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Lunedì 07/04/2008
IRAP: UNA POSSIBILE 'APERTURA' PER GLI IMPRENDITORI NON ORGANIZZATI?
a cura di: Bollettino Tributario d'InformazioniSommario: 1. Premessa - 2. La posizione dell'Amministrazione finanziaria ante 8 febbraio 2007 (c.d. "dies IRAP") - 3. «Organizzazione rilevante», attività di lavoro autonomo e attività di impresa: la posizione della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione. La risoluzione 14 settembre 2007, n. 254/E, dell'Agenzia delle entrate - 4. L'ordinanza 5 febbraio 2008, n. 2702, della Corte di Cassazione - 5. Conclusioni.
1. Premessa Con la recente ordinanza 5 febbraio 2008, n. 2702, la Corte di Cassazione interviene nuovamente in tema di «organizzazione rilevante» [1] ai fini della configurazione del presupposto dell'IRAP, con una pronuncia che sembra aprire uno "spiraglio" per gli imprenditori privi di un'organizzazione di beni e/o persone, richiesta in via generale dall'art. 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, per l'assoggettabilità ad imposta dell'attività svolta dal soggetto. Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione rigettava l'appello presentato dall'Agenzia delle entrate, risultata soccombente in entrambi i precedenti gradi di giudizio in una causa di rimborso IRAP, intentata da un agente di commercio per mancanza del requisito dell'«autonoma organizzazione», previsto dal citato art. 2. L'interessato svolgeva l'attività "senza l'ausilio di dipendenti", col solo impiego di "beni strumentali modesti" 2. La posizione dell'Amministrazione finanziaria ante 8 febbraio 2007 (c.d. "dies IRAP") E' nota la posizione assunta dall'Amministrazione finanziaria, in relazione al requisito dell'"organizzazione rilevante" di cui si discute, anteriormente al c.d. "dies IRAP" (8 febbraio 2007), giorno in cui la Corte di Cassazione, decidendo 89 ricorsi in materia di IRAP, ha affrontato tra l'altro [2] il problema dell'assoggettabilità all'imposta degli esercenti arti e professioni. Detta posizione è riassunta nella risoluzione 31 gennaio 2002, n. 32/E [3], che richiama concetti già espressi nella circolare 4 giugno 1998, n. 141/E [4]. In estrema sintesi, la citata risoluzione porta a ritenere rientranti nella sfera della soggettività passiva IRAP praticamente tutti i lavoratori autonomi, a prescindere dal livello organizzativo dell'attività svolta, in quanto rientranti nell'elencazione dei soggetti passivi IRAP ex art. 3 del D.Lgs. n. 446/1997. Secondo tale interpretazione, che vorrebbe in definitiva assoggettabili ad IRAP tutti i titolari di partita IVA, l'imposta sarebbe sempre dovuta dal lavoratore autonomo perchè l'autonomia dell'organizzazione si identificherebbe con l'abitualità stessa della professione. Tale tesi è stata rigettata espressamente dalla Corte di Cassazione [5], che ha affermato in proposito il principio secondo cui il professionista non è mai assoggettabile ad IRAP quando lo stesso: 1) è inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; 2) impiega beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività e non si avvale di lavoro altrui. 3. «Organizzazione rilevante», attività di lavoro autonomo e attività di impresa: la posizione della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione. La risoluzione 14 settembre 2007, n. 254/E, dell'Agenzia delle entrate Riguardo alla problematica del requisito organizzativo come requisito necessario per l'assoggettabilità ad IRAP di esercenti arti e professioni, tanto la Corte Costituzionale quanto la Corte di Cassazione si sono espresse nel senso che trattasi di condizione indefettibile, da accertare caso per caso, in mancanza della quale il soggetto non assume la qualità di soggetto passivo del tributo: in tale ipotesi, infatti, non si realizza il presupposto normativamente disciplinato dall'art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997. Segnatamente, si legge nella sentenza della Corte Costituzionale 21 maggio 2001, n. 156 [6] [di rigetto delle numerose questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici di merito con riferimento alla normativa IRAP - per violazione in particolare degli artt. 3, 35 e 53 Cost. (principio di uguaglianza; tutela del diritto al lavoro; principio di capacità contributiva)], che «è evidente che nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione - il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto - risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2, dall'"esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi", con la conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa». Tale interpretazione è stata fatta propria anche dai giudici di legittimità. In particolare, nella citata sentenza n. 3678/2007 [7], si afferma che può escludersi l'esistenza del «requisito occorrente a far scattare la soggettività passiva di imposta quando il risultato economico trovi ragione esclusivamente nella autorganizzazione del professionista o comunque l'organizzazione da lui predisposta abbia incidenza marginale e non richieda necessità di coordinamento», aggiungendosi che, effettuando «una valutazione di natura non soltanto logica ma anche socio-economica», il giudice di merito potrà escludere l'esistenza dell'organizzazione rilevante ai fini dell'applicabilità dell'IRAP «laddove non sia segnalata la presenza di dipendenti e/o collaboratori o l'impiego di beni strumentali al di là di quelli indispensabili alla professione e di normale corredo del lavoratore autonomo». I principi anzidetti sono stati affermati con specifico riferimento al lavoro autonomo. Diverso è l'"approccio" delle due Supreme Corti rispetto alle attività generatrici di reddito d'impresa. "Riprendendo" un passo della sentenza n. 156/2001 della Corte Costituzionale [«mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui»: così statuendo, la Consulta sembrerebbe escludere dall'applicazione dell'IRAP, in caso di assenza di supporto organizzativo, soltanto l'attività di lavoro autonomo e non anche quella imprenditoriale], la Corte di Cassazione (sentenza n. 3678/2007) ribadisce che «invero per le imprese ... il requisito della autonoma organizzazione è intrinseco alla natura stessa dell'attività svolta (art. 2082 c.c.) e dunque sussiste sempre il presupposto impositivo idoneo a produrre VAP tassabile». Queste affermazioni sono certamente criticabili, e sul punto è sufficiente richiamare quanto osservato in precedenti occasioni [8]. In proposito basti ricordare che il requisito dell'«autonoma organizzazione», necessario per la realizzazione del presupposto, è richiesto in termini generali dall'art. 2 del D.Lgs. n. 446/1997 - che non effettua alcuna precisazione in proposito - e dunque a prescindere dalla tipologia di attività esercitata (lavoro autonomo o impresa). In realtà l'affermazione sopra riportata, di certo corretta dal punto di vista civilistico (a norma dell'art. 2082 c.c., non può esservi impresa senza organizzazione), non lo è più [9] se riferita al settore fiscale in quanto, come noto, l'art. 55 del TUIR prevede casi di (reddito di) impresa pur in assenza del requisito organizzativo. Risulta conseguentemente che la mancanza dell'«organizzazione autonoma» esclude la soggettività passiva IRAP in ogni caso, sia dunque nell'ipotesi di lavoro autonomo, sia nell'ipotesi di attività generatrici di reddito d'impresa [10]. Comunque, dell'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con riferimento ai lavoratori autonomi ha preso atto la stessa Amministrazione finanziaria con la risoluzione 14 settembre 2007, n. 254/E [11]. Peraltro, con la stessa risoluzione l'Agenzia delle entrate, richiamandosi alle citate sentenze n. 156/2001 della Corte Costituzionale, e n. 3678/2007 della Corte di Cassazione, ribadisce l'applicabilità dell'IRAP ai titolari di reddito d'impresa a prescindere dal requisito organizzativo (considerato "connaturato alla nozione stessa di impresa"). Le critiche da noi avanzate all'interpretazione fornita sul punto dalle due Supreme Corti vanno naturalmente estese anche alla citata risoluzione. 4. L'ordinanza 5 febbraio 2008, n. 2702, della Corte di Cassazione In questo contesto si inserisce l'ordinanza 5 febbraio 2008, n. 2702, della Corte di Cassazione. Come osservato all'inizio, detta pronuncia sembra rappresentare una possibile "apertura" in favore di quegli esercenti un'attività d'impresa che svolgono l'attività stessa senza l'ausilio di un apparato organizzativo apprezzabile, nei cui confronti può cioè parlarsi solo di mera «autorganizzazione» (c.d. «organizzazione di sé stesso»). Il principio di diritto accolto dalla citata ordinanza - certamente apprezzabile - è lo stesso accolto dalla precedente sentenza n. 3678/2007 della Corte di Cassazione (che infatti viene espressamente richiamata in proposito): «l'attività di lavoro autonomo, diversa dall'impresa commerciale, alla luce della interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 156 del 2001, integra il presupposto impositivo per l'IRAP ove si svolga per mezzo di una attività autonomamente organizzata. In particolare, il requisito organizzativo rilevante, il cui accertamento spetta al giudice di merito, sussiste quando il contribuente, che sia responsabile dell'organizzazione e non sia inserito in strutture riferibili alla responsabilità altrui, eserciti l'attività di lavoro autonomo con l'impiego di beni strumentali, eccedenti il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività auto organizzata per il solo lavoro personale, oppure si avvalga, in modo non occasionale, del lavoro altrui; ... è onere del contribuente, che lo chieda, allegare la prova dell'assenza delle condizioni costituenti il presupposto impositivo» [12]. Di conseguenza viene rigettato l'appello dell'Agenzia delle entrate, in quanto fondato «sull'opposta interpretazione giuridica secondo la quale il presupposto impositivo dell'IRAP non implicherebbe necessariamente l'impiego di capitali e beni strumentali e/o lavoro altrui, finendo per essere riscontrabile in re ipsa». Le affermazioni della Corte senza dubbio sono da condividere, peraltro con un'importante precisazione: la controversia riguardava un agente di commercio, la cui attività, come noto, genera reddito d'impresa. Rilevante in proposito che già nella precedente sentenza n. 3678/2007 ("utilizzata" dall'ordinanza in commento) si faceva riferimento, con "atteggiamento critico", alla circostanza che, specialmente ad opera dei giudici di prime cure, nei primi tempi l'area di inapplicabilità dell'IRAP è stata estesa «anche a categorie ontologicamente estranee a quelle di lavoro autonomo, uniche incise dal dictum della Consulta, quali gli agenti di commercio (rientranti nel paradigma dell'art. 2195 c.c. richiamato dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51 [13])» [14]. Probabilmente per non dover pronunciare una sentenza "ingiusta" [15], di accoglimento dell'appello dell'Agenzia delle entrate e conseguente rigetto della richiesta di rimborso del contribuente (che svolgeva la propria attività, come accertato dai giudici di merito, in assenza di un'organizzazione apprezzabile: un lavoratore autonomo, nelle stesse condizioni, avrebbe vista, viceversa, accolta la propria istanza), la Corte di Cassazione ha "aggirato" l'ostacolo limitandosi ad affermare che, «peraltro, la ricorrente non muove alcuna contestazione in merito alla qualificazione del reddito prodotto dal contribuente ed alla sua qualificazione come provento di lavoro autonomo, diverso da quello di impresa» [16]. Molto più semplicemente (e molto più correttamente) la Corte avrebbe dovuto rigettare l'appello dell'Agenzia delle entrate sulla base del seguente principio di diritto: «il requisito dell'"organizzazione autonoma", di cui all'art. 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, è requisito imprescindibile, ai fini dell'assoggettabilità ad IRAP, per qualsiasi tipo di attività, sia di lavoro autonomo che di impresa». 5. Conclusioni Anche se la pronuncia in esame è "un passo avanti" nella giusta direzione per il superamento dell'interpretazione che vuole assoggettati ad IRAP i soggetti imprenditori a prescindere dall'accertamento di un apparato organizzativo nello svolgimento dell'attività, ci sembra che la risposta data con l'ordinanza n. 2702/2008 della Corte di Cassazione non sia soddisfacente. Certo, una chiara presa di posizione da parte della Corte nel senso sopra visto, che sarebbe auspicabile, avrebbe comportato la negazione della sua giurisprudenza precedente sul punto. Viceversa la Corte ha formulato una pronuncia di specie, senza affrontare il tema fondamentale. Si è infatti limitata alla considerazione che l'inapplicabilità dell'IRAP consegue, in definitiva, dalla circostanza della mancata contestazione, da parte della ricorrente, «in merito alla qualificazione del reddito prodotto dal contribuente ed alla sua qualificazione come provento di lavoro autonomo, diverso da quello di impresa». Risulta dunque che se la ricorrente, diversamente da quanto avvenuto nel caso concreto, avesse mosso detta contestazione, la pronuncia avrebbe avuto - presumibilmente - un esito diverso, e ciò appare non solo "errato" ma anche "ingiusto". Prof. Andrea Colli Vignarelli Straordinario di diritto tributario
Università di Messina
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