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Mercoledì 01/06/2011
IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA
a cura di: Bollettino Tributario d'InformazioniCondizioni e presupposti processuali.
1. Premessa
A circa quindici anni dall'entrata in vigore dell'attuale processo tributario tanta letteratura si è formata in materia di giudizio di ottemperanza per individuare la natura, l'oggetto, i presupposti e le funzioni dell'istituto, peculiarmente introdotto dall'art. 70 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Alcune problematiche che furono subito individuate dalla dottrina possono ormai dirsi pacificamente risol- te a seguito dei successivi interventi giurisprudenziali, ma nuove criticità si profilano e renderanno necessari ulteriori contributi interpretativi.
Il presente scritto vuole rappresentare un contributo su due delle tematiche individuate dagli interpreti, in particolare:
- sulle condizioni dell'azione, costituite dall'interesse e dalla legittimazione ad agire;
- sui presupposti processuali e sostanziali dell'azio- ne stessa, cioè sul giudicato e sull'inadempimento dell'Amministrazione allo stesso.
2. La titolarità attiva dell'azione e la parte ricorrente nel giudizio di ottemperanza
La titolarità del potere di agire in giudizio, in capo alla parte che ricorre per ottenere l'ottemperanza del giudicato, risulta individuata nel primo comma dell'art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992, ove si dispone che può agire in giudizio "la parte che vi ha interesse".
In base al dato normativo letterale può, dunque, ritenersi che la legittimazione attiva non è limitata soltanto ai soggetti che risultino titolati in base alla sentenza cui si vuole dare esecuzione, bensì è estesa ad ogni soggetto giuridico che vanti un interesse, giuridicamente rilevante, a conseguire gli effetti della sentenza "ottemperanda".
Al riguardo è stato costantemente osservato dalla dottrina che, trattandosi di attuazione del giudicato, vale quanto previsto dall'art. 2909 c.c., secondo cui «l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa».
Pacificamente, quindi, può parlarsi di legittimazione processuale attiva in capo alle parti del giudizio con-clusosi con la sentenza da eseguire per ottemperanza, nonché agli eredi ed agli aventi causa di costoro.
In effetti non si evidenziano particolari problemi ad individuare una siffatta legittimazione né in relazione ai giudizi di ottemperanza fondati su sentenze di condanna, né a quelli fondati su sentenze recanti obblighi di facere.
Circa le sentenze di condanna, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistere la legittimazione ad agire in ottemperanza per il rimborso di un credito IVA in capo all'acquirente (l'avente causa, appunto) del cre- dito stesso, in ipotesi in cui la sentenza da ottemperare si sia pronunciata sulla spettanza del credito, ma non sulla titolarità del diritto ad ottenere il rimborso (il cessionario del credito aveva quindi fatto valere la propria legittimazione soltanto in sede di giudizio di ottemperanza e non nella fase di accertamento).
Né con riguardo agli obblighi di facere potrebbe dubitarsi, ad esempio, che la legittimazione ad agire in sede di giudizio di ottemperanza spetti all'acquirente di un immobile al fine di ottenere la "messa in atti catastali" della rendita allo stesso attribuita con sentenza, anche se il giudizio di impugnativa della rendita catastale originariamente attribuita dall'Agenzia del territorio fosse stato proposto dal precedente proprietario, dante causa del ricorrente per l'ottemperanza.
In definitiva risulta pacifico che la parte dotata di le- gittimazione attiva nel giudizio possa essere individuata nelle parti della precedente fase di accertamento, ovvero nei loro eredi ed aventi causa ex art. 2909 c.c.
Ma il primo comma dell'art. 70 del D.Lgs. n. 546/1992, riferendosi alle parti che hanno "interesse" all'esecuzione della sentenza passata in giudicato, consente di individuare altri soggetti legittimati ad agi- re in ottemperanza giacché, in base al dato testuale, pare sufficiente anche un più generico interesse a che l'Amministrazione ottemperi al giudicato per consentire alla parte di agire nel giudizio di ottemperanza.
In altri termini, l'interesse ad agire cui la norma (letteralmente) fa riferimento risulta qualcosa di diveso (di antecedente e di più ampio) della stessa legit- timazione ad agire: quest'ultima riguarda la titolarità del diritto derivante dalla sentenza da porre in esecuzione, mentre l'interesse ad agire pare coincidere con il più generico interesse ad una tutela giurisdizionale sulla base della sentenza di cui si invoca l'efficacia nel processo di ottemperanza.
La distinzione non è di poco conto, considerando che l'interesse e la legittimazione ad agire costituiscono, entrambi, condizioni dell'azione, determinandone "l'ipotetica accoglibilità", che il giudice deve valutare preliminarmente allo stesso esame del merito.
Ebbene, si ritiene che il riferimento normativo al concetto di "interesse" imponga di non ridurre i titolari dell'azione ai soggetti che risultino individuati direttamente o indirettamente nelle parti del giudizio ordinario di accertamento e/o condanna (ex art. 2909 c.c. le parti, i loro eredi o aventi causa) bensì consenta di sostenere che risultano titolati ad agire per l'ottemperanza del giudicato tutti coloro che vantano il semplice interesse a che l'amministrazione esegua il giudicato ridetto.
Optando per tale interpretazione più estensiva andrà, per esempio, ritenuto ammissibile il ricorso in ottemperanza intentato da un condebitore solidale per invocare l'efficacia nei confronti dell'Amministrazione finanziaria della sentenza definitiva di annullamento dell'atto impositivo ottenuta da altro condebitore.
Ed in effetti, in materia di coobligati solidali nei confronti dell'erario (si pensi al caso di venditore ed acquirente ai fini del registro in ipotesi di avviso di rettifica di valore), è nota l'applicabilità della regola di cui all'art. 1306 c.c. in virtù della quale la sentenza resa nei confronti di uno dei condebitori solidali è opponi- bile al Comune creditore allorché non risulti fondata su motivi personali del debitore che la ha ottenuta.
Unici limiti per il debitore che invoca l'efficacia del giudicato reso nei confronti di altro condebitore sono costituiti: a) dalla formazione di un giudicato diretto, cioè reso nei suoi confronti; b) dal pagamento spon- taneo dei maggiori tributi accertati.
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