosso" istituzionale e regolamentare che alle aliquote più elevate. In particolare, confrontando le aliquote fiscali vigenti in Italia con quelle dei paesi scandinavi, si vede che in questi ultimi paesi lo Stato riesce a mettere le mani nelle tasche dei contribuenti in modo molto più vorace/capace che da noi. Il risultato non cambia neppure correggendo l'aliquota per tener conto del fatto che solo i redditi dichiarati pagano le tasse (il che porta gli italiani onesti a fronteggiare un'imposizione maggiore di quella media. Cfr. le ultime due colonne della tabella). Perché, allora, per dirla con Colbert, "è più facile spennare le oche nordiche che quelle italiane?" Una risposta - e questo è il punto - potrebbe risiedere nelle altre cifre della tabella. Esse infatti informano che, da loro più che da noi, lo Stato "rimette" nelle tasche dei cittadini istituzioni e servizi pubblici maggiormente graditi e di qualità. È questo il senso dei due "nove+" ottenuti da Finlandia e Danimarca alla voce "I". Simili considerazioni valgono anche se queste economie vengono comparate con Spagna e Grecia, gli altri due paesi in rosso più evasivo che fiscale. Altrimenti detto, le tasse occulte, nel gioco tra governo ed evasori, sembrano costituire un ingrediente addirittura più importante delle tasse propriamente dette.
Il messaggio normativo che può trarsi è che, almeno nel medio-lungo periodo, un euro investito per migliorare il "sistema paese" (cioè per aumentare i valori di I ed R) potrebbe ridurre l'evasione (incrementare il gettito) più di quanto possa fare un euro in meno chiesto ai contribuenti. Inoltre, anche a prescindere dall'evasione, il miglioramento delle istituzioni pubbliche economiche potrebbe attrarre capitali esteri e disincentivare la delocalizzazione, fenomeni che, a ben vedere, configurano altre perdite di gettito potenziale da conteggiare come ulteriori tasse occulte.
Si può anche osservare che le tasse occulte, a differenza di quelle palesi, costituiscono con più probabilità una perdita secca per il sistema: mentre le entrate fiscali, almeno in parte, consentono di sostenere la spesa pubblica, richiedere ai privati "l'ennesimo timbro in più" non fa certo incassare granché. Anzi: sia il "timbrante" che il "timbrato" sono dei costi gravanti sul sistema. In effetti, ci sono studi che mostrano che i paesi con i peggiori voti nelle materie istituzionali sono anche quelli con scarsa crescita e produttività.
Per concludere, nella misura in cui le tasse occulte tassano più del fisco, il policy maker dovrebbe occuparsi anche e soprattutto delle prime. Tuttavia, la probabilità che un sistema riesca ad auto-migliorarsi dipende proprio dal voto ottenuto nelle materie istituzionali. Ovvero, è quasi per definizione che si è portati a ritenere che un paese con un apparato pubblico relativamente inefficiente abbia delle difficoltà nel gestire oculatamente i soldi pubblici. D'altronde, sono ormai passati due decenni da quando gli economisti hanno osservato che, in certi casi, può essere utile "legarsi le mani" e affidarsi a un deus-ex-machina. Incarnato, nella fattispecie, da accordi sovranazionali.
* Le opinioni qui espresse sono personali e non necessariamente impegnano l'Isae. Per saperne di più, cfr. Bovi (2004), "The (Underground) Wealth of Nations", Politica Economica, Vol 1.
(1) Schneider, F. (2005) "Shadow economies around the world: what do we really know?" European Journal of Political Economy. 21, 598-642. Offrire indicazioni metodologiche dei dati, anche solo per darne una descrizione al limite della chiarezza, esaurirebbe lo spazio disponibile per la loro analisi. Il lettore interessato può agevolmente consultare le fonti riportate.
(2) Inter alia, cfr. Giuseppe Nicoletti e Stefano Scarpetta ("Regulation, productivity and growth", Economic Policy, 36, 2003), Schneider (op. cit.) e, per un lavoro in italiano, Daniela Marchesi "Non fa una bella figura l'Italia in tribunale", lavoce.info.