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Lunedì 04/11/2013
C'e' un giudice a Pozzuoli
a cura di: Studio Legale BZBLa Sentenza pronunciata dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli, il 21 febbraio scorso in materia di redditometro ha, com'è ovvio, suscitato un'ampia varietà di commenti.
Naturalmente, nemmeno noi ci esimeremo dallo spendere qualche parola in proposito, ed in particolare sugli aspetti giuridici più interessanti del provvedimento, a cominciare da questo: non si tratta di una Sentenza.
In realtà, quella di cui discutiamo è un'ordinanza, emessa in esito ad un procedimento cautelare, nel quale il contribuente ha richiesto, in via d'urgenza, che il Giudice inibisse all'Agenzia delle Entrate di "controllare, analizzare ed archiviare le proprie spese in applicazione del Decreto Ministeriale 24.12.2012, n. 65648".
Questo rilievo è necessario per chiarire un punto di assoluta rilevanza: coloro che credono che sia stato sconfitto l'odiato redditometro si rassegnino.
In realtà, l'ordinanza in questione costituisce nulla più che il lancio del guanto di sfida al pernicioso strumento, ma il confronto è appena iniziato.
Il Giudice di Pozzuoli, infatti, ha rilevato solo in via incidentale l'assoluta nullità e conseguente possibilità di disapplicazione del Decreto che istituisce il redditometro, al solo scopo di accogliere la specifica richiesta del ricorrente con esclusivo riferimento alla sua specifica posizione: ne consegue che la pronuncia non fa stato nei confronti della generalità dei contribuenti, e non costituisce un accertamento definitivo in ordine alla legittimità del provvedimento.
Premesso questo, entriamo nel merito dell'ordinanza.
La gran parte dei commentatori, colti dalla necessità di commentare rapidamente un testo lungo, denso e complesso, si è limitata ad affermare che il Giudice ha dichiarato illegittimo il redditometro "perché viola il diritto alla privacy".
In realtà, le motivazioni sono molto più articolate.
Il Giudice, in particolare, elenca undici motivi di nullità (o illegittimità) del DM 65648, che, per semplicità, si possono ricondurre a tre ordini di ragioni.
Primo: il Decreto Ministeriale amplia in modo eccessivo quanto stabilito dall'art. 38 DPR 600/1973.
Gli strumenti previsti dalla normativa in materia di accertamento delle imposte sui redditi vengono superati ed estesi in modo illegittimo, perché il potere dell'Esecutivo di intromettersi nella vita del cittadino deve essere stabilita per legge, e quindi lo strumento del Decreto Ministeriale non è idoneo a fornire all'Amministrazione poteri di controllo più penetranti da quelli individuati dalla legge.
Inoltre, il Redditometro individua parametri di riferimento per l'accertamento della congruità delle spese che il Giudice qualifica come illegittimi perché eccessivamente vaghi ed irrispettosi dell'effettiva differenziazione dei contesti socio economici di riferimento.
Secondo: la possibilità di fatto concessa all'Esecutivo di indagare ogni singolo aspetto della vita del contribuente e del suo intero nucleo famigliare, viola i principi costituzionali e Comunitari di tutela della dignità, della libertà di autodeterminazione e di uguaglianza dei cittadini.
Non solo infatti si attribuisce al Potere Esecutivo il potere di ledere il diritto alla riservatezza del contribuente e dei suoi famigliari, ma, consentendo l'indagine di ogni aspetto della sua vita privata, ne condiziona inevitabilmente le scelte private (dall'educazione dei figli, alle cure mediche, alla scelta di aderire a determinati gruppi, associazioni o simili).
Ancora, sempre con riferimento alla violazione del principio di uguaglianza, il Giudice sottolinea che la scelta del legislatore conduce inevitabilmente a privilegiare i soggetti economicamente più forti, e coloro che risiedono nelle aree economicamente più sviluppate.
È bene precisare che la lesione del diritto all riservatezza rientra in questo più ampio quadro di complessiva lesione dei principi di dignità, libertà ed uguaglianza.
Infine, il Giudice ha osservato che il meccanismo del redditometro confligge con la norma costituzionale che incentiva al risparmio, rendendo rischioso per il cittadino accumulare risparmi che potrebbero essere valutati come incongrui dall'accertatore.
Terzo, ed ultimo: l'introduzione di un metodo induttivo di accertamento del reddito con le caratteristiche del redditometro, determina un ingiustificato ed eccessivo squilibrio tra le posizioni dell'Esecutivo e del contribuente.
In effetti, non solo si sovvertono i principi dell'ordinamento determinando una sorta di presunzione di colpevolezza (peraltro tipica di i tutti i meccanismi di accertamento di natura induttiva), ma si violano i principi di cui alla l. 241/90 in ordine alla natura di leale collaborazione tra il cittadino e l'amministrazione e si pone il soggetto sui cui si effettuano gli accertamenti nella condizione di dover rendere prove che, in concreto, egli è impossibilitato a rendere.
Con il che viene insanabilmente pregiudicato il diritto alla difesa ed al contraddittorio tra le parti.
Ora, dovendo esprimere una prima e necessariamente sommaria valutazione dell'Ordinanza del Giudice di Pozzuoli, quello che appare evidente, quanto inconsueto, è la ricchezza delle argomentazioni utilizzate, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Ogni punto è ampiamente approfondito e sviluppato, ed i richiami giurisprudenziali sono abbondanti e puntuali, sempre pertinenti.
Chi scrive ritiene che sarà difficile per l'Esecutivo, che certamente ci proverà in tutti i modi possibili, contrastare le argomentazioni dell'Ordinanza di Pozzuoli, e sovvertirne gli esiti, dal punto di vista giuridico.
È però da aggiungere, come dolente nota conclusiva, che nell'Italia patria della cultura giuridica occidentale sin dai tempi dell'impero Romano, occorra la pronuncia di un giudice coraggioso per dichiarare l'illegittimità di un provvedimento come quello che introduce il redditometro, che pare invece figlio delle peggiori macchinazioni orwelliane di un Paese immaginario in cui nessuno vorrebbe vivere.Avv. Michele Branzoli