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Venerdì 12/11/2010
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA DEL GIUDICE TRIBUTARIO
a cura di: Bollettino Tributario d'InformazioniCome puntualizza il settimo comma dell'art. 111 Cost. il dovere di motivazione della sentenza del giudice tributario è esplicazione del principio costituzionale del giusto processo.
La funzione della motivazione, infatti, ben si co- glie da subito nella prospettiva della tutela dei propri diritti e interessi e dell'effettività della difesa di cui all'art. 24, primo e secondo comma, Cost.
In tale cornice costituzionale si possono, allora, calare alcune riflessioni sull'importanza che tale elemento della sentenza assume in un momento di continua evoluzione della ricostruzione dell'oggetto del processo e dell'ambito dei poteri cognitivi e decisori del giudice tributario.
2. L'art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992 e il c.p.c.
2.1. Se la narrazione dei fatti, degli atti e delle fasi processuali costituisce l'antecedente logico del- la motivazione nella sua componente decisoria, la statuizione deve essere supportata nella sua portata regolamentare da adeguati motivi.
Di qui l'importanza di affrontare un aspetto preliminare ovvero il rapporto che esiste tra la disciplina processual-civilistica, di recente riformata, e quella del tipo processuale qui in esame alla luce di una (almeno apparentemente) diversità testuale.
Il contenuto della motivazione della sentenza è tipizzato dall'art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel quale si prevede che essa sia composta (i) dalla "concisa esposizione dello svolgimento del pro-cesso" e (ii) dalla "succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto".
Nell'art. 132 c.p.c. così come novellato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, non è più richiesta "la coincisa esposizione dello svolgimento del processo" e si è disposto, invece, che sia "coincisa" l'"esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione"; l'art. 118 delle disposizioni di attuazione al c.p.c. prevede che sia "succinta" la "esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione".
2.2. Il rapporto tra le due discipline è tale, come noto ai sensi dell'art. 1, secondo comma, del D.Lgs. n. 546/1992, da permettere l'introduzione nel processo tributario di tutte quelle disposizioni del c.p.c. che siano "compatibili".
La compatibilità non può, a nostro avviso, essere risolta ex abrupto attraverso il richiamo della regola della prevalenza della norma speciale ma è, invece, meglio percepibile considerando le norme del c.p.c. come dei parametri di riferimento per sciogliere quei (forse rari) dubbi causati dall'approssimazione e genericità del lessico o dalla sola sinonimia e non diversità.
La nostra impressione è, infatti, che il c.p.c. perde la sua valenza orientativa solo in presenza di un espresso divieto di implementazione di istituti processualcivilistici per netta scelta del legislatore tributario (peraltro sempre suscettibile di essere contestata a livello interpretativo ove del tutto incoerente e illogica con la matrice del modello processuale tributario); l'innegabile vicinanza al modello processualcivilistico, peraltro, pare rafforzata dall'inarrestabile tendenza della giurisdizione tributaria verso una cognizione (quasi) piena del rapporto tale da dover per necessità applicare ed evocare istituti del c.p.c.Bollettino Tributario