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Circolare Agenzia Entrate n.18 del 27/12/2021
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pdf-html CIRCOLARE N. 18/E
Roma, 27 dicembre 2021
OGGETTO: Circolare ATAD n. 1 – Chiarimenti in tema di Società Controllate Estere (CFC) - articolo 167 del TUIR, come modificato dall’articolo 4 del decreto legislativo 29 novembre 2018, n. 142
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4.3IL TEST PER LE ENTITĂ€ ESTERE CONSIDERATE FISCALMENTE TRASPARENTI NELLO
4.3.2 Partecipazione indiretta ("doppia trasparenza” e "ibrido inverso”)
5 IL CONSEGUIMENTO DA PARTE DEL SOGGETTO ESTERO CONTROLLATO DI
5.1PROVENTI DERIVANTI DA ATTIVITĂ€ ASSICURATIVA, BANCARIA E ALTRE ATTIVITĂ€
5.2I PROVENTI DERIVANTI DA OPERAZIONI DI COMPRAVENDITA DI BENI E PRESTAZIONI DI
7.3LA TASSAZIONE SEPARATA E LA SEGREGAZIONE DEI REDDITI E DELLE PERDITE DELLA
8.2ALTRE OPERAZIONI STRAORDINARIE (FUSIONI, SCISSIONI E CONFERIMENTI) CHE
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Premessa
La disciplina relativa alle c.d. "Controlled Foreign Companies” (di seguito, CFC) contenuta nell’articolo 167 del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito "TUIR”) ha la finalità di rendere imponibili in capo ai soggetti residenti o stabiliti in Italia gli utili prodotti dalle società estere controllate1 che beneficiano di una tassazione ridotta nello Stato di insediamento e che, al tempo stesso, risultano titolari di determinate categorie di proventi (passive income), senza svolgere un’attività economica effettiva. L’imposizione derivante dall’applicazione delle disposizioni previste dalla disciplina CFC viene subita dal soggetto controllante italiano, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili e in modo separato, indipendentemente dall’effettiva percezione degli stessi utili sotto forma di dividendi.
La normativa CFC, introdotta nel nostro ordinamento con l’articolo 1, lettera a), della legge 21 novembre 2000, n. 3422 e oggetto di ripetute modifiche nel corso degli anni, è stata recentemente riformata dall’articolo 4 del decreto legislativo 29 novembre 2018 n. 142 (di seguito, "Decreto” o "Decreto ATAD”), attuativo della Direttiva UE 2016/1164 (c.d. "Direttiva ATAD”, in seguito anche "Direttiva”3), recante norme di contrasto alle pratiche di elusione fiscale attuate a livello transnazionale.
Prima delle novitĂ apportate con il citato decreto, la normativa in commento era caratterizzata da un sistema duale: alla originaria disciplina ideata per le sole societĂ localizzate in Stati o territori cosiddetti black list, il legislatore aveva
1Nonché dalle stabili organizzazioni all’estero di imprese residenti in Italia per le quali eĚ€ applicabile il regime di branch exemption.
2La citata disposizione ha inserito nel TUIR l’articolo
127-bis (diventato nel 2004, a seguito della riforma Tremonti, articolo 167) con decorrenza dal periodo d’imposta avente inizio successivamente a quello in corso alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti attuativi di cui al comma 4 dell’articolo127-bis del TUIR. Si tratta del D.M. 21 novembre 2001, recante la lista degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato (c.d. black list), e del D.M. 21 novembre 2001, n. 429, contenente disposizioni applicative della disciplina.3Direttiva UE 2016/1164 del 12 luglio 2016 del Consiglio, recante «norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno» (cd. "ATAD 1” – Anti Tax Avoidance Directive), successivamente modificata dalla direttiva UE 29 maggio 2017 n. 2017/952 del
Consiglio (cd. "ATAD 2”).
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affiancato, a decorrere dal 2010, una disciplina indirizzata alle società residenti in tutti gli altri Stati o territori cosiddetti white list, inclusi gli Stati membri dell’Unione Europea e dello Spazio economico europeo.
Sebbene concepite per finalitĂ differenti, le due normative hanno finito sostanzialmente per sovrapporsi quando:
â’nel 2015, sono stati prima modificati i criteri qualificanti gli Stati o territori da inserire nella c.d. black list, con l’eliminazione del requisito dell’esistenza di un adeguato scambio di informazioni con il Paese estero, a favore del criterio basato sul livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia;
e, in un secondo momento,
â’con il venir meno della stessa black list, sganciando la tassazione separata per trasparenza da una lista predefinita di Paesi considerati a fiscalitĂ privilegiata dall’ordinamento interno. Ciò ha comportato la necessitĂ , per i contribuenti, di dover effettuare una doppia verifica in relazione a ciascuna societĂ controllata estera4 al fine di escludere che tali societĂ ricadessero nell’ambito applicativo delle normative in esame, aventi presupposti ed esimenti differenti.
In particolare, la prima disciplina contenuta nel comma 1 dell’articolo 167 del TUIR, nella versione in vigore fino al 2018, individuava i Paesi a regime fiscale privilegiato sulla base del livello di tassazione nominale inferiore a più della metà di quello applicabile in Italia, tenendo conto anche di regimi fiscali speciali. Per evitare l’imputazione del reddito per trasparenza, doveva sussistere una delle due esimenti previste nel previgente comma 5:
a)la società o l’ente non residente doveva svolgere un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività , nel mercato dello Stato o territorio
4Ad eccezione delle controllate europee e del SEE potenzialmente rientranti nell’ambito applicativo del solo comma
8-bis, per effetto della esclusione espressa contenuta nel comma 1 dell’articolo 167 del TUIR.6
di insediamento;
b)dalle partecipazioni nell’entità estera, il soggetto residente non doveva conseguire l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (esimente generalmente richiamata attraverso la nozione di "congrua imposizione”).
La seconda disciplina, regolata dal comma
8-bis dell’art. 167 del TUIR, individuava i Paesi a regime fiscale privilegiato in base al livello di tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella cui la controllata estera sarebbe stata soggetta qualora residente in Italia ed alla circostanza che più del 50 per cento dei proventi della società estera fosse costituito da c.d. passive income. L’esimente prevista nel previgente comma8-ter, in linea con la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, consisteva nel dimostrare che l’insediamento all’estero non rappresentasse «[…] una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale».In fase di recepimento della Direttiva ATAD, nell’adeguare la normativa italiana alle disposizioni unionali, il legislatore ha riformato l’intero sistema CFC, anche nell’ottica di ridurre la complessità del relativo meccanismo applicativo.
La principale novità recata dal citato decreto legislativo n. 142 del 2018, in tema di normativa CFC, consiste proprio nella sostituzione del citato doppio sistema con un’unica fattispecie, valida a prescindere dallo Stato di residenza o di localizzazione della società estera e al ricorrere di due requisiti:
i.l’assoggettamento a una tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui la controllata estera sarebbe stata soggetta qualora residente in Italia; e
ii.la riferibilità di oltre un terzo dei propri proventi a determinate categorie di ricavi ("passive income”).
Oltre a questo aspetto, si ricordano brevemente le modifiche della disciplina, cosĂŹ come risultante a seguito della riforma, che saranno trattati nel seguito in maniera approfondita:
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â’inclusione, tra i soggetti tenuti ad applicare la CFC, delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, in relazione alle entitĂ estere da esse controllate;
â’conferma dell’inclusione, tra i soggetti esteri, delle stabili organizzazioni di soggetti residenti in regime di branch exemption di cui all’articolo
168-ter del TUIR;â’estensione della nozione di controllo, diretto o indiretto, anche ai casi di partecipazione agli utili superiore al 50 per cento;
â’riduzione dal 50 per cento ad un terzo della soglia dei proventi da "passive income” affinché la societĂ controllata estera, sussistendo gli altri requisiti, possa essere considerata una CFC;
â’previsione di una sola circostanza esimente che consiste nello svolgimento di un’attivitĂ economica effettiva mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali ed eliminazione del requisito del radicamento della CFC nel mercato dello Stato o territorio in cui la stessa eĚ€ localizzata;
â’eliminazione della presunzione contenuta nell’articolo 167, comma
5-bis, del TUIR (che presupponeva un rafforzamento della c.d. esimente dell’attivitĂ effettiva qualora i proventi della controllata estera fossero stati generati per piĂą del 50 per cento dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attivitĂ finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietĂ industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi, anche finanziari, nei confronti dei soggetti del medesimo gruppo);â’modifica dell’elenco dei proventi c.d. "passive”.
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Delineato in termini generali il quadro d’insieme, la presente circolare fornisce nel seguito primi chiarimenti in merito alla novellata disciplina CFC, contenuta nel vigente articolo 167 del TUIR5, applicabile a partire dal periodo
5Il comma 13 dell’articolo 167 del TUIR prevede un decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze che detti disposizioni attuative della disciplina in esame. L’articolo 13, comma 7, del Decreto stabilisce
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d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2018 ovvero, nella generalità dei casi, a partire dal periodo d’imposta 2019.
In particolare, dopo aver illustrato le finalità e il contesto normativo di riferimento della disciplina (v. paragrafo 1), il presente documento si sofferma sui requisiti per l’applicazione della stessa, distinguendo quelli soggettivi (analizzati nel successivo paragrafo 2) da quelli oggettivi, individuati nei commi da 2 a 4 del nuovo articolo 167 del TUIR e consistenti nel:
â’controllo esercitato dal soggetto residente nei confronti della partecipata estera (v. successivo paragrafo 3);
â’basso livello di tassazione scontato dalla stessa partecipata nel Paese estero, ovvero dalla propria stabile organizzazione, qualora abbia trovato applicazione il regime di esenzione sugli utili della stabile organizzazione previsto per norma interna dello Stato della casa madre (v. paragrafo 4); e
â’conseguimento di specifici proventi (v. paragrafo 5).
Successivamente, vengono forniti chiarimenti in merito alla circostanza esimente (v. paragrafo 6) e agli effetti che derivano dall’applicazione della disciplina CFC come innovata dal Decreto (v. paragrafo 7 e ss.).
che, in attesa di uno specifico provvedimento attuativo, sono ancora applicabili le disposizioni del D.M. n. 429 del 2001, emanato in attuazione della previgente normativa CFC, ove compatibili con la "nuova” normativa: cfr. sul punto paragrafo 1.3).
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1 FINALITĂ€ E CONTESTO NORMATIVO
1.1Il Rapporto BEPS - Azione 3
Come anticipato, la finalità dell’istituto è quella di evitare che contribuenti
con società controllate estere localizzate in Paesi con livelli di tassazione particolarmente ridotti o nulli possano trasferire base imponibile a queste ultime. In particolare, nei regimi CFC viene operata la tassazione del reddito della società controllata estera in capo al controllante residente; ciò a prescindere dal regime tributario applicabile alla successiva distribuzione di tali redditi.
Si evidenzia, al riguardo, come i regimi CFC, inizialmente caratterizzati da una finalità anti differimento dell’imposizione
("anti-deferral”), abbiano assunto oggi una più marcata connotazione antiabuso, rientrante nel generale interesse degli Stati di intercettare e contrastare fenomeni di erosione di base imponibile ("base erosion and profit shifting”), anche attraverso schemi di pianificazione fiscale aggressiva attuati su scala transnazionale e volti a minimizzare il carico impositivo complessivo di gruppo.A livello internazionale, tale finalità è stata al centro dei lavori svolti dall’OCSE nell’ambito del progetto "BEPS” ("Base Erosion and Profit Shifting”) avviato nel 2013, che ha visto nel 2015 la pubblicazione di tredici Rapporti contenenti misure di contrasto ai fenomeni di erosione delle basi imponibili e trasferimento di utili all’estero, suddivise in quindici campi di azione (cosiddette "15 Azioni BEPS”).
Le conclusioni raggiunte nei Rapporti (siano esse standard minimi, raccomandazioni o buone pratiche) possono essere ricondotte al perseguimento di tre obiettivi (o "pilastri/pillars” nella terminologia OCSE): 1) Coerenza nelle disposizioni introdotte dagli Stati; 2) Prevalenza della sostanza rispetto alla forma;
3)Trasparenza e certezza. Il progetto ha inoltre affrontato temi trasversali, quali l’economia digitale e la previsione di uno strumento multilaterale per consentire di apportare in maniera rapida le necessarie modifiche alle disposizioni di natura convenzionale contenute nei trattati contro le doppie imposizioni.
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Nell’ambito del Pilastro I si colloca l’Azione 3 ("Designing effective controlled foreign company CFC rules”), che prevede la definizione di "migliori pratiche” da adottare nella predisposizione di norme interne volte a individuare e assoggettare a imposizione i redditi imputati a società controllate estere localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata.
Da quando la prima normativa CFC è stata emanata negli USA nel 19626, un numero crescente di Stati o territori ha introdotto disposizioni interne analoghe. Secondo l’OCSE, tuttavia, queste misure necessitavano di un rafforzamento e di un adeguamento al mutato quadro internazionale. Molto spesso, infatti, le norme
6Gli Stati Uniti sono stati il primo Paese ad introdurre una disciplina CFC nel proprio ordinamento, con le disposizioni di cui alla "Subpart F”. La disciplina era finalizzata ad evitare che un sistema come quello americano, basato sul principio della tassazione su base mondiale dei soggetti fiscalmente residenti, si riducesse ad un sistema sostanzialmente territoriale. A tal fine, i soci residenti erano assoggettati a tassazione per un deemed dividend, pari ai redditi prodotti all’estero e a prescindere dall’effettiva distribuzione. à stato osservato come questo sistema consentisse di rendere neutrale l’esportazione dei capitali: non veniva pregiudicata la competitività delle imprese americane e, al tempo stesso, si rispettavano le regole del diritto internazionale che impedivano di tassare i non residenti per redditi non prodotti nel proprio territorio. La normativa si applicava a tutte le società controllate estere, a prescindere dallo Stato di residenza, secondo un approccio "transactional”, ossia imputando al socio statunitense solo i redditi passivi, permettendo il differimento dell’imposta per i redditi attivi prodotti dalla controllata estera. La definizione di questo regime rispondeva ad una precisa scelta politica, in linea con le indicazioni della Società delle Nazioni.
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CFC esistenti nel 2013 non erano adeguate ai cambiamenti registratisi nel contesto economico internazionale e diverse legislazioni non prevedevano disposizioni idonee a contrastare efficacemente l’erosione di base imponibile ed i rischi di spostamento degli utili all’estero.
In particolare, il Rapporto dell’Azione 3 contiene raccomandazioni sugli elementi a base della elaborazione di regole CFC efficaci, che riguardano i seguenti aspetti: (i) profili definitori della CFC; (ii) esenzioni e soglie applicative; (iii) approcci per determinare il tipo di reddito soggetto alla regola; (iv) calcolo del reddito imponibile; (v) attribuzione del reddito CFC ai soci; (vii) misure per eliminare o ridurre il rischio di doppia imposizione.
Queste raccomandazioni non costituiscono standard minimi7 ma sono progettate per garantire che le giurisdizioni che scelgono di attuarle dispongano di regole che impediscano ai Gruppi multinazionali, ed in particolare alle varie entitĂ che li compongono, di spostare in modo improprio il reddito in controllate estere.
L’Organizzazione internazionale ha stimato che, a metà del 2019, quasi 50 Paesi OCSE/G20 hanno adottato norme CFC e un numero significativo di altri Paesi sta prendendo in considerazione l'adozione delle norme CFC per la prima volta.
7Al centro delle misure BEPS si collocano quattro "standard minimi” contenuti nei Rapporti sull’Azione
5(Countering Harmful Tax Practices More Effectively, Taking into Account Transparency and Substance), sull’Azione 6 (Preventing Treaty Benefit in Inappropriate Circumstances), sull’Azione 13
(Re-examine Transfer Pricing Documentation), e sull’Azione 14 (Making Dispute Resolution Mechanisms More Effective). Gli standard minimi, elaborati per contrastare situazioni in cui l’inerzia di alcuni Paesi avrebbe creato effetti negativi per gli altri, anche in termini di competitività , sono oggetto di un processo di monitoraggio volto a garantire che siano implementati da tutti i membri del "Quadro Inclusivo” in modo da raggiungere una condizione di parità tra gli Stati.12
Definizione di
CFC
Esclusioni dalle
regole CFC e
soglie
d’ingresso
Definizione di
reddito
Determinazione
del reddito
Attribuzione del
reddito
Prevenzione ed
eliminazione della doppia imposizione
Criteri per verificare se un socio abbia una sufficiente influenza su una partecipata estera. Concetto ampio di legal entity
Applicazione delle CFC rules alle partecipate estere la cui aliquota fiscale effettiva sia sensibilmente inferiore (50%) a quella della controllante
Definizione del reddito da CFC da parte delle singole giurisdizioni ed indicazione di una lista non esaustiva di approcci
Utilizzo delle regole fiscali della parent company. Le perdite della singola CFC sono utilizzabili solo per compensare futuri utili della stessa CFC o di CFC poste nello stesso territorio
Attribuzione di una soglia vincolata alla percentuale di possesso
(minimum control threshold) e attribuzione del reddito secondo una percentuale di possesso o influenza (alla fine dell’esercizio sociale o durante l’anno)
Prevenire ed eliminare fenomeni doppia imposizione con riconoscimento del credito d’imposta e esclusione da tassazione di dividendi e plusvalenze su azioni CFC laddove il reddito della partecipata CFC è già stato tassato in base alle CFC rules
1.2La Direttiva ATAD
L’esperienza dei lavori in tema di BEPS ha consentito di individuare i fattori
alla base delle strategie di inappropriata localizzazione dei profitti (e quindi delle basi imponibili nazionali), nonché di valutare la loro complessitĂ . La necessitĂ di assicurare che l’imposta sul reddito sia versata nel luogo in cui si svolgono le attivitĂ economicamente significative che generano il valore e gli utili ha rappresentato un obiettivo di politica di fiscalitĂ internazionale condiviso anche dall’Unione europea. In particolare, in ambito unionale, eĚ€ stata fortemente avvertita l’esigenza di introdurre nel mercato interno soluzioni comuni e coordinate contro le pratiche di elusione e di pianificazione fiscale aggressiva, nella convinzione che un efficace contrasto a tali pratiche non potesse essere lasciato alle iniziative dei singoli Stati membri.
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Porre rimedio a fenomeni di elusione fiscale e di pianificazione fiscale aggressiva che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno ha costituito, in questo contesto, una priorità politica confermata dal fatto che la proposta di Direttiva ATAD, presentata dalla Commissione il 28 gennaio 2016, tenendo conto delle raccomandazioni (non vincolanti) contenute nei Rapporti BEPS, è stata adottata dal Consiglio "Economia e finanza” il 12 luglio dello stesso anno.
Le disposizioni introdotte dalla Direttiva hanno carattere generale mentre la loro attuazione, pur nel rispetto degli standard minimi ivi fissati, viene lasciata a ciascuno Stato membro cosĂŹ da consentire la definizione degli elementi di dettaglio e delle modalitĂ applicative in coerenza con i rispettivi regimi fiscali (cfr. considerando n. 3 della Direttiva).
Sebbene preveda un certo margine di discrezionalità nel suo recepimento, la Direttiva ha previsto, come anticipato, l’adozione in Europa di standard minimi di protezione, basati sugli esiti dei lavori OCSE sul BEPS, in grado di assicurare le condizioni per una concorrenza equa tra gli Stati membri.
Si ricorda, inoltre, che l’articolo 3 della Direttiva ATAD stabilisce che essa «non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a salvaguardare un livello di protezione più elevato delle basi imponibili nazionali per l’imposta sulle società ».
In sostanza, la Direttiva è vincolante per gli Stati membri, per i quali il termine per il suo recepimento nei propri ordinamenti era stato fissato al 31 dicembre 2018, ma, al tempo stesso, viene lasciata a ciascuno Stato la facoltà di adottare norme antielusive ancora più rigorose8. Ciò che non è permesso, di contro, è l’adozione di disposizioni antielusive meno stringenti rispetto a quanto prescritto dalla Direttiva (per il recepimento della Direttiva ATAD nei diversi Stati Membri
8 Nel Considerando n. 12 sono indicate due ipotesi in cui si può perseguire un livello di protezione maggiore: in fase attuativa, gli Stati membri potrebbero decidere di abbassare la soglia di controllo necessaria per far scattare la norma antielusiva in esame oppure fissare una soglia più elevata nel raffronto tra l’imposta sulle società realmente versata e l’imposta che sarebbe stata applicata nello Stato membro del contribuente.
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cfr. ALLEGATO n. 1).
I fattori chiave di questa scelta mirano a bilanciare la necessità di garantire sistemi fiscali favorevoli agli investimenti e allo sviluppo economico con quella di prevenire l’erosione della base imponibile; il tutto sempre tenendo fermo l’obiettivo di ridurre al minimo gli oneri di adempimento e amministrativi per i contribuenti e per le amministrazioni fiscali.
Posto che il fenomeno dell’erosione delle basi imponibili che la Direttiva intende contrastare riguarda non solo quello derivante dai rapporti dei contribuenti europei con Stati terzi, ma anche quello che si verifica all’interno dell’Unione, il Consiglio suggerisce agli Stati membri di prevedere una esclusione che rispetti le libertà fondamentali, basata sulla nozione di sostanza economica. Tale esclusione dovrebbe essere volta a circoscrivere l’applicazione della normativa CFC, all’interno dell’Unione, alle sole ipotesi in cui la società controllata estera non svolga un’attività economica effettiva. Inoltre, nel Considerando n. 12 si aggiunge: «à importante che le amministrazioni fiscali e i contribuenti cooperino per raccogliere le circostanze e i fatti pertinenti al fine di determinare se la norma di esclusione vada applicata [...]».
1.3Il decreto legislativo n. 142 del 2018
Sulla base di quanto sopra illustrato, la Direttiva ha reso pertanto obbligatorio
introdurre in tutta l’Unione europea una normativa sulle CFC, prima adottata solo da alcuni Stati membri, tra cui l’Italia, dettando agli articoli 7 e 8 disposizioni specifiche in materia.
Come anticipato in premessa, in attuazione delle suddette disposizioni, a livello nazionale, è stato emanato il decreto legislativo n. 142 del 20189, il cui articolo 4 ha riformulato l’articolo 167 del TUIR per renderlo conforme alla disciplina comunitaria (per la sintesi delle principali modifiche alla disciplina CFC si veda ALLEGATO n. 2).
9Pubblicato sulla G.U. n. 300 del 28 dicembre 2018.
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Nella relazione illustrativa al Decreto si trovano commentate le principali scelte operate dal legislatore in fase di recepimento. In merito all’applicazione delle disposizioni in tema di CFC, si ricorda come l’articolo 7 della Direttiva abbia previsto due approcci differenti:
â’l’approccio per categorie di reddito (cosiddetto "categorical”), che prevede l’imputazione al contribuente residente dei redditi non distribuiti dalla CFC, rientranti fra i passive income (ossia redditi derivanti da proventi facilmente trasferibili in altri Stati o territori), di cui all’articolo 7, comma 2, lettera a), della Direttiva. Nell’ambito di tale approccio, viene consentito di non applicare la relativa disciplina se non oltre un terzo di tali redditi rientri nelle categorie dei passive income;
â’un secondo approccio, focalizzato sul distoglimento dei redditi dallo Stato della controllante (cosiddetto "diversion from parent jurisdiction”), indicato nell’articolo 7, comma 2, lettera b) della Direttiva, che dispone l’imputazione al contribuente dei redditi non distribuiti delle entitĂ controllate localizzate in un Paese a fiscalitĂ privilegiata che derivano da costruzioni non genuine poste in essere essenzialmente allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale derivante dall’attribuzione del reddito a tali controllate, in assenza di attivitĂ economicamente significative cui ricollegare la produzione del reddito cosĂŹ distolto. Secondo questo approccio, i redditi da includere nella base imponibile del contribuente sono limitati agli importi generati dagli attivi e dai rischi collegati alle funzioni significative del personale svolte nello Stato della societĂ controllante (cfr. articolo 8, paragrafo 2, della Direttiva).
In fase di recepimento, «al fine di contemperare le esigenze di semplificazione delle modalità di applicazione della disciplina con la necessità di conservare la coerenza dell’ordinamento tributario preesistente», il legislatore ha adottato un approccio «che prevede l’imputazione al soggetto residente di tutti i redditi del soggetto controllato non residente […] qualora quest’ultimo realizzi proventi per oltre un terzo derivanti da passive income» (cfr. relazione illustrativa
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Capo III- Sezione I - Disposizioni in materia di societĂ controllate estere).
Si tratta, a ben vedere, di un approccio "misto”, che presenta analogie con quanto previsto dalla previgente normativa CFC italiana rivolta ai c.d. Paesi white list. In sostanza, il conseguimento di redditi passivi (rectius proventi da attività "passive”) da parte della controllata in misura superiore alla soglia prevista costituisce unicamente una "condizione di ingresso” nella disciplina. Come in passato, tuttavia, al verificarsi delle situazioni previste dalla norma, la tassazione ricomprende l’intero reddito della CFC (sia se derivante da attività "passive” o da altre attività e senza distinguere se derivante dal distoglimento di base imponibile dall’Italia, c.d. "diverted from parent jurisdiction”, o da altre giurisdizioni, c.d. "foreign to foreign”) che viene imputato per trasparenza in capo al controllante residente.
Questa impostazione, oltre ad essere giustificata da motivi di semplificazione, è espressamente contemplata nel Considerando n. 12 della Direttiva in cui si ammette, tenendo conto delle priorità politiche dello Stato in cui risiede il soggetto controllante, che «le norme sulle società controllate estere possono riguardare un’intera controllata soggetta a bassa imposizione o specifiche categorie di reddito oppure essere limitate ai redditi artificialmente dirottati verso la controllata».
Occorre evidenziare che se, da un lato, nel nuovo sistema il legislatore italiano ha scelto di assoggettare integralmente a tassazione per trasparenza il reddito dell’entità controllata estera, dall’altro lato non si è avvalso della facoltà , prevista al paragrafo 2, lettera a), dell’articolo 7 della Direttiva, di applicare in via automatica tale tassazione (al ricorrere delle condizioni ivi indicate) in presenza di controllate situate in Paesi diversi da quelli europei o dello Spazio economico europeo. Nell’articolo 4 del decreto legislativo n. 142 del 2018, infatti, la possibilità di dimostrare l’esimente dello svolgimento di una «attività economica sostanziale» viene riconosciuta a prescindere dal Paese di residenza o di localizzazione della CFC.
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Sempre per garantire continuità - rispetto al passato - nell’applicazione del regime, il legislatore italiano ha deciso di non esercitare le seguenti opzioni previste dalla normativa comunitaria:
â’«lo Stato membro può scegliere di non trattare le imprese finanziarie come societĂ controllate estere se non oltre un terzo dei redditi dell’entitĂ appartenenti alle categorie di cui al paragrafo 2, lettera a), deriva da operazioni con il contribuente o le sue imprese associate» (cfr. paragrafo 3, secondo periodo, dell’articolo 7 della Direttiva);
â’«gli Stati membri possono escludere dall’ambito di applicazione del paragrafo 2, lettera b), un’entitĂ o una stabile organizzazione:
a)con utili contabili non superiori a 750 000 EUR e redditi non derivanti da scambi non superiori a 75 000 EUR; o
b)i cui utili contabili non ammontano a piĂą del 10 per cento dei suoi costi
di esercizio nel periodo d’imposta» (cfr. paragrafo 4 dell’articolo 7 della Direttiva).
Il testo approvato del Decreto ATAD ha tenuto conto, infine, di alcune indicazioni rese dalla VI Commissione finanze e tesoro del Senato della Repubblica e della VI Commissione finanze della Camera dei deputati.
Si tratta, in particolare, della previsione contenuta nell’articolo 4, comma 4, riformulata in modo da chiarire che rientrano nella nozione di "passive income” non solo le cessioni ma anche gli acquisti di beni nonché le prestazioni di servizi rese e ricevute con valore economico aggiunto scarso o nullo. Al riguardo, eĚ€ stato accolto il suggerimento di richiamare espressamente il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 14 maggio 2018 in materia di prezzi di trasferimento che, seppur «riferiti ai servizi a basso valore aggiunto, risultano applicabili anche ai fini della determinazione del valore dei beni con scarso valore economico aggiunto» (cfr. relazione illustrativa al decreto).
Si evidenzia, infine, che il comma 13 dell’articolo 167 del TUIR continua a demandare ad un decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze le
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disposizioni attuative della disciplina in esame. Per la normativa CFC in vigore fino al 2018, il decreto attuativo di riferimento è il D.M. n. 429 del 21 novembre 2001.
L’articolo 13, comma 7, del Decreto stabilisce che, in attesa di uno specifico provvedimento attuativo, sono ancora applicabili le disposizioni del citato D.M. n. 429 del 2001 compatibili con la "nuova” normativa.
Nell’affrontare i vari aspetti della disciplina CFC verranno, di volta in volta, richiamate le disposizioni del D.M. n. 429 del 2001, evidenziando quelle che sono ancora in vigore, in quanto non contrastano con la normativa introdotta dal Decreto a partire dal 2019 (cfr. ALLEGATO n. 3).
Si osserva, inoltre, che eventuali operazioni finalizzate a sottrarre redditi dall’applicazione della medesima disciplina potranno essere valutate in termini di sindacato da parte dell’Amministrazione finanziaria ai sensi della disciplina dell’abuso del diritto di cui all’articolo
10-bis dello Statuto del contribuente (legge 27 luglio 2000, n. 212), al fine di verificare l’eventuale strumentalizzazione o aggiramento della normativa CFC e dei criteri interpretativi indicati nella presente circolare.19
2 AMBITO SOGGETTIVO
2.1I soggetti controllanti residenti
Il comma 1 dell’articolo 167 del TUIR individua l’ambito soggettivo di
applicazione della norma. In particolare, la nuova disciplina CFC si applica ai soggetti fiscalmente residenti nel territorio dello Stato italiano, nonché alle stabili organizzazioni ivi localizzate di soggetti residenti all’estero che detengono il controllo di soggetti non residenti.
Con specifico riferimento ai soggetti residenti, il novellato testo dell’articolo 167 del TUIR conferma, al comma 1, l’applicazione della norma in esame alle persone fisiche, ai soggetti di cui all’articolo 5 del TUIR (società semplici, società di persone ed enti equiparati), ai soggetti IRES di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a), b) e c) del TUIR.
In sostanza, la disciplina CFC si rivolge a tutti i soggetti IRPEF e IRES residenti in Italia, indipendentemente dalla forma giuridica assunta e dall’attività svolta.
Stante l’ampia portata della norma, il regime è applicabile alle persone fisiche, esercenti o meno attività di impresa, alle società e agli enti commerciali e non commerciali, agli OICR e ai trust. Si ricorda che, ai sensi del comma 2, dell’articolo 73, sono da includere tra i soggetti indicati nelle lettere b) e c) del comma 1, anche «le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifica in modo unitario ed autonomo».
Per la nozione di residenza, occorre invece aver riguardo a quanto stabilito:
â’nell’articolo 73, comma 3, del TUIR secondo cui, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti: (i) le societĂ e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato nonché (ii) gli organismi di investimento collettivo del risparmio (riconosciuti come tali) istituiti in Italia;
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â’nell’articolo 2, comma 2, del TUIR in base al quale si considerano residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nell’Anagrafe della popolazione residente, o hanno il domicilio o la residenza in Italia ai sensi del codice civile.
Ciò implica l’applicazione della CFC rule anche a quei soggetti rispetto ai quali, nonostante la dichiarata residenza all’estero, sia stata accertata la residenza fiscale in Italia a seguito di apposita attività di controllo.
Analogamente, la normativa CFC trova applicazione nei confronti di quei soggetti che, in virtù di specifiche presunzioni previste dall’ordinamento, sono considerati fiscalmente residenti in Italia. Ci si riferisce in particolare, agli articoli 2, comma
2-bis, e 73, commi 3,5-bis e5-quater, del TUIR, riferiti, rispettivamente alle persone fisiche e alle società e agli enti soggetti all’IRES. In entrambi i casi, si tratta di presunzioni relative che possono essere superate in caso di effettiva residenza fiscale all’estero del contribuente.Ai fini in esame, qualora il soggetto controllante (sia persona fisica che giuridica) risulti fiscalmente residente oltre che in Italia in altri Paesi, in virtù dei rispettivi ordinamenti interni, resta comunque ferma l’applicazione delle eventuali Convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.
Ciò implica che la disciplina CFC non operi, ad esempio, nei confronti di una persona fisica controllante che è considerata fiscalmente residente in più Stati il cui conflitto di residenza, tuttavia, è stato risolto a favore della residenza estera in base alle regole previste nei trattati internazionali vigenti tra gli Stati coinvolti.
Diversamente, la disciplina in esame si applica in capo al soggetto controllante che, alla luce delle suddette disposizioni convenzionali, è da considerare residente in Italia.
2.2I soggetti controllanti non residenti
La prima rilevante novitĂ rispetto alla disciplina previgente risulta essere
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l’inclusione, tra i soggetti cui si applica la norma, delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, a prescindere dal regime fiscale che casa madre applica nei confronti di queste ultime nel proprio Paese di residenza (cfr. articolo 167, comma 1, del TUIR).
Come chiarito nella relazione illustrativa al Decreto ATAD, una stabile organizzazione rientra nell’ambito applicativo della normativa CFC in relazione «alle partecipazioni nella controllata estera che fanno parte del patrimonio della stabile organizzazione». A tal fine, anche in assenza di specifica Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra lo Stato italiano e lo Stato di residenza della casa madre, occorrerà far riferimento al Report dell’OCSE (Report on the attribution of profits to permanent establishments, 22 luglio 2010), in cui è stato elaborato il cosiddetto Authorized OECD Approach (AOA o Approccio OCSE Autorizzato).
In base a tale approccio, la stabile organizzazione è considerata come un’entità separata e indipendente rispetto alla entità cui essa appartiene, svolgente le medesime o analoghe attività , in condizioni identiche o similari, tenendo conto delle funzioni svolte, dei rischi assunti e dei beni utilizzati. Anche il fondo di dotazione congruo riferibile alla branch è determinato in conformità ai criteri appena delineati.
Per quanto riguarda la nozione di stabile organizzazione rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina CFC, occorre fare riferimento a quanto previsto dall’articolo 162 del TUIR, fatta salva l’applicazione di definizioni più restrittive previste dall’eventuale Convenzione per evitare le doppie imposizioni applicabile nel caso di specie. In altri termini, in mancanza di una fonte internazionale vincolante per gli Stati, si potrà configurare una stabile organizzazione italiana in presenza dei soli requisiti previsti nell’articolo 162 del TUIR10.
10 Nel caso in cui risulti applicabile una Convenzione per evitare le doppie imposizioni occorre far riferimento alla nozione contenuta nella Convenzione, salva l’ipotesi in cui essa risulti meno favorevole per il contribuente (ossia preveda requisiti meno stringenti per la configurazione di una stabile organizzazione rispetto all’art. 162 del TUIR), ciò in base al principio di non aggravamento di cui
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A partire dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni, l’estensione del perimetro applicativo della normativa antielusiva in esame anche ai soggetti non residenti comporta la continuazione della eventuale tassazione per trasparenza in capo al soggetto che perde lo status di residente fiscale con effetto dall’inizio del periodo d’imposta, qualora la sua presenza sul territorio italiano configuri comunque una stabile organizzazione nel medesimo periodo d’imposta (o anche nei periodi d’imposta successivi).
Allo stesso modo, un soggetto estero che si trasferisca in Italia nella seconda metà del periodo d’imposta, pur acquisendo la residenza fiscale nel nostro Paese solo a partire dal periodo d’imposta successivo, potrà potenzialmente rientrare nell’ambito applicativo dell’articolo 167 del TUIR fin dal momento del suo trasferimento, se tale trasferimento comporti una presenza sul territorio dello Stato che soddisfa i requisiti per riconoscere l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia11.
2.3I soggetti esteri controllati
Ai sensi del novellato articolo 167, comma 2, del TUIR può costituire una
CFC un’impresa, una società o un ente estero rispetto al quale sussiste un rapporto di controllo, diretto o indiretto, da parte del soggetto residente.
Trascurando il profilo del controllo, che sarà esaminato nel paragrafo successivo, si osserva come l’ambito soggettivo della disciplina viene individuato facendo riferimento a un concetto ampio che ricomprende anche le forme giuridiche estere che non possono essere qualificate come società o imprese, vale a dire enti di ogni tipo, tra i quali gli organismi di investimento collettivo del risparmio ("OICR”), le fondazioni e i trust.
Si vuole, infatti, evitare un aggiramento della normativa basato sulla forma
all’articolo 169 del TUIR. Qualora, invece, non ricorrano i presupposti applicativi di una Convenzione per evitare le doppie imposizioni, occorre fare riferimento a quanto previsto dall’articolo 162 del TUIR.
11Anche in tale ipotesi, la disciplina CFC troverebbe applicazione – prima dell’acquisizione della residenza fiscale italiana – soltanto in relazione alle controllate estere le cui partecipazioni siano già effettivamente connesse con il patrimonio di detta stabile organizzazione in Italia.
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legale della partecipata estera.
In particolare, gli OICR non istituiti in Italia, fiscalmente non residenti ai sensi dell’articolo 73, comma 3, del TUIR che, come evidenziato, rientrano tra i soggetti potenzialmente controllati nei riguardi dei quali può applicarsi la disciplina CFC, sono destinatari di una specifica previsione, recata al comma 10, che sarà oggetto di trattazione al paragrafo 9.
In merito all’istituto del trust, si ricorda, che la circolare 4 agosto 2016, n. 35/E ha chiarito che la generica locuzione utilizzata dal legislatore «le imprese, le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato» è idonea ad includere anche i trust esteri.
Il requisito del controllo ex articolo 2359 c.c. previsto dalla disciplina CFC non è applicabile rispetto a questi soggetti, mentre per i trust qualificati come trasparenti ai fini dell’ordinamento italiano è applicabile il requisito della partecipazione agli utili. à necessario, a tal fine, che il beneficiario sia individuato e che questo risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee il pagamento della sua quota di reddito. Conseguentemente la norma in esame troverà applicazione, ad esempio, nel caso di un soggetto beneficiario non residente (al quale è riconosciuto un diritto di percezione degli utili del trust superiore al 50 per cento), a sua volta controllato da un soggetto residente o localizzato in Italia. Diversamente, nell’ipotesi in cui il beneficiario individuato fosse residente, questo sarebbe già tenuto a tassare per trasparenza il reddito imputatogli dal trust, ai sensi dell’articolo 73, comma 2, del TUIR12.
Resta inteso che, se il potere di gestire e disporre dei beni permane in tutto o in parte in capo al disponente e ciò emerge dall’atto istitutivo del trust o da elementi di fatto, il trust deve considerarsi inesistente dal punto di vista
12Si ricorda che ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera
g-sexies del TUIR, come modificata dall’art. 13 del DL n. 124/2019, sono redditi di capitale «i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’articolo 73, comma 2, anche se non residenti, nonché i redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti avente analogo contenuto, stabiliti in Stati o territori che con riferimento al trattamento dei redditi prodotti dal trust si considerano a fiscalitĂ privilegiata ai sensi dell’articolo47-bis, anche qualora i percipienti residenti non possano essere considerati beneficiari individuati ai sensi dell’articolo 73».24
dell’imposizione dei redditi da esso prodotti. In altri termini, in tali casi il trust viene a configurarsi come struttura meramente interposta rispetto al disponente, al quale devono essere attribuiti i redditi solo formalmente prodotti dal trust (cfr. circolare del 27 dicembre 2010, n. 61/E).
Il comma 3 dispone, inoltre, che rientrano nell’ambito della disciplina CFC, in quanto considerate società controllate estere, al verificarsi congiunto delle condizioni del comma 4 dell’articolo 167 del TUIR (ossia la tassazione effettiva dell’utile inferiore al 50 per cento di quella italiana e la realizzazione di proventi da passive income per oltre un terzo):
a)le stabili organizzazioni all’estero di soggetti non residenti; e
b)le stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti in Italia, che abbiano optato per il regime cosiddetto di "branch exemption” (di seguito per semplicità anche "b.ex.”) di cui all’articolo
168-ter del TUIR.2.3.1 Le stabili organizzazioni estere di soggetti non residenti
La lettera a) del comma 3 dell’articolo 167 del TUIR ricomprende la stabile organizzazione di un soggetto estero controllato nell’ambito applicativo della disciplina antielusiva in esame. Viene, dunque, confermata l’impostazione della normativa previgente che estendeva la tassazione per trasparenza alle stabili organizzazioni estere a prescindere dalla circostanza che la casa madre si qualificasse o meno come CFC13.
Al riguardo si osserva come la Direttiva non disciplini in maniera espressa questa ipotesi14, mentre la norma interna richiama le stabili organizzazioni dei
13Si ricorda che ai sensi del previgente articolo 167, comma 1, del TUIR la tassazione per trasparenza trovava applicazione anche «per le partecipazioni di controllo in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati ai predetti regimi fiscali privilegiati».
14Ai sensi dell’articolo 7, comma 1, della Direttiva, «Lo Stato membro di un contribuente tratta un’entità o una stabile organizzazione i cui utili non sono soggetti ad imposta o sono esenti da imposta in tale Stato membro come una società controllata estera se sono soddisfatte le seguenti condizioni […]». Il riferimento è chiaramente alla stabile organizzazione che non viene assoggettata ad imposta nello Stato del contribuente residente che applica la CFC rule. Nel secondo subparagrafo del comma 1, invece, si menziona la stabile organizzazione di un soggetto non residente per escluderla dal calcolo dell’effective tax rate della casa madre.
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soggetti esteri controllati dal soggetto residente («a) le stabili organizzazioni dei soggetti di cui al comma 2»). Considerato che la previsione non richiede la sussistenza dei requisiti di cui al comma 4 dell’articolo 167 del TUIR in capo al soggetto estero controllato, la stabile organizzazione estera si può qualificare autonomamente come CFC, anche qualora quest’ultimo non rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 167 del TUIR. Affinché la stabile organizzazione estera possa qualificarsi autonomamente come CFC (in presenza di tutti i requisiti), eĚ€ necessario, tuttavia, che nello Stato di residenza della casa madre (i.e., del soggetto estero controllato) abbia trovato applicazione il regime di esenzione sugli utili della stabile organizzazione previsto per norma interna del predetto Stato (o in base a disposizione convenzionale). Infatti, laddove la casa madre giĂ sottoponga a imposizione gli utili della propria stabile organizzazione (con riconoscimento dell’eventuale credito per le imposte pagate da quest’ultima all’estero), ne deriva che il soggetto estero controllato si considera, ai fini dell’applicazione delle disposizioni CFC, in maniera unitaria, proprio in ragione del fatto che presso la casa madre si realizza il "consolidamento” del reddito e delle imposte della stessa con il reddito e le imposte della branch.
Sebbene la disposizione in esame non operi specifiche distinzioni al riguardo, questa impostazione trova conferma nella relazione illustrativa al decreto, in cui si afferma che sono attratte alla disciplina in esame anche le «stabili organizzazioni all’estero di soggetti controllati non residenti, nel caso in cui i relativi utili non siano soggetti ad imposta o siano esenti da imposta nello Stato membro del soggetto controllato non residente». Benché nella relazione illustrativa si faccia riferimento alla nozione di Stato "membro” di residenza del soggetto controllato, la fattispecie indicata nella citata lettera a) del comma 3 non eĚ€ circoscritta alle sole stabili organizzazioni (esenti) di soggetti controllati europei. Si ritiene infatti piĂą coerente con la ratio della norma ammettere che una stabile organizzazione di un soggetto non residente, sia UE che extraUE, possa assumere autonoma rilevanza ai fini in esame (rispetto alla casa madre) e costituire, a sua volta, una CFC se la doppia imposizione giuridica in relazione ai redditi prodotti da tale stabile
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organizzazione è eliminata con il metodo dell’esenzione.
In questa ipotesi, la relazione illustrativa chiarisce che la verifica di un congruo livello di tassazione subita deve essere condotta separatamente tra la casa madre non residente e la sua stabile organizzazione. Diversamente, in caso di stabile organizzazione soggetta a tassazione nel Paese di residenza della casa madre, sia ai fini del tax rate test sia ai fini della tassazione per trasparenza, questa deve essere considerata come un unico soggetto insieme con la casa madre.
2.3.2 Le stabili organizzazioni di soggetti residenti
Con riguardo alla fattispecie di cui alla lettera b) del comma 3 in esame, si osserva che la previsione ivi contenuta è coerente con il Considerando n. 12 della Direttiva in cui si suggerisce di estendere l’applicazione della disciplina CFC «agli utili di stabili organizzazioni laddove tali utili non siano soggetti ad imposta o siano esenti da imposta nello Stato membro del contribuente. Non vi è tuttavia la necessità di assoggettare a imposizione, ai sensi delle norme sulle società controllate estere, gli utili di stabili organizzazioni cui è negata l’esenzione da imposta ai sensi delle norme nazionali in quanto tali stabili organizzazioni sono trattate come se fossero società controllate estere».
La disposizione contenuta nella citata lettera b), in realtà , non ha una portata innovativa per l’ordinamento italiano, in quanto riconduce nell’articolo 167 del TUIR, garantendo una trattazione organica della materia, l’estensione della disciplina CFC alle stabili organizzazioni in regime di branch exemption15 già operata dall’articolo
168-ter del TUIR.Coerentemente, il Decreto ha modificato il citato articolo
168-ter, subordinando l’operatività del regime di esenzione per la branch che integri i presupposti della disciplina CFC alla ricorrenza dell’esimente di cui al comma 5 dell’articolo 167 del TUIR.Pertanto, come chiarito nella relazione illustrativa al Decreto, «l’opzione per
15Regime fiscale introdotto nel 2015 dal c.d. "decreto internazionalizzazione”.
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la branch exemption, nel caso in cui sussistano le condizioni per l’applicazione della disciplina CFC [tassazione effettiva inferiore alla metà di quella italiana e oltre un terzo dei proventi costituito da passive income] è subordinata alla dimostrazione della nuova esimente relativa allo svolgimento di un’effettiva attività economica, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali».
Si ricorda che le modalità applicative del regime di branch exemption sono state definite con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 agosto 2017, n. 165138, che, al paragrafo 8, reca disposizioni in merito all’articolo 167 del TUIR.
Le disposizioni di tale paragrafo restano valide in quanto compatibili con gli interventi normativi in commento. Ne consegue che il rinvio operato ai punti 8.3 e
8.4alle circostanze esimenti di cui ai commi 5 e
8-ter dell’articolo 167 del TUIR deve intendersi riferito alla nuova unica esimente di cui al comma 5 dell’articolo 167 nella versione attualmente vigente.Resta, altresÏ, valida la previsione di cui al punto 8.6 del Provvedimento sul regime di branch exemption, secondo cui la disciplina CFC trova applicazione in capo a casa madre residente qualora la partecipazione con i requisiti stabiliti dall’articolo 167 del TUIR sia riferita alla stabile organizzazione esente.
Dal punto di vista pratico ed operativo, infine, è opportuno anticipare che le informazioni contenute nella documentazione atta a dimostrare la corretta attribuzione di utili e perdite alla stabile organizzazione in esenzione di un soggetto residente in Italia, effettuata in stretta aderenza all’approccio autorizzato OCSE (AOA) (come peraltro già richiesto dal regime di branch exemption), possono formare ausilio ai fini della dimostrazione dell’esimente prevista dal comma 5 dell’articolo 167 TUIR.
2.3.3 I criteri per stabilire la sussistenza di una stabile organizzazione
In merito alle stabili organizzazioni estere (sia di imprese residenti sia di imprese non residenti), si rende necessario chiarire sotto quale prospettiva occorre porsi al fine di individuarne la presenza in uno Stato o territorio diverso da quello
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di residenza del soggetto giuridico. In altri termini, occorre individuare la normativa alla quale fare riferimento per verificare l’esistenza o meno di una stabile organizzazione che possa essere attratta nell’ambito di applicazione dell’articolo 167 del TUIR.
Al riguardo è necessario fare alcune precisazioni.
In primo luogo, si osserva che l’applicazione delle disposizioni in tema di CFC alle stabili organizzazioni estere di soggetti residenti presuppone, anche in questi casi, che questi ultimi abbiano scelto il regime fiscale della branch exemption. Come chiarito nel punto 2.4 del citato Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, il valido esercizio dell’opzione per il regime di esenzione in parola richiede, a sua volta, che si possa configurare una stabile organizzazione nello Stato estero di localizzazione ai sensi della Convenzione per evitare le doppie imposizioni stipulata tra quest’ultimo Paese e l’Italia, qualora in vigore, ovvero, in mancanza, facendo ricorso ai criteri stabiliti, a livello interno, dall’articolo 162 del TUIR, a condizione, tuttavia, che anche lo Stato estero ravvisi l’esistenza di una stabile organizzazione secondo le proprie disposizioni nazionali (in caso contrario, infatti, è tout court inibita la possibilità di applicare il regime di b.ex. in capo alla casa madre residente).
Diverso è il caso dei soggetti controllati non residenti in relazione ai quali la norma non prevede specifiche indicazioni. Per motivi di coerenza sistematica, la presenza della stabile organizzazione in un altro Paese estero (rispetto all’Italia e allo Stato di residenza del soggetto controllato) va riscontrata a prescindere dalla eventuale Convenzione esistente tra lo Stato della società controllata e quello della stabile organizzazione stessa, essendo sufficiente che la stabile organizzazione sia riconosciuta, ai fini dell’esenzione, dallo Stato di residenza di casa madre.
In altri termini, sia in presenza che in assenza di un Trattato tra i suddetti Stati, sarà rilevante il fatto che lo Stato di residenza del soggetto estero controllato riconosca la stabile organizzazione ed esenti, in capo al proprio contribuente, il reddito da questi prodotto all’estero tramite la stessa. La circostanza che la stabile
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organizzazione possa essere disconosciuta dallo Stato di localizzazione non è, a tal fine, rilevante. L’imputazione per trasparenza in capo al soggetto controllante italiano dei redditi dell’entità interessata assicura, piuttosto, la tassazione di elementi reddituali che, altrimenti, non avrebbero scontato alcuna imposizione per effetto del mancato coordinamento delle due giurisdizioni estere.
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3 IL REQUISITO DEL CONTROLLO
Il comma 2 dell’articolo 167 del TUIR stabilisce che la disciplina CFC si applica in relazione a imprese, società ed enti non residenti nel territorio dello Stato rispetto ai quali si verifichi almeno una delle seguenti condizioni:
i. sono controllati, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’articolo 2359 c.c., da un soggetto residente;
ii.oltre il cinquanta per cento della partecipazione ai loro utili è detenuto, direttamente od indirettamente, mediante una o più società controllate ex articolo 2359 c.c. o tramite società fiduciaria o per interposta persona, da un soggetto residente.
La previgente formulazione dell’articolo 167 del TUIR, al comma 3, presupponeva che il soggetto residente detenesse il controllo nel soggetto estero facendo riferimento al solo articolo 2359 c.c., ossia al c.d. "controllo civilistico” sub (i).
L’ulteriore condizione alternativa della partecipazione agli utili del soggetto non residente, c.d. "controllo economico” sub (ii), rappresenta una novità che recepisce quanto previsto dall’articolo 7 della Direttiva, in linea con le raccomandazioni OCSE.
Non intervengono cambiamenti interpretativi circa la sussistenza del requisito del controllo ai sensi dell’articolo 2359 c.c., che può essere distinto in tre figure a seconda del diverso atteggiarsi dell’influenza esercitata dal soggetto controllante su quello controllato. In particolare, l’articolo 2359 c.c. contempla tre distinte fattispecie:
â’il controllo di diritto, che ricorre quando il soggetto residente dispone della maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria della societĂ estera;
â’il controllo di fatto, che consiste nel potere del soggetto residente di esercitare un’influenza dominante sull’assemblea ordinaria della societĂ
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estera, pur non disponendo della maggioranza assoluta dei diritti di voto;
â’il controllo contrattuale, che sussiste allorché un soggetto sia in grado di influenzare in modo dominante un’altra societĂ in virtĂą di vincoli contrattuali tali per cui quest’ultima sviluppi una sorta di dipendenza economica dalla prima.
Al riguardo, si evidenzia come l’ipotesi di controllo congiunto non assuma rilevanza, in linea di principio, ai fini della disciplina in esame.
Come ricordato nella risoluzione del 30 luglio 2008, n. 326/E, la nozione di controllo individuata dall’articolo 2359 c.c. presuppone necessariamente l’esistenza di una situazione in cui un unico soggetto abbia la capacità di influire in modo determinante sulle scelte operate da un altro soggetto. Tuttavia, non si può escludere in termini assoluti la possibilità che anche in presenza di una partecipazione paritetica alla società (50 per cento in capo a ciascun socio) sia individuabile una situazione di controllo da parte di uno dei due soci. Infatti, l’ampiezza del concetto di controllo prevista dall’articolo 2359 c.c. richiede un’analisi approfondita del complesso dei rapporti intercorrenti tra i soggetti coinvolti al fine di verificare se uno di essi eserciti sull’altro un’influenza dominante in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa16.
Ad eccezione delle ipotesi in cui, in capo ad uno dei partecipanti ricorrano i presupposti per ravvisare l’esercizio di un controllo di fatto o contrattuale, le joint- venture17 paritetiche non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2359
c.c.Queste, infatti, sono normalmente regolate da accordi strutturati in modo da prevedere una partecipazione egualitaria dei soci al capitale e alle decisioni piĂą importanti della societĂ , nonché una ripartizione egualitaria della composizione degli organi di governo della stessa.
Ai fini della disciplina in esame, tuttavia, occorre sempre verificare se uno
16Si veda anche la risoluzione del 17 dicembre 2007, n. 376/E.
17Una joint venture o associazione temporanea di imprese è un contratto con cui due o più imprese si accordano per collaborare al fine del raggiungimento di un determinato scopo o all’esecuzione di un progetto comune avente natura commerciale o industriale.
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dei due soci possa condizionare, di fatto, le scelte dell’entità partecipata estera. In altri termini, come chiarito nel documento di prassi sopra citato, è necessario escludere, sulla base di un concreto riscontro dei poteri riservati ai soci della joint- venture, che uno di essi sia in grado di esercitare un’influenza dominante sulla stessa.
Per effetto delle modifiche normative intervenute, per escludere la sussistenza di un controllo rilevante ai fini della CFC rule è, altresÏ, necessario che nessuno sia titolare di una partecipazione maggioritaria agli utili della entità estera.
Per quanto concerne le persone fisiche, continua ad applicarsi l’articolo 1, comma 3, del D.M. 21 novembre 2001, n. 429, secondo cui, per la verifica del requisito del controllo civilistico, rilevano i criteri indicati nell’articolo 2359, primo e secondo comma, del codice civile e ai fini del computo dei voti occorre includere anche quelli spettanti ai familiari (coniuge, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado) del soggetto residente.
Si precisa che, a tal fine, devono essere computati anche i voti spettanti a familiari residenti all’estero, ferma restando l’applicazione della disciplina CFC solo in relazione alla quota di partecipazione agli utili detenuta dal socio o dai soci residenti (e facendo salvo quanto disposto dall’articolo 3, comma 7, del D.M. 21 novembre 2001, n. 429 di cui si tratterà più avanti). Si immagini il caso in cui il 40 per cento dei diritti di voto della CFC sia detenuto dal soggetto A, residente in Italia, mentre il 15 per cento dei diritti di voto della medesima entità sia detenuto da B, familiare di A e residente all’estero. Ai sensi delle disposizioni sopra richiamate, il socio A si considera controllante della entità estera in quanto il 55 per cento dei diritti di voto sono comunque a lui riconducibili. Tuttavia, quest’ultimo dovrà assoggettare per trasparenza solo il 40 per cento dei redditi della CFC (nel presupposto che la partecipazione posseduta preveda una percentuale del diritto agli utili pari alla percentuale dei diritti di voto).
Una situazione peculiare è quella in cui due familiari, entrambi residenti, detengano quote di partecipazioni nella medesima entità estera senza che nessuno
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dei due ne detenga formalmente il controllo né civilistico né economico. Si fa riferimento all’esempio precedente ma si ipotizza che sia A sia B siano residenti in Italia.
In tale situazione entrambi saranno considerati controllanti dell’entità estera e il reddito della CFC sarà imputato per trasparenza a ciascuno di loro, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili nella stessa CFC (il 40 per cento al soggetto A ed il 15 per cento al soggetto B, familiare di A).
Occorre, altresÏ, rammentare che l’operatività della disciplina CFC (ossia la tassazione per trasparenza in capo al soggetto controllante) resta subordinata alla presenza di una partecipazione agli utili nella società controllata estera.
Secondo quanto previsto nel D.M. 21 novembre 2001, n. 429, al ricorrere di alcuna delle figure di controllo di cui all’articolo 2359 c.c., si rende sempre necessaria una partecipazione agli utili, seppur minima. Ci si riferisce all’articolo 3, comma 1, del predetto D.M. n. 429 del 2001 in cui si stabilisce che i redditi della CFC sono imputati per trasparenza al soggetto residente che esercita il controllo in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili diretta o indiretta (quest’ultima, tenuto conto dell’effetto di demoltiplicazione secondo quanto meglio illustrato infra).
L’impostazione viene ulteriormente confermata nel successivo articolo 4, comma 3, del medesimo D.M. n. 429 del 2001, secondo cui l’obbligo di dichiarare i redditi della CFC non sussiste «se il soggetto che esercita il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, n. 3), del codice civile o i soggetti da esso partecipati non possiedono partecipazioni agli utili».
Prima delle modifiche intervenute nella disciplina CFC, le richiamate disposizioni del decreto attuativo hanno svolto una funzione suppletiva rispetto alla norma primaria, che faceva generico riferimento all’imputazione del reddito del soggetto estero, in capo ai soggetti residenti, «in proporzione alle partecipazioni da essi detenute» (cfr. testo del previgente comma 1 dell’articolo 167 del TUIR).
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Il legislatore della riforma ha mutuato sostanzialmente la previsione del citato articolo 3 del D.M. (che resta comunque valida) nel testo del novellato articolo
167.In particolare, al comma 6, si prevede che l’imputazione del reddito per trasparenza ai soggetti controllanti residenti, in applicazione della CFC rule,
avvenga «in proporzione alla quota di partecipazione agli utili del soggetto controllato non residente da essi detenuta, direttamente o indirettamente».
Come già accennato, in base all’articolo 167 del TUIR, il controllo può essere detenuto tanto mediante una partecipazione diretta del soggetto residente nel soggetto non residente, quanto mediante una partecipazione indiretta, per il tramite di società fiduciarie, interposte persone, soggetti residenti in Italia o soggetti residenti all’estero.
Ai fini della verifica del rapporto, il controllo ex articolo 2359 c.c. deve essere calcolato senza ricorrere al meccanismo della demoltiplicazione della catena societaria. Ciò significa che se, ad esempio, il soggetto A controlla il 60 per cento del soggetto B e il 70 per cento del soggetto C, e a loro volta questi ultimi partecipano rispettivamente al 35 per cento il soggetto estero CFC, il requisito del controllo ex articolo 2359 c.c. è verificato in capo ad A (indirettamente A controlla, infatti, il 70 per cento dei diritti di voto in CFC).
Nella figura che segue viene rappresentata la catena partecipativa attraverso la quale A detiene la partecipazione nella società estera che può essere considerata controllata ai fini della disciplina in esame.
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A
70% 60%
C B
35%35%
CFC
Diversamente avviene laddove il requisito del controllo indiretto sia integrato in ragione della sola soglia di partecipazione agli utili. In tal caso, come chiarito nella relazione illustrativa al Decreto, «la percentuale di partecipazione agli utili
èdeterminata tenendo conto della eventuale demoltiplicazione prodotta dalla catena societaria partecipativa».
Pertanto, se il soggetto A controlla ex art. 2359 c.c. al 60 per cento, con corrispondente partecipazione agli utili, sia B sia C, e a loro volta questi ultimi partecipano entrambi agli utili del soggetto estero CFC in misura pari al 40 per cento (senza possedere voti esercitabili nell’assemblea di quest’ultimo), il requisito del controllo della CFC non è verificato in capo ad A (indirettamente A partecipa al 48 per cento degli utili di CFC).
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La situazione descritta viene rappresentata nella seguente figura:
A
60% 60%
C B
40% 40%
CFC
In relazione al controllo economico, la norma non individua in maniera puntuale il titolo giuridico o lo strumento finanziario che attribuisca al soggetto residente il diritto alla partecipazione agli utili, in quanto, in ragione delle finalitĂ della disciplina, sarebbe limitativo far riferimento agli strumenti finanziari attualmente adottati in Italia come, ad esempio: gli strumenti finanziari partecipativi, dotati o meno di diritti amministrativi; i contratti assimilabili al contratto di associazione in partecipazione oppure al contratto di cointeressenza; i prestiti partecipativi, cartolarizzati o meno, che attribuiscono al prestatore una remunerazione rappresentata, in tutto o in parte, dalla partecipazione agli utili.
Più in generale, infatti, il requisito del controllo economico deve ritenersi soddisfatto ogniqualvolta si possa vantare il diritto a partecipare a più del 50 per cento degli utili dell’entità controllata, a prescindere dal nomen iuris del contratto o dello strumento contemplato nella giurisdizione estera.
In base al comma 2, lettera b), il computo delle partecipazioni agli utili nelle società indirettamente controllate rileva soltanto nel caso di soggetti intermedi controllati ai sensi dell’art. 2359 c.c. Pertanto, se il soggetto A dispone
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esclusivamente dell’80 per cento degli utili dei soggetti C e B (ossia A non ha il controllo ex art. 2359 c.c. né di B né di C, ma ne detiene il diritto alla percezione dell’80 per cento degli utili), e a loro volta questi ultimi partecipano entrambi (esclusivamente) agli utili del soggetto estero CFC in misura complessivamente pari all’80 per cento (senza possedere voti esercitabili nell’assemblea di quest’ultimo), il requisito del controllo della CFC non eĚ€ verificato in capo ad A (nonostante A partecipi indirettamente al 64 per cento degli utili di CFC). Ciò in quanto, nel caso in esame, A non detiene il controllo di B e C ai sensi dell’articolo 2359.
La situazione descritta viene rappresentata nella seguente figura:
A
80% 80%
C B
40% 40%
CFC
Entrambe le ipotesi di controllo di cui al comma 2 dell’articolo 167 del TUIR vanno verificate alla data della chiusura dell’esercizio della società /entità controllata. Si rende, inoltre, applicabile la previsione dettata dall’articolo 3, comma 7, del D.M. 21 novembre 2001, n. 429, secondo cui per «i comportamenti posti in essere allo scopo del frazionamento del controllo o della perdita temporanea dello stesso ovvero della riduzione dei redditi imputabili, si applicano le disposizioni degli artt. 37, terzo comma, e
37-bis del D.P.R. 29 settembre 1973,38
n. 600».
La norma, quindi, assoggetta i descritti comportamenti alle norme antielusive previste dall’ordinamento.
Nel dettaglio, l’articolo 37, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 contrasta il fenomeno dell’interposizione, stabilendo che «sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona».
L’articolo
37-bis del decreto del DPR n. 600 del 1973 è stato abrogato, con la conseguenza che il riferimento contenuto nel D.M. 21 novembre 2001, n. 429 deve intendersi rivolto alla norma antiabuso di cui all’articolo10-bis della legge n. 212 del 2000.Si precisa che anche per le stabili organizzazioni italiane di soggetti non residenti valgono entrambe le nozioni di controllo: sia quella configurabile ai sensi dell’articolo 2359 c.c., sia quella consistente nella partecipazione agli utili del soggetto estero. Conformemente a quanto chiarito nella relazione illustrativa al Decreto ATAD, a tali fini rilevano esclusivamente le partecipazioni nell’entità controllata estera «che fanno parte del patrimonio della stabile organizzazione», in quanto funzionalmente connesse con la stabile medesima.
Si evidenzia, inoltre, che in base alla nuova formulazione dell’articolo 167, comma 2, del TUIR il requisito del controllo può verificarsi in capo a più di un soggetto, uno dei quali integri il requisito di cui alla lettera a) della medesima disposizione (c.d. "controllo civilistico”), mentre l’altro integri quello di cui alla successiva lettera b) (c.d. "controllo economico”). In tal caso, la disciplina CFC si applica a entrambi i soggetti in proporzione alle rispettive quote di partecipazione agli utili dell’entità estera, a prescindere dalla quota di diritti di voto di cui essi dispongono.
Per completezza va ricordato che, a seguito del recepimento della Direttiva ATAD, gli utili percepiti da entitĂ residenti o localizzate in regimi fiscali
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privilegiati vanno trattati distintamente, in base all’articolo
47-bis del TUIR, a seconda dell’esistenza o meno di un controllo da parte del socio residente o localizzato in Italia e che per la definizione di controllo il medesimo articolo rimanda direttamente alla nozione recata nell’articolo 167, comma 2, in esame. Conseguentemente tutti i chiarimenti resi nel presente paragrafo valgono anche per l’identificazione del controllo ai fini del trattamento fiscale degli utili ex articolo47-bis del TUIR.40
4IL LIVELLO DI TASSAZIONE DEL SOGGETTO CONTROLLATO ESTERO
La normativa CFC trova applicazione se il soggetto controllato estero, contemporaneamente:
i.è soggetto a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella cui sarebbe stato assoggettato qualora residente in Italia;
ii.ritrae proventi che, per piĂą di un terzo del loro valore complessivo, rientrano tra i c.d. passive income.
Per quanto concerne la condizione sub (i), il legislatore ha abbandonato il precedente approccio che valorizzava il livello nominale di tassazione in relazione ai soggetti c.d. black list. In particolare, con il recepimento della Direttiva ATAD (unitamente alla condizione della natura "passive” di oltre un terzo dei proventi realizzati) è stata attribuita, da un lato, esclusiva rilevanza al livello di tassazione effettivo subito all’estero (nel seguito, per semplicità , "Effective Tax Rate” o "ETR”) rispetto a quello virtuale italiano, superando, dall’altro, la distinzione tra Stati membri (o Stati SEE) e altri Paesi.
In termini generali, coerentemente con i chiarimenti resi nella circolare 6 ottobre 2010, n. 51/E, per calcolare il livello effettivo di tassazione estera il contribuente residente deve considerare le imposte sul reddito dovute da parte del soggetto estero controllato e rapportarle all’utile ante imposte cosÏ come risultante dal bilancio della controllata. Tale rapporto andrà a configurare il tax rate effettivo estero da porre a confronto con il tax rate virtuale "interno”: quest’ultimo calcolato rapportando l’imposta che sarebbe stata dovuta in Italia sul reddito prodotto dall’entità estera all’utile ante imposte come risultante dal bilancio dell’entità stessa. Si precisa che, per le stabili organizzazioni esenti, sia di soggetti residenti in Italia che di soggetti controllati non residenti, rileva il rendiconto redatto ai fini fiscali dello Stato di residenza della casa madre (il medesimo rendiconto assumerà rilevanza anche ai fini della determinazione del reddito della stabile organizzazione da imputare per trasparenza).
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Se il tax rate effettivo estero risulta inferiore alla metà del tax rate virtuale "interno” (confronto che, per semplicità , viene di seguito definito come "Effective Tax Rate test” o "ETR test”), la condizione si considera verificata.
Nei successivi paragrafi si illustrano le modalità di calcolo relative al suddetto raffronto. Per completezza va precisato che, a seguito del recepimento della Direttiva ATAD, nei casi di partecipazione di controllo, il test della tassazione effettiva scontata dalla entità estera è disciplinato dalla medesima disposizione sia con riguardo al regime CFC, sia con riguardo alla qualificazione dei dividendi (e delle plusvalenze) quali provenienti o meno da imprese o enti residenti o localizzati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato. Pertanto, i chiarimenti forniti in questa sede in merito alle modalità di effettuazione del test in esame valgono anche ai fini della predetta qualificazione degli utili.
4.1Criteri per la determinazione dell’effettivo livello di tassazione
Il novellato articolo 167, comma 4, lettera a) del TUIR continua a prevedere,
come nella previgente formulazione, un apposito Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate con il quale sono «indicati i criteri per effettuare, con modalità semplificate, la verifica della presente condizione, tra i quali quello della irrilevanza delle variazioni non permanenti della base imponibile».
Al fine di tener conto delle modifiche normative intervenute a seguito del recepimento della Direttiva ATAD oggetto dei chiarimenti interpretativi forniti con la presente Circolare, è stato Pubblicato il Provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate n. 376652 del 27 dicembre 2021 (di seguito il "Provvedimento”) che ha sostituito il Provvedimento n. 143239 del 16 settembre 2016, adottato a seguito della previsione recata dal decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. "decreto internazionalizzazione”).
Al riguardo, si precisa che i comportamenti adottati prima dell’emanazione del vigente Provvedimento dai contribuenti sulla base delle disposizioni contenute nel precedente Provvedimento del 16 agosto 2016, divergenti rispetto a quelle contenute nel vigente Provvedimento, non potranno essere oggetto di sanzioni.
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4.1.1 Il livello di tassazione effettiva estera
Come anticipato, la disposizione di cui al comma 4, lettera a), dell’art 167 prevede che la disciplina CFC, tra le altre condizioni, si applichi «se i soggetti controllati non residenti [...] sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia».
i.Imposte rilevanti
Al riguardo, nella determinazione della tassazione effettiva estera (anche al fine di tener conto dell’abolizione della cosiddetta "seconda esimente” relativa alla non localizzazione dei redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, contenuta nell’art. 167, comma 5, lettera b), nella versione antecedente alle modifiche recate dal Decreto ATAD), occorre dare rilievo:
a)sia alle imposte sul reddito effettivamente dovute dall’entità estera controllata nello Stato di localizzazione, al netto dell’utilizzo di eventuali crediti d’imposta per i redditi prodotti in Stati diversi da quello di insediamento (cfr. paragrafo 3.1 del Provvedimento);
b)sia alle imposte dovute sui redditi della medesima entità estera in altre giurisdizioni (ad esempio, ritenute d’imposta prelevate negli Stati della fonte del reddito diversi dallo Stato di localizzazione) e alle imposte dovute dalla entità estera in relazione ai redditi attribuibili all’attività svolta attraverso una stabile organizzazione in regime di credito di imposta localizzata in altra
giurisdizione (includendo, in entrambi i casi, tra le altre giurisdizioni anche l’Italia). A tal fine assumono rilevanza solo le imposte assolte a titolo definitivo e non suscettibili di rimborso18, neanche in virtù dell’applicazione
18La presenza di ritenute subite dal soggetto controllato estero, nei fatti, costituisce un aggravio dell’onere fiscale "complessivo” dell’insediamento all’estero di soggetti italiani, al crescere del quale viene meno la convenienza a delocalizzare utili all'estero. Pertanto appare coerente con la ratio della disciplina tener conto delle ritenute subite ai fini del calcolo delle imposte complessivamente dovute dalla controllata estera. Ovviamente, quanto alla corretta allocazione delle basi imponibili, rimane comunque fermo il presidio garantito dalle norme in tema di prezzi di trasferimento.
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dell’eventuale Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra lo Stato di localizzazione dell’entità estera controllata e lo Stato della fonte (cfr. paragrafo 3.1 del Provvedimento).
Esemplificando, si ipotizzi che nell’anno 1 la controllata estera determini un ammontare di imposte sui redditi pari a 8, ma avendo subito ritenute scomputabili per 10, non versi alcuna imposta nella propria giurisdizione ed evidenzi nella dichiarazione dei redditi una eccedenza di (o un credito per) imposte estere da riportare in avanti per la differenza pari a 2. Ebbene in tal caso, le imposte estere da considerare ai fini del calcolo del tax rate effettivo saranno pari a 10, corrispondenti alla somma tra:
â’le imposte effettivamente dovute nella propria giurisdizione (8), al netto dell’utilizzo dei crediti per imposte estere
(-8), pari a 0 (importo di cui al precedente punto a); eâ’le imposte prelevate in altre giurisdizioni pari a 10 (importo di cui al precedente punto b).
Imposta
Utilizzo
I
mposta netta
ANNO 1
credito
lorda
computabile
d’imposta
Imposta estera
10
-
10
(ritenute)
Imposta CFC
8
(8)
-
Totale
-
-
10
Cr. imp. riportabile
-
2
2
Si ipotizzi ora che nell’anno 2 la medesima controllata estera determini sempre un ammontare di imposte sui redditi pari a 8, ma avendo subito ulteriori ritenute scomputabili per 1 (che si sommano al credito residuo per ritenute subite dell’anno precedente pari a 2), versi un’imposta netta nella propria giurisdizione pari soltanto a 5, determinata sottraendo dall’imposta dovuta (di 8) l’importo delle ritenute subite nell’anno (pari a 1), nonché l’importo residuo del credito per imposte estere riportato dall’anno precedente (pari a 2). Ebbene in tal caso, le imposte estere da considerare ai fini del calcolo del tax rate effettivo saranno
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invece pari a 6, corrispondenti alla somma tra:
â’le imposte effettivamente dovute nella propria giurisdizione (8), al netto dell’utilizzo dei crediti per imposte estere
(-3), pari a 5 (importo di cui al precedente punto a); eâ’le imposte prelevate in altre giurisdizioni pari a 1 (importo di cui al precedente punto b).
Imposta
Utilizzo
I
mposta netta
ANNO 2
credito
lorda
computabile
d’imposta
Imposta estera
1
-
1
(ritenute)
Imposta CFC
8
(1+2)
5
Totale
6
Cr. imp. riportabile
2
(2)
0
In vigenza di una Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l’Italia e lo Stato di residenza della controllata, le imposte sul reddito sono quelle ivi individuate, nonché quelle di natura identica o analoga che siano intervenute successivamente in sostituzione di quelle individuate nella medesima Convenzione (cfr. paragrafo 3.2 del Provvedimento). Nell’ipotesi di Confederazioni di Stati, nel computo della tassazione effettiva estera si considerano, oltre alle imposte federali, anche le imposte sul reddito proprie di ciascuno Stato federale e delle amministrazioni locali. Tenuto conto della natura di imposte sul reddito, queste rilevano anche se non espressamente incluse nell’eventuale Convenzione per evitare le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e lo Stato di localizzazione della controllata (cfr. paragrafo 3.3 del Provvedimento).
Analogamente, per le imposte prelevate sui redditi della controllata a titolo definitivo in Stati diversi da quello di residenza o localizzazione, si farĂ riferimento alle imposte sul reddito individuate nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con detti altri Stati nonché quelle di natura identica o analoga che siano intervenute successivamente in aggiunta o in sostituzione di quelle individuate nella medesima Convenzione.
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In assenza di una Convenzione per evitare le doppie imposizioni, si ritiene che la verifica sulla natura del tributo estero assolto nello Stato di residenza o localizzazione della entità estera (o in un altro Stato diverso da questo) vada effettuata alla stregua dei principi e delle nozioni evincibili dal nostro ordinamento tributario. Come indicato nella circolare n. 9/E del 2015, il contribuente può comunque presentare un’istanza d’interpello nel caso in cui sussistano obiettive condizioni d’incertezza sulla qualificabilità del tributo estero quale imposta sul reddito.
Al di là di casi particolari (come ad esempio maggiori imposte dovute a seguito di accertamenti), al fine di tener conto del fatto che il pagamento delle imposte dovute dall’entità estera controllata relative a un dato esercizio può avvenire (in tutto o in parte) successivamente alla chiusura dello stesso, dette imposte assumono rilievo, indipendentemente dalla loro puntuale rilevazione nel bilancio della controllata estera, anche se assolte dopo la chiusura del bilancio medesimo (ma comunque prima della scadenza del termine di presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del soggetto controllante italiano).
Nell’ipotesi in cui la controllata estera aderisca a una forma di tassazione di gruppo, rilevano esclusivamente le imposte riferibili alla controllata, singolarmente considerata (cfr. paragrafo 5.1, lettera c) del Provvedimento). Le imposte riferibili alla controllata sono pari alle imposte calcolate sul risultato positivo della controllata "stand alone”, senza tenere conto degli eventuali effetti compensativi derivanti dalla partecipazione alla tassazione di gruppo (ad esempio, se i redditi della controllata sono annullati, a livello di gruppo, dalle perdite di un’altra società aderente al regime del consolidato fiscale, si considerano comunque assolte le imposte all’estero su tale reddito, sebbene non siano state materialmente versate).
Salvo il caso del consolidato fiscale estero o di peculiari ipotesi che si possono verificare e che necessitano di una autonoma valutazione, le imposte estere devono trovare evidenza nel bilancio o rendiconto di esercizio della controllata, nella relativa dichiarazione dei redditi presentata alle competenti
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autoritĂ fiscali, nelle connesse ricevute di versamento o attestanti la compensazione, nonché nella documentazione relativa alle eventuali ritenute subite ad opera di sostituti d’imposta o altri soggetti locali. Alle stesse condizioni, rilevano anche le imposte dovute, a titolo definitivo, in giurisdizioni diverse da quelle di localizzazione, sia dalla controllata sia da altri soggetti (si pensi, ad esempio, al caso dell’applicazione della disciplina CFC a cascata lungo la catena partecipativa – vd. infra – o al caso delle imposte dovute dal partner, residente in un Paese diverso da quello di localizzazione della partnership, sul reddito imputato per trasparenza – vd. par. 4.3) in relazione al medesimo reddito della controllata stessa (cfr. paragrafo 5.1, lettera b), del Provvedimento).
ii.Effetti di agevolazioni tributarie o di regimi di favore
Tenuto anche conto delle disposizioni introdotte dalla Direttiva, ai fini del calcolo della tassazione effettiva estera vanno considerati gli effetti di qualsiasi agevolazione fruita dalla controllata, anche se di carattere temporaneo e/o non strutturale, ovvero accordata in base ad un apposito accordo concluso con l’Amministrazione fiscale estera (cfr. paragrafo 5.1, lettera i) del Provvedimento).
Di converso, il criterio "oggettivo” di individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata, imperniato sull’esclusiva valorizzazione del livello impositivo scontato – in via definitiva - sul reddito della controllata estera, induce a non attribuire rilievo, ai fini dell’ETR test, alla fruibilità , solo potenziale, di regimi fiscali di favore che avrebbero potuto garantire alla medesima controllata un livello impositivo inferiore al limite previsto dall’articolo 167, comma 4, lettera a) del TUIR. In altri termini, si ritiene che la ratio sottesa alla disciplina attualmente in vigore impone di tenere in considerazione l’eventuale scelta, effettuata dalla partecipata estera, di rinunciare ad un regime agevolativo astrattamente applicabile, con conseguente assoggettamento al (più gravoso) regime ordinario, ferma restando la condizione che il versamento delle maggiori imposte non sia ripetibile. Si precisa che i chiarimenti forniti sul tema con le risoluzioni del 15 novembre 2002, n. 358/E e dell’11 ottobre 2007, n. 288/E, collocandosi in un diverso contesto normativo, non sono più da considerarsi attuali.
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Non possono invece assumere rilevanza i pagamenti di imposte estere effettuati volontariamente dal contribuente, anche se finalizzati a determinare un livello di ETR idoneo a superare il relativo test.
iii.CFC "a cascata”
Nell’ipotesi in cui un soggetto residente in Italia (o una stabile organizzazione italiana di un soggetto non residente) controlli una entità estera la quale controlli a sua volta un’altra entità di un terzo Stato (che risulterebbe pertanto controllata indirettamente anche dal soggetto italiano o dalla citata stabile organizzazione), occorre effettuare due test separati:
â’uno per l’entitĂ estera controllata direttamente dal soggetto italiano (entitĂ estera controllata "di primo livello”);
â’e un altro per l’entitĂ estera controllata da quest’ultima (entitĂ estera controllata "di secondo livello”).
Ai fini del test effettuato sull’entità estera controllata di primo livello, non rilevano le eventuali imposte che lo Stato di residenza di quest’ultima (ad esempio un altro Stato membro) dovesse applicare sui redditi della entità estera controllata di secondo livello per effetto dell’applicazione della propria disciplina CFC.
In un’ottica sostanzialistica, dette imposte vanno invece computate ai fini del test effettuato sull’entità estera controllata di secondo livello19. Ciò in quanto, in presenza dell’applicazione di una norma CFC nello Stato di residenza dell’entità estera controllata di primo livello, il carico fiscale subito da quest’ultima a qualsiasi titolo rappresenta comunque un presidio coerente con la ratio della disciplina CFC contenuta nella Direttiva e nella normativa italiana, idoneo a ripristinare un congruo carico fiscale relativo ai redditi della controllata estera di secondo livello e a contrastare la delocalizzazione di attività in un determinato Stato.
19Tale impostazione (limitatamente al riconoscimento delle imposte che lo Stato di residenza della entità estera controllata di primo livello abbia applicato sui redditi della entità estera controllata di secondo livello per effetto della propria disciplina CFC) è anche coerente con quanto previsto al capitolo 7 del Rapporto
OCSE sull’Azione 3.
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Per comprendere meglio il fenomeno che si può verificare in presenza di più controllate estere, si consideri il seguente esempio:
â’La societĂ controllata estera "PARENT”, residente nello Stato A con un livello impositivo del 30%, controlla la societĂ B Sub, residente nello Stato B con un livello impositivo del 20%.
â’La societĂ B Sub controlla, a sua volta, la societĂ C Sub, residente nello Stato C con un livello impositivo del 10%.
â’Quest’ultima eĚ€ considerata CFC sia nello Stato B che nello Stato A ed entrambi gli Stati tassano per trasparenza il reddito prodotto dalla societĂ C Sub, pari a 100.
â’Nello Stato C il reddito, quando eĚ€ stato prodotto, eĚ€ stato tassato per un importo pari a 10 (100 â™ 10%), imposizione considerata non congrua né da A né da B.
â’Nello Stato B, le imposte pagate sul reddito di C Sub, tassato per trasparenza in capo a B Sub, sono pari a 10 = 20 (100 â™ 20%) – 10 (credito riconosciuto per le imposte pagate in C).
â’Nello Stato A, le imposte pagate sul reddito di sub C, tassato per trasparenza in capo a sub A, sono pari a 10 = 30 (100 â™ 30%) – 10 (credito riconosciuto per le imposte pagate in B) – 10 (credito riconosciuto per le imposte pagate in C).
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â’Il reddito di C Sub eĚ€ assoggettato ad una tassazione complessiva pari a 30 (10 nello Stato C + 10 nello Stato B + 10 nello Stato A), scontando, dunque, un livello impositivo netto praticamente corrispondente a quello applicato nello Stato A. Tale effetto potrebbe anche amplificarsi con l’aumentare delle partecipate estere dislocate in diversi Stati che procedono ad imputare per trasparenza il reddito della CFC in capo alle proprie societĂ residenti.
In definitiva, in tali casi, ai fini dell’ETR test da attuarsi in capo a C Sub vanno computate non solo le imposte da questa pagate nel proprio Stato C, ma anche quelle pagate sui suoi redditi, tassati per trasparenza, negli Stati A e B. Naturalmente, invece, dette imposte, cioè quelle dovute da PARENT e B Sub sui redditi di C imputati per trasparenza negli Stati A e B, non potranno essere computate ai fini dell’ETR test, rispettivamente, per le controllate PARENT e B Sub.
Si ritiene opportuno anticipare che, laddove l’entità estera controllata di secondo livello dovesse risultare assoggettata (anche) alla disciplina CFC italiana, le predette imposte che lo Stato di residenza dell’entità estera controllata di primo livello abbia applicato sui redditi della entità controllata di secondo livello per effetto della propria disciplina CFC, non sono invece accreditabili, stante il tenore letterale del comma 9 dell’articolo 167 del TUIR che consente il riconoscimento del credito d’imposta, alle condizioni e nei limiti di cui all’articolo 165 del medesimo TUIR, in relazione alle sole «imposte sui redditi pagate all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente».
iv.Variazioni non permanenti
Passando ad altro aspetto, il comma 4 dell’articolo 167 del TUIR, tra i criteri per effettuare - con modalità semplificate - la verifica della condizione del livello impositivo scontato dalla controllata estera, include espressamente «l’irrilevanza delle variazioni non permanenti della base imponibile».
Sul punto, il paragrafo 5.1, lettera d), del Provvedimento conferma l’impostazione adottata nel previgente regime secondo cui «Sono irrilevanti le
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variazioni non permanenti della base imponibile, con riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro (es. gli ammortamenti). Tale previsione non riguarda il riassorbimento di variazioni che sono state considerate rilevanti ai fini del calcolo del tax rate nei periodi d’imposta precedenti a quello di entrata in vigore del decreto legislativo n. 147 del 2015»20.
Conseguentemente, nel calcolo del livello di tassazione effettiva estera non va considerato l’impatto di eventuali variazioni in aumento o diminuzione della base imponibile estera di natura temporanea, destinate quindi a riassorbirsi negli esercizi successivi. Tale "sterilizzazione”, tuttavia, ha ad oggetto soltanto le variazioni relative a differenze temporali con riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro e va operata sia nell’anno di effettuazione della variazione, sia nell’anno (o negli anni) del suo successivo riversamento.
Tale sterilizzazione:
a)da un lato, consente di evitare sovrastime o sottostime dell’effettivo livello impositivo subito dal soggetto controllato estero, sia nell’esercizio in cui le stesse si verificano, sia in quello di loro riversamento;
b)dall’altro, garantisce la necessaria coerenza nell’ambito del confronto tra livello di tassazione effettiva estera e livello di tassazione virtuale italiana.
Proprio in considerazione di tale ultimo aspetto si spiega la necessitĂ di sterilizzare, in prima battuta, le sole variazioni non permanenti con riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro (che risultano essere oggetto di sterilizzazione anche ai fini della verifica del livello di tassazione virtuale italiana - v. infra).
L’esigenza di non ammettere invece la sterilizzazione per le variazioni con riversamento non certo e predeterminato è funzionale ad evitare il rischio che venga potenzialmente considerato congruo il livello di tassazione effettiva di una giurisdizione estera anche nel caso in cui quest’ultima consenta il rinvio sine die della tassazione di ricavi o la deduzione anticipata di costi (che, in ipotesi,
20Provvedimento n. 143239 del 16 settembre 2016.
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potrebbero non manifestarsi mai in futuro). Tale rischio, di contro, non può ravvisarsi per quelle variazioni temporanee dal riversamento non certo e predeterminato che, tuttavia, abbiano dato luogo, all’estero, a una tassazione anticipata di componenti positivi di reddito o a una deduzione posticipata di componenti negativi di reddito rispetto a quanto rilevato in bilancio. Pertanto, dette variazioni temporanee vanno sterilizzate. In tali casi, infatti è da escludere che si determinino effetti di differimento (c.d. deferral) indefinito (cfr. paragrafo 5.1, lettera d), punto i., del Provvedimento).
Sempre nell’ottica di evitare fenomeni di "inquinamento” nel calcolo del corretto livello effettivo di tassazione estera, non si tiene conto di eventuali imposte sostitutive delle imposte sui redditi (rientranti nella definizione sopra descritta), versate all’estero per il riconoscimento di maggiori valori fiscali, che determina un disallineamento rispetto ai valori civilistici. Dette imposte sostitutive dovranno quindi essere computate nel calcolo del livello effettivo di tassazione estera nell’anno o negli anni in cui emerge il componente reddituale ai fini contabili e/o si verifica il correlato riassorbimento ai fini fiscali. Ad esempio, qualora la controllata estera abbia versato nell’anno x imposte sui redditi volte ad allineare il valore fiscale di una partecipazione al valore di mercato e solo nell’anno x+n emergesse la plusvalenza civilistica derivante dalla cessione della predetta partecipazione, le imposte pagate nell’anno x dovranno essere computate esclusivamente nel calcolo del tax rate effettivo dell’anno x+n, seppure siano state effettivamente versate e contabilizzate nell’anno x. In tale caso, infatti, il pagamento dell’imposta estera nell’anno x per acquisire un maggior valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione può essere assimilato a quello della rilevazione di una variazione in aumento nell’anno x che, sebbene non sia a riversamento certo e predeterminato, dia luogo, all’estero, a una tassazione anticipata rispetto all’anno x+n (di realizzazione dell’utile di bilancio). Pertanto, per quanto chiarito sopra, ai fini del calcolo del livello di imposizione effettiva estera è ragionevole prevedere la "sterilizzazione” di dette imposte sostitutive ("sterilizzazione” che, si ripete, avviene in questo caso "allocando” l’imposta
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sostitutiva nell’anno o negli anni in cui emerge il componente reddituale ai fini contabili e/o si verifica il correlato riassorbimento fiscale che non sarà oggetto di sterilizzazione).
In definitiva, quindi, nel calcolo del livello di tassazione effettiva estero va "sterilizzato” l’impatto:
a)delle variazioni in aumento o diminuzione della base imponibile estera di natura temporanea con riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro;
b)delle variazioni in aumento o diminuzione della base imponibile estera di natura temporanea prive di riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro ma che abbiano dato luogo, all’estero, a una tassazione anticipata di componenti positivi di reddito o a una deduzione posticipata di componenti negativi di reddito;
c)dell’eventuale versamento di imposte sostitutive delle imposte sui redditi per il riconoscimento di maggiori valori fiscali che determinano un disallineamento rispetto ai valori civilistici (dette imposte sostitutive vanno infatti collocate "temporalmente” nei periodi di imposta in cui emerge il componente reddituale ai fini contabili e/o si verifica il correlato riassorbimento fiscale).
Tenuto conto del fatto che la sterilizzazione delle poste e dei relativi riversamenti (cosiddetti "reversal”) indicati alle lettere b) e c) costituisce una novità rispetto al precedente regime, per ragioni di coerenza
logico-sistematica detta sterilizzazione vale solo a condizione che le medesime poste non abbiano già assunto rilevanza ai fini del calcolo della tassazione effettiva estera in periodi d’imposta precedenti a quello di decorrenza delle disposizioni recate con il Decreto ATAD.Al fine di assicurare profili di coerenza, vanno sterilizzate ai fini dell’ETR anche eventuali variazioni in diminuzione (e i relativi reversal) della base imponibile estera di natura temporanea e prive di riversamento certo e predeterminato qualora trovino corrispondenza in variazioni sostanzialmente
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analoghe a quelle dettate dalla disciplina interna sul piano della qualitĂ , della quantitĂ e della cadenza temporale anche dei relativi reversal.
4.1.2 La tassazione virtuale italiana
Ai fini del calcolo della tassazione virtuale italiana, nella relazione illustrativa al Decreto si precisa che rileva solo l’IRES. Pertanto, a differenza di quanto avveniva prima del recepimento della Direttiva, non si tiene piĂą conto di eventuali addizionali, né dell’IRAP (cfr. par. 4.1 del Provvedimento).
Le imposte virtuali italiane, però, devono essere sempre assunte al lordo (ossia senza tener conto dello scomputo) di eventuali ipotetici crediti d’imposta (ossia che sarebbero spettati in caso di residenza in Italia) per i redditi prodotti in uno Stato diverso da quello di localizzazione.
Il calcolo deve essere eseguito partendo dai dati risultanti dal bilancio di esercizio o del rendiconto della controllata, redatti secondo le regole dello Stato di localizzazione (con riferimento alle stabili organizzazioni in esenzione della controllata non residente, v. infra paragrafo 4.2). In particolare, se il bilancio o il rendiconto sono redatti in conformità ai principi contabili internazionali, il socio residente è tenuto a determinare il reddito della controllata secondo le disposizioni appositamente previste per i soggetti che adottano tali principi contabili internazionali (cfr. paragrafo 5.1, lettera a), del Provvedimento).
Il principio della derivazione rafforzata trova applicazione anche per le CFC che redigono il bilancio di esercizio in base alla direttiva 2013/34/UE, in conformitĂ a quanto avviene per i c.d. soggetti Nuovi OIC (cfr. articolo 83, comma
1-bis, del TUIR). Resta, invece, esclusa l’applicazione della derivazione rafforzata in relazione alle CFC da qualificare "microimprese”, ossia con i requisiti dimensionali previsti nell’articolo2435-ter del codice civile.La tassazione che la controllata avrebbe scontato in Italia non può essere calcolata sulla base di agevolazioni di cui avrebbe potuto fruire o di regimi fiscali opzionali cui la stessa avrebbe potuto aderire qualora effettivamente residente nel
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nostro Paese (cfr. paragrafo 5.1, lettera f), del Provvedimento).
Relativamente al regime di cui all’articolo 1 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (c.d. Aiuto alla crescita economica – ACE), si segnala che la disposizione contenuta nel paragrafo 5.1, lettera e), del Provvedimento è allineata a quanto previsto dal nuovo comma 7 dell’articolo 167 del TUIR, in merito ai criteri di determinazione del reddito del soggetto non residente, da imputare per trasparenza al socio italiano. La norma da ultimo citata, infatti, nello stabilire l’applicazione delle regole di determinazione del reddito d’impresa valevole per i soggetti IRES, esclude espressamente l’aiuto alla crescita economica (ACE), oltre alle disposizioni riguardanti le società di comodo, le società in perdita sistematica, gli ISA (Indici sintetici di affidabilità ) e la rateizzazione delle plusvalenze di cui all’articolo 86, comma 4, del TUIR. Conseguentemente, avendo il legislatore escluso l’ACE ai fini della determinazione del reddito da tassare per trasparenza, parimenti l’ACE non deve essere considerata ai fini del confronto tra i livelli impositivi.
Continua inoltre ad applicarsi la previsione che equipara l’imposizione italiana nei limiti del 5 per cento del dividendo o della plusvalenza, previsto negli articoli 87, comma 1, lettera c) e 89, comma 3, del TUIR a un regime di esenzione totale che preveda, nello Stato di localizzazione della controllata, l’integrale indeducibilità dei costi connessi alla partecipazione (cfr. paragrafo 5.1, lettera g), del Provvedimento).
Ai fini del calcolo del tax rate virtuale italiano non si tiene conto del limite di utilizzo delle perdite fiscali pregresse in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile previsto dal primo periodo del comma 1 dell’articolo 84 del TUIR (cfr. paragrafo 5.1, lettera h), del Provvedimento).
Anche ai fini del calcolo dell’imposta virtuale italiana vale quanto previsto al paragrafo 5.1, lettera d), del Provvedimento in cui si afferma che «Sono irrilevanti le variazioni non permanenti della base imponibile, con riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro (es. gli
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ammortamenti). Tale previsione non riguarda il riassorbimento di variazioni che sono state considerate rilevanti ai fini del calcolo del tax rate nei periodi d’imposta precedenti a quello di entrata in vigore del decreto legislativo n. 147 del 2015».
Con la medesima logica già esaminata a proposito del calcolo dell’imposta effettiva estera, ai fini della determinazione dell’imposta virtuale italiana, oltre all’impatto derivante dalle variazioni in aumento o diminuzione della base imponibile italiana di natura temporanea con riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro, va sterilizzato anche l’effetto delle variazioni in aumento o diminuzione della base imponibile italiana di natura temporanea prive di riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro laddove queste avrebbero dato luogo, nel caso in cui la controllata estera avesse scontato l’IRES, a una tassazione posticipata di componenti positivi di reddito o a una deduzione anticipata di componenti negativi di reddito. Nell’ambito del calcolo della tassazione virtuale in Italia, infatti, l’esigenza di non ammettere la sterilizzazione per le variazioni con riversamento non certo e predeterminato è funzionale soltanto ad evitare il rischio che venga potenzialmente considerato congruo il livello di tassazione effettiva di una giurisdizione estera anche nel caso in cui le regole italiane di determinazione del reddito imponibile della controllata estera, ove applicabili, avrebbero rinviato sine die la deduzione di determinati costi considerati deducibili all’estero ovvero anticipato l’imposizione di ricavi che si manifesteranno presso la controllata soltanto in futuro, in un periodo di tempo non meglio definito. Analogamente a quanto già illustrato in relazione alla determinazione della tassazione estera effettiva e sempre per ragioni di coerenza
logico-sistematica, in sede di determinazione della tassazione virtuale italiana, la sterilizzazione delle predette variazioni temporanee (ossia quelle dal riversamento non certo e predeterminato che avrebbero dato luogo, in Italia, a una deduzione anticipata di componenti negativi di reddito o a una tassazione posticipata di componenti positivi di reddito rispetto a quanto rilevato in bilancio) vale a condizione che le medesime poste non abbiano già rilevato ai fini del calcolo della tassazione virtuale interna in periodi d’imposta precedenti a quello di56
decorrenza delle disposizioni recate con il Decreto ATAD.
Sempre al fine di assicurare profili di coerenza, vanno sterilizzate ai fini del calcolo del tax rate virtuale italiano anche eventuali variazioni in aumento (e relativi reversal) della base imponibile virtuale italiana di natura temporanea e prive di riversamento certo e predeterminato qualora trovino corrispondenza in variazioni sostanzialmente analoghe a quelle dettate dalla disciplina estera sul piano della qualità , della quantità e della cadenza temporale anche dei relativi reversal (si pensi, ad esempio, ad accantonamenti a un fondo rischi ovvero a interessi passivi eccedenti i limiti del ROL a deducibilità differita sia all’estero che in Italia).
Ciò posto, costituiscono un esempio di variazioni temporanee con riversamento certo e predeterminato in base alla legge o per piani di rientro, le seguenti fattispecie:
â’plusvalenze patrimoniali rateizzate in cinque periodi d’imposta (art. 86, comma 4, del TUIR);
â’sopravvenienze attive rateizzate in cinque periodi d’imposta (art. 88, comma 3, lettera b) del TUIR);
â’ammortamenti dei beni materiali e immateriali eccedenti i limiti fiscali (articoli da 102 a 104 del TUIR);
â’svalutazione dei beni ammortizzabili (art. 101, comma 5, del TUIR);
â’spese di manutenzione eccedenti i limiti fiscali (articolo 102, comma 6, del TUIR);
â’componente di lungo periodo della variazione della riserva sinistri del ramo danni (articolo 111 del TUIR).
Invece, tra le variazioni temporanee prive di riversamento certo e predeterminato che, tuttavia, vanno sterilizzate in quanto avrebbero dato luogo in Italia a una tassazione posticipata di ricavi o a una deduzione anticipata di costi vanno annoverate, ad esempio, le seguenti:
⒠rinvio della tassazione dei dividendi al momento dell’incasso (articolo 89
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del TUIR);
â’rinvio della tassazione degli interessi attivi di mora al momento dell’incasso (articolo 109, comma 7, del TUIR).
Per quanto detto, viceversa, non possono essere oggetto di sterilizzazione altre variazioni prive delle caratteristiche sopra delineate, quali, ad esempio:
â’svalutazione dei crediti eccedenti i limiti fiscali di cui al comma 1, il cui riversamento si sarebbe verificato soltanto in caso di capienza dei limiti fiscali o realizzo della perdita (art. 106 comma 1 del TUIR);
â’accantonamenti per fondi rischi e oneri non riconosciuti fiscalmente o eccedenti i limiti fiscali, il cui riversamento si sarebbe verificato quando il rischio o l’onere sarebbe divenuto certo ovvero il fondo sarebbe stato rilasciato a conto economico (art. 107 del TUIR);
â’interessi passivi non deducibili ai sensi dell’articolo 96 (dal momento che il loro riversamento sarebbe avvenuto soltanto in presenza di future eccedenze di interessi attivi o di ROL);
â’compensi agli amministratori (articolo 95, comma 5, del TUIR);
â’contributi ad associazioni sindacali e di categoria (articolo 99, comma 3, del TUIR).
4.2Il test per le stabili organizzazioni di soggetti esteri
Come già anticipato, l’applicazione della normativa CFC si estende anche
alle stabili organizzazioni all’estero di soggetti controllati non residenti.
Nel paragrafo 2.3.1 è stato precisato che, in tal caso, il confronto relativo alla tassazione effettiva opererà differentemente:
a)se i redditi della stabile organizzazione sono esentati da imposizione nello Stato di residenza del soggetto controllato non residente; oppure
b)se i redditi della stabile organizzazione del soggetto controllato non residente non sono esentati da imposizione nello Stato di residenza del soggetto controllato non residente.
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Nell’ipotesi sub a), occorre effettuare due test: uno per il soggetto controllato non residente e uno per la sua branch.
In relazione alla casa madre assumono rilevanza le imposte dovute sul reddito ovunque prodotto nel mondo, escluso quello relativo alla stabile organizzazione esente (al netto cioè del reddito attribuito alla stabile organizzazione, determinato, sulla base del rendiconto redatto ai fini fiscali secondo le regole dello Stato di residenza della casa madre).
In relazione alla branch, per calcolare il livello effettivo di imposizione da questa subita, devono essere prese in considerazione le imposte da essa corrisposte, da confrontare con il reddito alla stessa attribuito (sempre determinato sulla base del rendiconto redatto ai fini fiscali nello Stato di residenza della casa madre).
Non rilevano invece, ai fini del test effettuato sul soggetto controllato non residente, le eventuali imposte che lo Stato di residenza dello stesso (ad esempio un altro Stato membro) dovesse applicare sui redditi della stabile organizzazione esente per effetto dell’applicazione della propria disciplina CFC.
Dette imposte vanno invece computate ai fini del test effettuato sulla stabile organizzazione, analogamente a quanto accade nel caso in cui presso l’entità estera controllata di primo livello trovi applicazione la disciplina CFC in relazione ai redditi della entità estera controllata di secondo livello (come illustrato al paragrafo 4.1.1). Ciò in quanto, in presenza dell’applicazione di una norma CFC nello Stato di residenza del soggetto controllato non residente, il carico fiscale subito da quest’ultimo a qualsiasi titolo rappresenta comunque un presidio coerente con la ratio della disciplina CFC contenuta nella Direttiva e nella normativa italiana, finalizzato a ripristinare un congruo carico fiscale e a contrastare la delocalizzazione di attività in un determinato Stato e il successivo trasferimento di parte delle attività medesime a favore di una stabile organizzazione in altro Stato.
Nella medesima ottica, laddove la stabile organizzazione dovesse risultare assoggettata (anche) alla disciplina CFC italiana, le predette imposte che lo Stato di residenza della controllata estera abbia applicato sui redditi della stabile
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organizzazione esente per effetto dell’applicazione della propria disciplina CFC sarebbero accreditabili ai sensi del comma 9 dell’articolo 167 del TUIR. Nel caso in esame, infatti, non è di ostacolo al riconoscimento del credito d’imposta estero la formulazione del citato comma 9, in cui si ammette «in detrazione, con le modalità e nei limiti dell’art. 165, le imposte sui redditi pagate all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente». Sul punto si rinvia al paragrafo 7.4.
Nel caso sub b), invece, si deve effettuare un unico test, considerando congiuntamente i redditi e le imposte assolte dalla stabile organizzazione e dalla casa madre. Ciò in quanto, in questo caso, i redditi attribuiti alla stabile organizzazione concorrono alla formazione del reddito imponibile del soggetto controllato non residente.
ESEMPIO
Ipotesi:
â’Y eĚ€ una societĂ residente fiscalmente in Italia che controlla integralmente la societĂ X (di seguito, "SocietĂ X”) che ha sede nello Stato Alfa
â’X eĚ€ la
casa-madre (di seguito,"Casa-Madre”) della stabile organizzazione (di seguito, "SO”) di X nello Stato Beta.â’Nello Stato Alfa l’aliquota dell’imposta sui redditi eĚ€ pari a 20%; nello Stato Beta essa eĚ€ del 15%.
Stato Alfa
Stato Beta
SocietĂ Y
SocietĂ X
S.O.
60
I. Caso 1 (Stabile Organizzazione "con il credito”)
Nello Stato Alfa è applicato il principio della tassazione dei redditi ovunque prodotti. Conseguentemente, i redditi della stabile organizzazione localizzata nello Stato Beta sono altresÏ soggetti ad imposizione in capo alla società X nel suo Stato di residenza (Alfa). Pertanto, ai fini dell’imposizione diretta la Società X si articola in:
Casa-Madre e SO.Passive Income Test.
In questo caso, in cui trova applicazione il metodo del credito d’imposta, il c.d. passive income test va effettuato considerando unitariamente tutti i ricavi della società X, sia quelli riferibili alla
casa-madre, sia quelli della stabile organizzazione (di seguito, i "Ricavi Complessivi”).Se i passive income superano un terzo dei Ricavi Complessivi, la condizione di cui al comma 4, lettera b), dell’articolo 167 del TUIR è soddisfatta.
Per semplicitĂ , si ipotizzi che sia la
Casa-Madre sia la SO conseguano ricavi composti prevalentemente da passive income.61
Tax Rate Test.
Per quanto riguarda il tax rate test si verifica la seguente situazione:
a)la Società X consegue un utile contabile (utile ante imposte come risultante da bilancio) pari a 300; tale utile è quindi comprensivo anche del risultato economico della SO.
b)Nello Stato Alfa l’utile della Società X (300) corrisponde a un reddito imponibile di 310, per effetto di variazioni in aumento (estere) per 10 di natura permanente (e, quindi, non sterilizzabili ai fini del test).
c)Il reddito imponibile nello Stato Alfa è soggetto ad imposta sul reddito con l’aliquota del 20 per cento.
d)L’imposta lorda dovuta dalla Società X è quindi pari a 62 (310 x 20%).
e)Per quanto riguarda la SO, il rendiconto economico redatto ai fini fiscali nello Stato Beta evidenzia un risultato di esercizio pari a 70 (comprensivo della remunerazione dei servizi resi dalla
Casa-Madre alla SO - internal dealing - per un valore pari a 30). Anche il reddito imponibile dalla SO è pari a 70 (si assume che non vi siano variazioni fiscali in aumento o in diminuzione). Inoltre, alla SO è riconosciuto un credito d’imposta per un importo pari a 1,5 (misura agevolativa destinata ai soggetti che si stabiliscono nello Stato Beta).f)Il reddito imponibile nello Stato Beta è soggetto ad imposta sul reddito con l’aliquota del 15 per cento.
g)La situazione fiscale della SO nel suo Stato di stabilimento Beta è la seguente:
Risultato Rendiconto economico (pari al reddito imponibile e giĂ
70
comprensivo degli internal dealing)
Aliquota
15%
Imposta lorda Stato Beta
10,5
Credito d’imposta (agevolazione)
(1,5)
Imposta netta nello Stato Beta
9
h)Lo Stato di residenza della Società X riconosce un credito d’imposta per imposte estere, pagate nello Stato Beta, pari a 9.
62
i)Complessivamente la SocietĂ X versa le seguenti imposte:
STATO
Imposta
Credito
Imposta netta
Lorda
Imposta
Stato Alfa
62
-9 53
Stato Beta
9
9
Totale
71
-9 62
j)In definitiva, si "consolida” l’imposta più elevata, vale a dire quella (lorda) dovuta nello Stato Alfa (imposte per 62).
k)Calcolo del tax rate effettivo estero: imposte / utile contabile lordo => 62 / 300 = 20,6%
l)La controllante Y (societĂ residente in Italia) procede al calcolo del tax rate virtuale determinando il reddito della SocietĂ X come se fosse residente in Italia. I redditi della
Casa-Madre e della SO si considerano conseguiti da un unico soggetto.m)In Italia, l’utile di 300 della società X corrisponderebbe a un reddito imponibile di 340 per effetto di variazioni in aumento per 40 di natura permanente (e, quindi, non sterilizzabili ai fini del test).
n)Il reddito di 340 sarebbe assoggettato ad aliquota IRES del 24 per cento. L’imposta "virtuale” italiana sarebbe pari a 81,6.
o)Il tax rate virtuale italiano è cosÏ determinato: imposta netta / utile contabile lordo => 81,6 / 300 = 27,2%.
p)Il livello impositivo estero del 20,6% risulta superiore alla metĂ del tax rate virtuale italiano (13,6%).
q)Pertanto, la societĂ X non eĚ€ una CFC e quindi la disciplina non si applica né nei confronti dei redditi prodotti dalla
Casa-Madre e né con riferimento a quelli conseguiti dalla SO localizzata in Beta.63
II. Caso 2 (Stabile Organizzazione "in esenzione”)
Nello Stato Alfa, la SocietĂ X applica il regime di branch exemption. Conseguentemente, i redditi e le perdite della SO non concorrono alla formazione del reddito della SocietĂ X nello Stato Alfa; in tale Stato, rileva unicamente il reddito della
Casa-Madre. Passive Income Test.
In questo caso, in cui trova applicazione il metodo dell’esenzione (branch exemption), il c.d. passive income test deve essere effettuato separatamente per la
Casa-Madre (considerando la percentuale di passive income sui ricavi ad essa attribuibili) e per la SO (considerando la percentuale di passive income sui ricavi ad essa attribuibili)21.La conseguenza dell’applicazione della branch exemption nello Stato Alfa è che la
Casa-Madre e la SO sono considerate come fossero soggetti fiscalmente indipendenti, assoggettati a imposizione esclusivamente nei rispettivi Stati di localizzazione per i redditi ivi prodotti.Per semplicitĂ , si ipotizzi che sia la
Casa-Madre sia la SO conseguano in via prevalente passive income.Tax Rate Test.
Per quanto riguarda il tax rate test si utilizza lo stesso esempio numerico del Caso 1, con la precisazione che le variazioni in aumento del reddito imponibile in Italia della SocietĂ X, complessivamente pari a 40, si riferiscano per 30 a costi e ricavi della
Casa-Madre e per 10 a quelli della sua SO. Ciò posto, si verifica la seguente situazione:a)Occorre procedere a due verifiche: un test per la
Casa-Madre e un test per la sua SO.b)La societĂ X ha un utile contabile di esercizio pari a 300 a cui corrisponde a un
21Questa soluzione è coerente con quanto affermato in tema di tax rate test al paragrafo 3.2.1. e al paragrafo n. 3 della circolare 26 maggio 2011, n. 23/E.
64
reddito imponibile di 310 a seguito di variazioni in aumento (estere) per 10 di natura permanente (e, quindi, non sterilizzabili ai fini del test).
c)In applicazione della branch exemption, viene sottratto il reddito della SO risultante dal rendiconto redatto per i fini fiscali secondo le regole dello Stato Alfa che è pari a 70 (e tiene conto, in quanto ritenuti rilevanti dalla giurisdizione della
Casa-Madre ai fini del calcolo del reddito da attribuire alla stabile organizzazione in esenzione, delle operazioni - internal dealing - fra Casa- Madre e SO, cfr. Caso 1).d)Il reddito imponibile è pari a 240 e l’aliquota dell’imposta sui redditi è del 20%.
e)L’imposta dovuta nello Stato Alfa è quindi pari a 48 (240 x 20%).
f)Il livello impositivo effettivo estero della
Casa-Madre è calcolato prendendo a riferimento l’utile prodotto dalla Società X, pari a 300, e sottraendo il risultato evidenziato nel rendiconto economico della SO che è pari a 70. In questo modo, si determina la quota dell’utile contabile attribuibile allo Stato Alfa, pari a 230 (ossia il risultato di bilancio di 300 meno il risultato da rendiconto).g)Tax rate effettivo della
Casa-Madre: imposte Stato Alfa / risultato contabile di esercizio => 48 / 230 = 20,8%.h)Per quanto riguarda la SO, il rendiconto economico redatto ai fini fiscali nello Stato Alfa evidenzia un risultato di esercizio pari a 70 (comprensivo della remunerazione dei servizi resi dalla
Casa-Madre alla SO - internal dealing - per un valore pari a 30). Anche il reddito imponibile dalla SO è pari a 70 (si assume che non vi siano variazioni fiscali in aumento o in diminuzione). Inoltre, alla SO è riconosciuto un credito d’imposta per un importo pari a 1,5 (misura agevolativa destinata ai soggetti che si stabiliscono nello Stato Beta).i)L’imposta dovuta nello Stato Beta in capo alla SO (aliquota dell’imposta sui redditi del 15%) è pari a 9 (70x 15% - 1,5 cfr. Caso 1).
j)Tax rate estero SO: imposte / risultato contabile di esercizio => 9 / 70 = 12,8%.
k)Le due entitĂ ,
Casa-Madre e SO, sono trattate separatamente anche ai fini del65
calcolo del tax rate virtuale italiano. In altri termini, non si può determinare un unico tax rate italiano (come nel precedente Caso 1) da confrontare con il tax rate estero della
Casa-Madre e della SO.l)Il reddito virtuale della SO si determina come segue:
Risultato Rendiconto economico redatto nello Stato Alfa (giĂ comprensivo degli internal dealing se ritenuti rilevanti dalla casa madre)
Variazioni in aumento non sterilizzabili (riferibili ai costi e ai ricavi della S.O.)
Reddito virtuale italiano
Aliquota IRES
Imposta virtuale
70
10
80
24%
19,2
m)Tax rate virtuale italiano della SO: imposte / risultato contabile d’esercizio => 19,2 / 70 = 27,4%. Pertanto, la SO deve essere assoggettata ad imposizione in Italia in base alla normativa CFC atteso che il suo tax rate effettivo (12,8%) è inferiore alla metà di quello virtuale italiano (13,7%).
n)Come nel precedente Caso 1, in Italia, l’utile contabile di 300 della Società X corrisponderebbe a un reddito imponibile di 340 a causa di variazioni in aumento (non sterilizzabili ai fini del test) per 40.
o)Il reddito virtuale della
Casa-Madre, tuttavia, è calcolato sottraendo al reddito virtuale della Società X (340) il reddito virtuale della SO (80).p)Al reddito imponibile di 260 della
Casa-Madre (pari al risultato contabile di 230 più 30 di variazioni in aumento permanenti riferibili ai costi e ai ricavi dellaCasa-Madre) viene applicata l’aliquota IRES del 24%. L’imposta virtuale è pari a 62,4.q)Tax rate virtuale della
Casa-Madre: imposta / risultato contabile d’esercizio => 62,4 / 230 = 27,1%.r)La
Casa-Madre non è considerata una CFC atteso che il tax rate estero è pari al 20,8% ed è superiore alla metà del livello impositivo virtuale italiano (13,5%).66
4.3Il test per le entitĂ estere considerate fiscalmente trasparenti nello Stato estero in cui sono localizzate
Nel caso di entitĂ estere considerate fiscalmente trasparenti in base alla
normativa dello Stato estero di localizzazione (anche se su opzione o a seguito di accordo con l’Amministrazione fiscale estera nella giurisdizione dell’entità medesima), ai fini della determinazione del rapporto tra il livello di tassazione effettiva estera e quello virtuale italiano (tax rate test), fermi restando i criteri generali illustrati nel precedente paragrafo 4.1, è necessario distinguere il caso in cui la partecipazione in tali entità da parte dei soggetti controllanti italiani sia detenuta da questi ultimi direttamente o indirettamente.
4.3.1 Partecipazione diretta
Nel caso in cui la partecipazione sia detenuta direttamente da parte di soci fiscalmente residenti (o localizzati) in Italia, l’entità estera deve essere considerata separatamente ai fini del test, sebbene rilevino anche le (eventuali) imposte pagate dai soci residenti in Italia nello Stato di localizzazione dell’entità trasparente (nei casi in cui, ad esempio, lo Stato di localizzazione eserciti la potestà impositiva sul socio estero relativamente al reddito della società trasparente). Ne discende che:
â’il tax rate estero va determinato facendo riferimento, oltre che alle imposte sui redditi eventualmente dovute dalla entitĂ estera (ad esempio, eventuali imposte locali sui redditi e/o ritenute fiscali subite), all’imposta estera eventualmente assolta dal socio italiano sui redditi ad esso imputati dalla giurisdizione di quest’ultima. In altri termini, l’entitĂ trasparente estera viene considerata anche ai fini CFC come un’entitĂ opaca il cui tax rate estero eĚ€ calcolato utilizzando il reddito emergente dal bilancio/rendiconto della medesima, mentre le imposte sono quelle eventualmente dovute dalla entitĂ estera e quelle eventualmente assolte dal socio;
â’il livello di tassazione virtuale italiano, deve essere calcolato considerando le imposte dovute sui redditi dall’entitĂ trasparente estera qualora la stessa fosse stata una ordinaria societĂ residente in Italia (non trasparente e soggetta all’IRES).
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Nel caso in cui un’entità trasparente estera sia partecipata direttamente da più soci residenti in Italia, di cui uno solo debba applicare la CFC, è necessario scomporre il reddito dell’entità estera in base alla quota di partecipazione agli utili del socio che deve applicare la CFC ed operare come descritto sopra, in termini di tassazione effettiva estera e di tassazione virtuale italiana, con esclusivo riferimento a tale quota.
4.3.2Partecipazione indiretta ("doppia trasparenza” e "ibrido inverso”)
Nel caso in cui il soggetto fiscalmente residente (o localizzato) in Italia detenga una partecipazione in un’entità estera trasparente in via indiretta, attraverso un socio (partner) estero, ai fini dell’effettuazione dell’ETR test (sulla partnership, sul partner o in capo a entrambi, a seconda dei casi), è necessario distinguere sulla base del regime fiscale attribuito all’entità estera ai sensi della normativa prevista nella giurisdizione di residenza (o localizzazione) del partner e in particolare:
i.se la giurisdizione del socio (partner) considera l’entità trasparente (c.d.
"doppia trasparenza”); ciò accade sia nel caso in cui lo Stato di residenza o localizzazione del partner e della partnership sia il medesimo, sia quando detti soggetti risiedono o sono localizzati in Stati diversi, ma la partnership è considerata trasparente non solo nella giurisdizione di localizzazione, ma anche nella prospettiva fiscale dello Stato di residenza o localizzazione del partner;
oppure
ii.se lo Stato di residenza o localizzazione del socio (partner) non riconosce la partnership estera come trasparente, ma la considera opaca (c.d. "ibrido inverso” o "reverse hybrid”).
I.Doppia trasparenza
Se la giurisdizione di residenza del socio (partner) considera l’entità trasparente (ossia la partnership è considerata trasparente anche nella prospettiva fiscale dello Stato di residenza del partner), il test del livello di imposizione deve
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essere operato in maniera unitaria in capo al partner, considerando quindi le imposte riferibili al suo reddito imponibile, comprensivo del reddito della partnership. Ciò significa che in tale ipotesi, occorre considerare:
1.le imposte dovute dal socio (partner) sul proprio reddito;
2.le imposte eventualmente dovute dalla partnership in proprio (ad esempio nel caso di imposte locali);
3.le imposte sul reddito della partnership eventualmente assolte dal socio (partner):
a)nella giurisdizione propria, in relazione al reddito della partnership ad esso imputato;
b)nella giurisdizione della partnership (ad esempio nel caso in cui lo Stato estero di localizzazione dovesse configurare, in conformità con l’eventuale Convenzione per evitare le doppie imposizioni, l’esistenza di una stabile organizzazione del socio (partner) in relazione alle attività svolte dalla partnership);
c)in altre giurisdizioni (ad esempio nel caso di ritenute alla fonte subite su redditi realizzati dalla partnership).
Per quanto concerne la tassazione virtuale italiana ossia la tassazione che avrebbe subĂŹto il socio (partner) estero qualora fosse stato residente in Italia (da raffrontare con la sua tassazione effettiva estera), questa deve essere calcolata sul reddito prodotto dal partner medesimo comprensivo del reddito della partnership estera.
Laddove la quota di partecipazione agli utili della partnership detenuta dal socio (partner) estero non sia integrale, ai fini del calcolo descritto, gli importi di riferimento della partnership (reddito, imposte, utile, etc.) vanno considerati in proporzione alla suddetta quota.
II.Ibrido inverso ("reverse hybrid”)
Diversamente, se lo Stato di residenza del socio (partner) non riconosce la
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partnership estera come trasparente (ma la considera opaca), sarĂ necessario effettuare due test.
Il primo, sul socio (partner) estero, va operato considerando, per quanto riguarda il livello di imposizione estera, solo il suo reddito (e non anche quello della partnership) e soltanto le imposte dovute dal socio (partner) medesimo in relazione a detto reddito. In tal caso, la tassazione virtuale italiana, ossia la tassazione che avrebbe subĂŹto il socio (partner) estero qualora fosse stato residente in Italia (da raffrontare con la sua tassazione effettiva estera), deve essere calcolata unicamente sul reddito prodotto dal socio (partner), senza tener conto del reddito della partnership estera.
Il secondo test, sulla partnership, va operato considerando, per quanto riguarda il livello di imposizione estera:
1.le imposte eventualmente dovute dalla partnership in proprio (ad esempio nel caso di imposte locali);
2.le imposte sul reddito della partnership eventualmente assolte:
a)dal socio (partner) nella giurisdizione della partnership (ad esempio nel caso in cui lo Stato estero di localizzazione dovesse configurare l’esistenza di una stabile organizzazione del partner in relazione alle attività svolte dalla partnership);
b)in altre giurisdizioni (ad esempio nel caso di ritenute alla fonte subite su redditi realizzati dalla partnership).
In tal caso, la tassazione virtuale italiana, ossia la tassazione che avrebbe subĂŹto la partnership estera qualora fosse stata residente in Italia (da raffrontare con la sua tassazione effettiva estera), deve essere calcolata considerando le imposte dovute sui redditi della partnership qualora la stessa fosse stata una ordinaria societĂ residente stabilita in Italia (non trasparente).
Laddove la quota di partecipazione agli utili della partnership detenuta dal socio (partner) estero non sia integrale, ai fini del calcolo descritto, è necessario
70
scomporre il reddito di quest’ultima in base alla predetta quota ed operare come appena descritto, in termini di calcolo della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale italiana, con esclusivo riferimento a tale quota.
* * *
Laddove la partnership sia partecipata da più soci controllati non residenti in Italia, è necessario "scomporre” il reddito dell’entità estera in base alla quota di partecipazione agli utili dei soci esteri ed operare come sopra descritto, in termini di calcolo della tassazione effettiva estera e della tassazione virtuale italiana, a seconda che per il socio controllato non residente l’entità sia in doppia trasparenza ovvero sia un reverse hybrid.
Se ad esempio ITA Co (parent) controlla al 100% B Co (residente nello Stato
B)e C Co (residente nello Stato C) e queste ultime detengono ciascuna il 50% di partecipazione agli utili della T Co (localizzata nello stato T ed ivi considerata trasparente), le varianti sono le seguenti:
â’B Co e C Co considerano T Co trasparente: in tale caso eĚ€ necessario operare 2 test, uno su B Co ed uno su C Co, attribuendo loro pro quota le grandezze rilevanti (ossia il reddito e le imposte) e calcolando la tassazione virtuale italiana secondo quanto indicato sopra al punto "I. Doppia trasparenza”);
â’B Co e C Co considerano T Co opaca: in tal caso eĚ€ necessario operare 3 test
separatamente: su B Co, C Co e T Co; il trattamento di B Co e C Co è quello ordinariamente applicabile ad una controllata estera, senza computare tuttavia le imposte eventualmente pagate da B Co e C Co sui redditi di T Co; il trattamento di T Co, viceversa, segue i criteri indicati sopra al punto "II. Ibrido inverso ("reverse hybrid”)”, tenendo conto della molteplicità dei soci (partner);
â’B Co considera T Co trasparente mentre C Co la considera opaca; anche in tale caso eĚ€ necessario operare 3 test: il primo testo su B Co secondo i criteri indicati sopra al punto "I. Doppia trasparenza” per quanto riguarda la quota in T Co; il secondo test su C Co trattandola come una ordinaria controllata
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estera; il terzo test su T Co, secondo i criteri indicati sopra al punto "II. Ibrido inverso ("reverse hybrid”)” con riguardo alla quota T Co attribuita a
C Co.
4.3.3Coesistenza di partecipazione diretta ed indiretta
Se un’entità trasparente estera T Co è controllata da un socio residente in Italia (I Co) con quote detenute in parte direttamente e in parte per il tramite di altra controllata estera (B Co), per quanto riguarda la quota direttamente posseduta dal socio italiano è necessario operare secondo quanto sopra indicato nel caso di partecipazione diretta (paragrafo 4.3.1). In relazione, invece, alla quota del socio estero B Co si dovrà fare riferimento a quanto indicato sopra nel caso di partecipazione indiretta (paragrafo 4.3.2), distinguendo, in base alle circostanze e ai fatti specifici, se si versa nel caso di "I. Doppia trasparenza” ovvero di "II. Ibrido inverso ("reverse hybrid”)”.
4.3.4 Considerazioni conclusive
A commento di quanto sopra illustrato, si ritiene opportuno riassumere i criteri di fondo che guidano il trattamento a fini CFC delle entità trasparenti estere. Tali criteri coincidono con quelli che ispirano il trattamento fiscale delle stabili organizzazioni con la differenza che, nel caso di entità trasparente estera, quest’ultima (al contrario di quanto accade nel caso di stabile organizzazione) non fa parte giuridicamente di altra entità e potrebbe avere più soci.
Nel caso di socio italiano, in particolare, l’entità trasparente estera è trattata come entità separata (sulla base del proprio rendiconto) ma le imposte necessarie per calcolare l’ETR test sono quelle pagate (eventualmente) dal socio italiano nella giurisdizione di localizzazione dell’entità estera. In questo senso il trattamento è assimilabile a quello di una branch in esenzione con la differenza che:
i.il rendiconto è quello dell’entità estera e non quello tenuto da casa madre; e
ii.l’entità trasparente estera può essere valutata pro quota, ossia valutata in proporzione alla quota di utili detenuta dal socio (ai fini sia dell’utile del
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rendiconto, sia della tassazione effettiva estera e sia della tassazione virtuale italiana.
Nel caso di socio estero, invece, l’entità trasparente estera è trattata, in tutto o in parte, come una stabile organizzazione in regime del credito d’imposta estero (quando la giurisdizione del socio controllato estero la vede come trasparente) ovvero come una stabile organizzazione in branch exemption (quando la giurisdizione del socio controllato estero la vede opaca). Nel primo caso, infatti, la quota di reddito e le relative imposte locali dell’entità trasparente sono imputate al socio (similmente a quanto accade nel caso di stabile organizzazione col credito), mentre nel secondo caso la quota di reddito e le imposte locali dell’entità trasparente sono imputate all’entità stessa (similmente a quanto accade nel caso di stabile organizzazione in regime di esenzione).
La descritta impostazione, peraltro, deve trovare coerente applicazione anche con riguardo al passive income test e all’esimente di cui al comma 5 dell’articolo 167 TUIR.
Quanto sopra illustrato non trova applicazione nel caso in cui un’entitĂ sia considerata opaca nella giurisdizione di residenza, ma risulti al contempo trasparente secondo la prospettiva della giurisdizione del socio estero. In tale caso si dovranno svolgere separatamente due test: uno per il socio estero ed uno per l’entitĂ . In coerenza con il trattamento delineato nei casi in cui nello Stato di residenza o localizzazione della entitĂ estera controllata trovi applicazione la disciplina CFC nei confronti della propria stabile organizzazione (in regime di esenzione) localizzata in altro Stato, nell’ambito del test da effettuarsi nei confronti del socio estero non dovranno essere considerati né il reddito dell’entitĂ estera, attribuito per trasparenza a detto socio, né le relative imposte sui redditi pagate da quest’ultimo; dette imposte, infatti, sebbene pagate dal socio estero nella propria giurisdizione di residenza o localizzazione sul reddito dell’entitĂ estera imputatogli per trasparenza, vanno invece computate ai fini del test effettuato su tale ultima entitĂ .
73
Naturalmente, si ribadisce che tutti i criteri delineati nel presente paragrafo
4.3trovano applicazione soltanto nel caso in cui in relazione alla partnership estera sia riscontrabile, in capo al socio residente o localizzato in Italia, un rapporto di controllo diretto o indiretto, come specificato nell’articolo 167, comma 2, del TUIR e nel paragrafo 3 della presente circolare.
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5IL CONSEGUIMENTO DA PARTE DEL SOGGETTO ESTERO CONTROLLATO DI PROVENTI PASSIVE
Ai fini dell’applicazione della disciplina CFC a una entità estera (ovvero ad una sua stabile organizzazione) non è sufficiente che questa integri il requisito del controllo e del tax rate, ma deve soddisfare anche la condizione della realizzazione, in misura superiore a un terzo del totale, delle tipologie di proventi elencate nell’articolo 167, comma 4, lettera b) del TUIR.
Nel dettaglio, la citata disposizione include i proventi rientranti «in una o più delle seguenti categorie:
1.interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
2.canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietĂ intellettuale;
3.dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni;
4.redditi da leasing finanziario;
5.redditi da attivitĂ assicurativa, bancaria e altre attivitĂ finanziarie;
6.proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente;
7.proventi derivanti da prestazioni di servizi, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate a favore di soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente; ai fini dell’individuazione dei servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo si tiene conto delle indicazioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 14 maggio 2018 emanato ai sensi del comma 7 dell’articolo 110 [del TUIR]».
La formulazione della norma richiede alcune precisazioni. Innanzitutto, si evidenzia come la condizione di cui alla lettera b) in esame vada verificata quando «oltre un terzo dei proventi da essi realizzati rientra in una o più delle seguenti
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categorie […]». Nel fissare la soglia rilevante, ai fini del test, dunque, la disposizione citata fa espresso riferimento al concetto di "provento”, subordinando la verifica dell’accesso al regime CFC facendo ricorso a modalità semplificate, garantite dal computo dei proventi realizzati dalla società controllata, cosÏ come risultanti in contabilità e a prescindere dalla loro valenza fiscale.
Sebbene nell’elenco delle categorie di cui ai numeri 1, 2, 3, 4 e 5 siano indicati rispettivamente «qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari», «qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale», i «redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni», i «redditi da leasing finanziario» e i «redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie», la verifica va effettuata considerando22 i proventi che concorrono alla determinazione dei redditi ivi indicati (da proprietà intellettuale, da leasing finanziario/attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie), dunque al lordo degli eventuali costi sostenuti, o le plusvalenze da cessione di proprietà intellettuale o di partecipazioni.
Si ricorda che il test in esame (consistente nel rapporto tra i proventi sopra elencati e i proventi complessivamente realizzati dal soggetto estero) è basato sui valori contabili e deve ispirarsi a criteri di semplificazione. Assumono, pertanto, rilevanza anche i proventi di natura valutativa imputati a conto economico: quelli elencati nella citata disposizione sono da considerare sia al numeratore che al denominatore del rapporto), gli altri tipi di proventi sono, invece, da considerare solo al denominatore del rapporto. A questo riguardo, la diversa locuzione utilizzata dal legislatore nel decreto n. 142/2018 rispetto alla precedente formulazione dell’articolo 167 del TUIR ("proventi realizzati” rispetto a "proventi conseguiti”) non ha portata innovativa, come risulta chiaramente dalla relazione illustrativa al decreto nella parte in cui viene specificato che «la condizione ulteriore di accesso si intende realizzata quando oltre un terzo dei proventi conseguiti dal soggetto estero controllato rientrano tra quelli individuati nella lettera b) del comma 4» [sottolineatura aggiunta].
22Analogamente a quanto previsto per le rimanenti attivitĂ indicate nei punti 6 e 7.
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Per la medesima motivazione, si ritiene che le componenti reddituali imputate direttamente a patrimonio netto sulla base dei corretti principi contabili siano da considerare, ai fini del test, quando troveranno evidenza a conto economico; laddove ciò non sia previsto occorrerà computarle fin da subito (i.e., al momento della loro imputazione a patrimonio netto) per verificare il superamento della soglia stabilita dal legislatore.
In relazione alle stabili organizzazioni all’estero di soggetti controllati non residenti, analogamente a quanto chiarito per il confronto della tassazione effettiva estera e la tassazione virtuale italiana, la verifica del superamento della soglia di un terzo opera in maniera differente a seconda che la stabile organizzazione sia esentata o meno nello Stato di residenza della casa madre:
â’nel primo caso (stabile organizzazione esente nello Stato di residenza di casa madre) si dovranno effettuare due verifiche: una per i proventi che nello Stato di residenza di casa madre sono attribuiti fiscalmente alla stabile organizzazione ed una per i proventi della casa madre, al netto di quelli attribuiti alla branch ai fini dell’esenzione. Qualora, a seguito delle verifiche effettuate (e in assenza dell’esimente), si configuri come CFC solo la casa madre o solo la branch, la tassazione per trasparenza avrĂ ad oggetto esclusivamente i redditi, rispettivamente, della casa madre o attribuiti alla branch;
â’nel secondo caso (stabile organizzazione non esente nello Stato di residenza di casa madre), sarĂ necessario operare un unico test, considerando complessivamente i proventi del soggetto controllato estero (dunque sia quelli conseguiti dalla casa madre che dalla branch nel medesimo periodo d’imposta). Qualora sussistano le condizioni per applicare la CFC rule (in assenza dell’esimente), l’imposizione per trasparenza avrĂ ad oggetto l’intero reddito del soggetto controllato non residente.
Per le stabili organizzazioni all’estero di soggetti residenti in Italia che applichino l’esenzione, la verifica del superamento della soglia di un terzo va effettuata con riferimento ai proventi che, ai fini dell’esenzione in Italia, sono
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attribuiti fiscalmente alla stabile organizzazione stessa. Anche in tal caso, qualora, a seguito delle verifiche effettuate (e in assenza dell’esimente), la stabile organizzazione si configuri come CFC, la tassazione per trasparenza avrà ad oggetto i redditi attribuiti alla branch.
Nel caso in cui la disciplina di tassazione per trasparenza trovi applicazione in capo a entità estere trasparenti e/o i propri soci (partner) che risultino controllati dal socio residente o localizzato in Italia, per la verifica della prevalenza dei proventi passive valgono le considerazioni svolte nel precedente paragrafo 4.3 a proposito dell’ETR test.
5.1Proventi derivanti da attivitĂ assicurativa, bancaria e altre attivitĂ finanziarie
I proventi realizzati dalla controllata estera derivanti da attivitĂ assicurativa,
bancaria e da altre attività finanziarie assumono rilevanza ai fini del test previsto nella lettera b) del comma 4 dell’articolo 167 del TUIR.
Rispetto a queste attività , nel corso dell’esame parlamentare dello schema di decreto, la VI Commissione finanze della Camera dei deputati ha reso un parere in cui chiedeva di «valutare l’eliminazione del diverso trattamento attualmente riservato alle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative per l’esimente di cui all’attuale articolo 167, co. 5, lett. a)».
La Commissione finanze si riferiva alle specifiche condizioni declinate dalla disciplina in vigore fino al 2018 riguardo ai soggetti svolgenti le suddette attività . In particolare, la lettera a) del comma 5 dell’articolo 167 del TUIR prevedeva che la condizione del c.d. "radicamento” della controllata estera potesse considerarsi soddisfatta per le attività bancarie, finanziarie e assicurative «quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento».
Inoltre, il comma
5-bis escludeva espressamente la possibilitĂ di disapplicare la tassazione per trasparenza invocando la c.d. prima esimente (indicata nella citata78
lettera a) del comma 5 dell’articolo 167 del TUIR), se non dietro dimostrazione di una prova rafforzata, per i soggetti i cui proventi fossero derivati «per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie»23.
Coerentemente con tale richiesta, nella relazione illustrativa al Decreto emerge la precipua volontà di recepire il contenuto della Direttiva uniformando il trattamento tributario di tutti i soggetti a prescindere dalla natura dell’attività svolta24. In questa prospettiva deve essere letta anche la scelta di non adottare l’opzione per l’esenzione contemplata nell’articolo 7, comma 3, della Direttiva, che consente a ciascuno Stato membro «di non trattare le imprese finanziarie come società controllate estere se non oltre un terzo dei redditi dell’entità appartenenti alle categorie di cui al paragrafo 2, lettera a), deriva da operazioni con il contribuente o le sue imprese associate».
Devono, pertanto, ritenersi superati i chiarimenti forniti in passato relativamente alle esclusioni previste per i proventi derivanti dall’attività di gestione, detenzione ed investimento in strumenti finanziari esercitata per conto terzi da soggetti qualificabili come intermediari finanziari e i proventi derivanti da attività assicurativa.
In particolare, nella circolare n. 23/E del 2011, in relazione all’ambito di applicazione del comma
8-bis dell’articolo 167 del TUIR, era stata esclusa la natura passiva dei proventi in questione, in quanto non riconducibili al mero sfruttamento "passivo” di capitale. Si era tenuto conto della circostanza che tali proventi derivano dall’esercizio attivo di funzioni di gestione finanziaria istituzionalmente svolte con carattere imprenditoriale da intermediari finanziari,23Il citato comma
5-bis trovava applicazione anche in relazione a proventi della societĂ o ente estero derivanti per piĂą del 50 dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietĂ industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi infragruppo.24Nella relazione illustrativa al decreto legislativo n. 142 del 2018 si fa presente «con riferimento all’osservazione di cui al terzo punto della lettera h) del parere reso dalla VI Commissione finanze della Camera dei deputati, in cui si chiede di valutare l’eliminazione del diverso trattamento attualmente riservato alle imprese bancarie, finanziarie e assicurative per l’esimente di cui all’attuale articolo 167, co.
5, lett. a) che il decreto legislativo recepisce il contenuto della direttiva uniformando il trattamento tributario di tutti i soggetti a prescindere dalla natura dell’attività svolta».
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ed aventi ad oggetto attivitĂ di proprietĂ di terzi, che normalmente costituiscono patrimonio distinto e separato da quello della societĂ incaricata della gestione.
Analoga esclusione era stata prevista, al ricorrere di specifiche condizioni, per i proventi finanziari (interessi, dividendi, plusvalenze, etc.) delle imprese assicurative, derivanti dalla gestione degli investimenti "obbligatoriamente” effettuati a copertura delle riserve tecniche.
Come anticipato, i precedenti chiarimenti non possono essere confermati a seguito delle modifiche intervenute con il decreto n. 142/2018, giacché, diversamente dalla previgente disciplina, la norma in vigore, ai fini del test in esame, ricomprende espressamente i proventi derivanti dall’attivitĂ assicurativa, bancaria e dalle altre attivitĂ finanziarie (ivi inclusi ad esempio quelli derivanti da una gestione attiva di capitali per conto terzi o dagli investimenti obbligatori a copertura delle riserve tecniche effettuati, sulla base della specifica normativa di settore, da soggetti sottoposti a vigilanza da parte delle competenti AutoritĂ locali).
Coerentemente con questa impostazione, la specifica disposizione inserita al comma 10 del medesimo articolo 167 dispone la tassazione per trasparenza anche degli OICR per i quali si verifichino gli altri requisiti di applicazione della disciplina CFC, in assenza della relativa esimente.
5.2I proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni e prestazioni di servizi infragruppo
In relazione alle attivitĂ indicate ai numeri 6) e 7) della disposizione in esame,
relative a compravendite di beni e prestazioni di servizi con valore economico aggiunto scarso o nullo25 nei confronti di parti correlate, si rende necessario fornire chiarimenti in merito alla loro individuazione e determinazione.
Rispetto allo schema di decreto legislativo, la versione definitiva della
25 La disciplina previgente contemplava le prestazioni di servizi infragruppo ma non le operazioni di compravendita di beni. In via interpretativa, l’Agenzia delle entrate aveva tuttavia chiarito che anche l’attività di compravendita di beni tra soggetti appartenenti allo stesso gruppo poteva configurare, sulla base dell’analisi delle sue caratteristiche essenziali, una prestazione di servizi (cfr. paragrafo 3 della circolare 28/E del 2011). I chiarimenti forniti in relazione alla precedente formulazione della norma devono, tuttavia, considerarsi superati.
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disposizione ricomprende tra le ipotesi di passive income i proventi derivanti da operazioni infragruppo che riguardano non solo la vendita, ma anche, più genericamente, la compravendita di beni (oltre che, al pari di quanto prevedeva lo schema, la prestazione di servizi). L’originario schema, infatti, faceva riferimento ai soli «redditi da operazioni di cessione di beni o prestazioni di servizi a valore aggiunto scarso o nullo» (sottolineatura aggiunta). La menzionata modifica risponde alle indicazioni della VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati, volte a rendere la disposizione coerente con quanto previsto dall’articolo 7, comma 2, lettera a), punto vi), della Direttiva, il quale menziona i «redditi da società di fatturazione che percepiscono redditi da vendite e servizi derivanti da beni e servizi acquistati da e venduti a imprese associate». La Direttiva, a sua volta, ha tenuto conto di quanto indicato nel Rapporto OCSE – Azione 3, paragrafo 78, sulle c.d. "invoicing companies”, vale a dire società che si limitano a svolgere attività prevalentemente amministrative legate alla circolazione dei beni o alla prestazione di servizi26.
Peraltro, è necessario inquadrare la disposizione interna anche alla luce della ratio a fondamento dell’azione 3 di BEPS e della formulazione letterale della Direttiva, volte a garantire il presidio della base imponibile nazionale attraverso il contrasto dei fenomeni di distoglimento di redditi a beneficio della CFC.
Pertanto, anche alla luce della predetta ratio, ai fini del test rilevano sia i proventi dell’entità estera controllata derivanti dalla rivendita a terzi indipendenti di beni acquistati da imprese associate, sia quelli derivanti dalla rivendita a imprese associate di beni dalla stessa acquistati da terzi indipendenti; d’altra parte, in entrambi i casi, l’entità estera realizza proventi derivanti da operazioni di "compravendita” attuate con soggetti del gruppo (nel primo caso, acquisti, nel
26Report BEPS Action 3, par. 78: «Income that arises from the sale of goods that were produced in the CFC jurisdiction or from services that were provided in the CFC jurisdiction generally does not raise any concerns about BEPS. Income from sales and services does, however, raise concerns in at least two contexts: (i) invoicing companies; and (ii) IP income. Invoicing companies raise concerns because they earn sales and services income for goods and services that they have purchased from related parties and to which they have added little or no value. As discussed above, income from IP that was shifted into the CFC and to which the CFC has added little to no value is commonly considered as sales and services income and could again escape CFC inclusion» [enfasi aggiunta].
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secondo caso, vendite), che le norme interne e unionali hanno ritenuto, unitamente alle altre condizioni previste dalla disciplina CFC, come suscettibili di generare rischi di erosione di base imponibile. A maggior ragione, ai fini del test rilevano anche le operazioni di compravendita che l’entità estera realizza sia dal lato passivo che dal lato attivo con controparti del medesimo gruppo di appartenenza.
Tale impostazione, per coerenza, vale anche nel caso delle prestazioni di servizi, che rilevano sia nel caso in cui il servizio reso, anche a terzi, dalla controllata estera è da questa acquisito presso un’impresa associata, sia nel caso in cui è la controllata estera a rendere il servizio (anche se acquisito da terzi e indipendentemente dal fatto che questi ultimi appartengano o meno al gruppo) nei confronti di altra impresa associata27.
In sostanza, la disposizione tende ad attrarre nell’ambito della CFC rule quelle società le cui operazioni, senza apportare valore aggiunto apprezzabile, sono rivolte al gruppo nella fase attiva e/o nella fase passiva potendo tali operazioni essere sintomatiche dell’esistenza di rischi di trasferimento di base imponibile nazionale a favore di giurisdizioni che prevedono livelli di tassazione significativamente inferiori.
Inoltre, per definire il valore economico scarso o nullo, la norma precisa che si tiene conto delle indicazioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi del comma 7 dell’articolo 110 del TUIR.
Si tratta del decreto 14 maggio 2018 in materia di transfer pricing per i servizi a "basso valore aggiunto”, che trova applicazione, per quanto compatibile, anche in relazione alle cessioni infragruppo.
In particolare, sono considerati a "basso valore aggiunto” quei servizi che:
27Con riferimento ai servizi, nonostante possa sembrare, a una prima lettura, che la norma interna si riferisca unicamente alle prestazioni effettuate a favore di soggetti del gruppo, l’ambito applicativo della stessa include, come chiarito dalla relazione illustrativa, anche le prestazioni di servizi acquisite dal gruppo. In effetti, è indubbio che l’esigenza di tutelare le basi imponibili nazionali non può prescindere dal considerare potenzialmente passiva anche l’attività di una controllata estera che realizzi gran parte dei suoi proventi acquisendo servizi dal gruppo e rivendendoli a terzi, mediante una semplice attività di "intermediazione”
(svolta a favore del gruppo) nella prestazione di servizi che non aggiunge valore aggiunto rilevante.
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â’hanno natura di supporto;
â’non sono parte delle attivitĂ principali del gruppo multinazionale;
â’non richiedono l’uso di beni immateriali unici e di valore e non contribuiscono alla creazione degli stessi;
â’non comportano l’assunzione o il controllo di un rischio significativo da parte del fornitore del servizio né generano in capo al medesimo l’insorgere di un tale rischio.
Come chiarito dalla relazione illustrativa al Decreto ATAD, tali indicazioni, sebbene riferite alla nozione di "servizi a basso valore aggiunto” di cui all’art. 7 del citato decreto 14 maggio 2018, risultano altresÏ applicabili ai fini della determinazione del valore dei beni oggetto delle operazioni di compravendita «con valore economico aggiunto scarso o nullo” di cui al punto 6 dell’articolo 167, comma 4, lettera b)».
Ai fini della individuazione dei servizi a basso valore aggiunto si può far riferimento anche alle Linee Guida OCSE sui prezzi di trasferimento (cfr. paragrafo 7.5), le quali forniscono sia una esemplificazione positiva ("positive list”) sia negativa ("negative list” (cfr. paragrafi 7.47 e 7.49). Nella prima lista (quella che individua in positivo i servizi a basso valore aggiunto) sono indicati i servizi di natura amministrativa, legale, contabile, fiscale, informatica, risorse umane, nonché relativi alla sicurezza e al recupero crediti. Nella seconda (quella che individua i servizi ad alto valore aggiunto) compaiono i servizi relativi alle attivitĂ tipiche del gruppo, alla ricerca e sviluppo, alla produzione industriale, agli acquisti di materie prime utilizzate nel processo produttivo, alle vendite, al marketing e alla distribuzione, allo sfruttamento di risorse naturali, ad operazioni finanziarie, di assicurazione e di riassicurazione, di direzione aziendale.
Le indicazioni contenute nel decreto 14 maggio 2018, cosÏ come quelle delle Linee Guida OCSE, fanno riferimento a servizi che normalmente non presuppongono una contribuzione significativa. L’idoneità o meno di apportare valore economico va comunque verificata in sede di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria, sulla base di un’analisi fattuale, al fine di
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verificare la sussistenza o meno di valore aggiunto scarso o nullo da attribuire all’apporto della controllata estera. Ciò può accadere, ad esempio, nel caso in cui la controllata estera svolga solo formalmente un’attività non rientrante tra quelle sopra indicate (ad esempio, attività di consulenza "core” per il gruppo, ritenuta tale solo in base al nomen juris), senza tuttavia apportare un significativo valore aggiunto.
Si precisa, inoltre, che la locuzione utilizzata «con valore economico scarso o nullo» deve intendersi riferita al valore aggiunto apportato dalle operazioni realizzate dai soggetti controllati esteri, mediante l’impiego delle risorse di cui dispongono, e non al valore economico dell’operazione, in sé considerata, della cessione/acquisto dei beni o della prestazione dei servizi prestati/ricevuti. Ciò in piena coerenza con la ratio della norma della Direttiva volta a individuare le societĂ che si limitano a svolgere servizi di mera "fatturazione” (o poco piĂą) e il cui utile possa risultare non coerente rispetto all’attivitĂ concretamente svolta.
Come già osservato, le operazioni indicate ai numeri 6) e 7) della disposizione in esame sono rivolte in fase di acquisto e/o in fase di vendita a soggetti appartenenti allo stesso gruppo. In particolare, la norma fa riferimento «ai soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente». In mancanza di una specifica definizione al riguardo, si ritiene sia necessario ricorrere alla nozione di controllo dettata al comma 2 dell’articolo 167 del TUIR, rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina CFC.
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6 CIRCOSTANZA ESIMENTE
Il comma 5 dell’articolo 167 del TUIR stabilisce che il soggetto controllante residente può, anche a seguito di una apposita istanza di interpello presentata all’Agenzia dell’entrate, disapplicare la normativa CFC qualora l’entità controllata (o la stabile organizzazione) svolga nel proprio Stato di residenza (o stabilimento) «un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali».
L’esimente introdotta dal legislatore italiano è coerente con la Direttiva che, all’articolo 7, paragrafo 2, consente di escludere la tassazione per trasparenza «se la società controllata estera svolge un’attività economica sostanziale sostenuta da personale, attrezzature, attivi e locali, come evidenziato da circostante e fatti pertinenti».
La nuova formulazione sostituisce il previgente sistema delle esimenti, costruito sulla distinzione a seconda che la controllata fosse:
1.localizzata in una giurisdizione a fiscalità privilegiata (o soggetta a un regime speciale) individuata dal previgente comma 4 dell’articolo 167 del
TUIR; ovvero
2.localizzata in una giurisdizione diversa da quelle di cui al citato comma 4 e integrasse i presupposti individuati dall’allora vigente comma
8-bis dell’articolo 167 del TUIR.Nel caso sub 1), la disapplicazione della CFC rule presupponeva il riconoscimento di almeno una delle circostanze indicate, rispettivamente nelle lettere a) e b) dell’articolo 167, comma 5, del TUIR, ossia che:
a)la società o altro ente non residente svolgesse un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività , nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione si riteneva soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originavano nello Stato o territorio di insediamento (c.d. "prima esimente”);
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b)dalle partecipazioni non conseguisse l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato (c.d. "seconda esimente”).
Ricorrendo il caso sub 2), invece, l’allora vigente comma
8-ter dell’articolo 167 del TUIR subordinava la disapplicazione della CFC rule alla dimostrazione che l’insediamento all’estero non rappresentasse «una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale».La nuova unica circostanza esimente, introdotta dal Decreto, non opera distinzioni in virtù del criterio territoriale28 e presenta differenze rispetto alle precedenti esimenti.
La formulazione attuale, infatti, pur mantenendo analogie con la vecchia prima esimente di cui alla lettera a) del comma 5 dell’articolo 167 del TUIR, se ne discosta, anzitutto, per la portata più ampia, facendo riferimento allo svolgimento di "un’attività economica effettiva” e non più allo svolgimento di "un’effettiva attività industriale o commerciale”.
Al riguardo, preme rilevare come il legislatore nazionale, in linea con quello europeo, richieda comunque che l’attività sia «sostenuta da personale, attrezzature, attivi e locali», ossia da una struttura che presenti una consistenza economica adeguata all’attività svolta.
La dimostrazione di tale esimente richiede la disponibilità di un adeguato set documentale, da produrre in sede di interpello o controllo. Un elenco esemplificativo dei documenti da produrre ai fini della suddetta dimostrazione è contenuto nell’ALLEGATO n. 4.
La necessità che la struttura presenti una consistenza economica adeguata all’attività svolta vale anche per quelle entità che non svolgono un’attività propriamente commerciale, alle quali è comunque richiesta una presenza adeguata
28Come già anticipato, infatti, la possibilità di dimostrare l’esimente dello svolgimento di un’"attività economica sostanziale” viene riconosciuta a prescindere dal Paese di residenza o di localizzazione della
CFC, quindi anche nel caso di entitĂ controllate estere non residenti o localizzate in Paesi diversi da quelli europei o dello Spazio economico europeo.
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alle funzioni poste in essere.
Ci si riferisce, in particolare, a quelle attivitĂ che non necessitano di una struttura organizzativa particolarmente complessa, come le holding o le societĂ che gestiscono attivi immobilizzati senza svolgere alcuna attivitĂ di stampo industriale o commerciale.
In relazione a tali soggetti, l’esimente non può essere riconosciuta in presenza di una struttura organizzativa priva di effettiva attività e di una reale consistenza (ad esempio, laddove il personale, i locali e le attrezzature risultino messi a disposizione da società domiciliatarie attraverso contratti di management service) e, in concreto, senza autonomia decisionale se non dal punto di vista formale.
In tal senso, una societĂ estera controllata risulta da assoggettare a tassazione qualora questa non sia in grado di svolgere autonomamente le attivitĂ che generano i propri profitti.
Per le entità estere svolgenti tali attività , non è preclusa la dimostrazione della circostanza esimente, ma si ritiene che la prova dello svolgimento di attività economica effettiva possa essere resa dal soggetto controllante residente facendo riferimento a determinati indici, già individuati dalla circolare n. 51/E del 2010 in relazione alla previgente disciplina CFC con riferimento alle attività c.d. immateriali.
Un elenco esemplificativo degli indici e della documentazione da produrre per provare lo svolgimento di un’attività economica effettiva da parte di società che non svolgono attività di stampo industriale o commerciale nel senso sopra indicato è fornito nell’ALLEGATO n. 5. Resta inteso che la valutazione degli elementi ivi elencati presuppone necessariamente un esame caso per caso della sostanza economica dell’entità estera, tenendo conto del profilo funzionale richiesto dall’attività della controllata.
La nuova circostanza esimente, inoltre, a differenza di quella prevista dalla previgente formulazione dell’articolo 167, comma 5, lettera a), del TUIR, non richiede il requisito del c.d. "radicamento”, ossia non presuppone che l’attivitĂ
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dell’entità controllata si rivolga al mercato dello Stato o territorio di insediamento.
Resta inteso che la circostanza che l’entità estera svolga la sua attività economica sostanziale rivolgendosi al mercato di insediamento, sebbene non sia una condizione necessaria per la disapplicazione della CFC rule, sarà comunque valorizzata nell’apprezzamento dell’esimente, coerentemente con quanto previsto dalla Corte di Giustizia che, nella citata sentenza Cadbury Schweppes del 12 settembre 2006 (causa
C-196/04), ha rilevato come «la nozione di stabilimento di cui alle disposizioni del Trattato relative alla libertĂ di stabilimento implica l’esercizio effettivo di un’attivitĂ economica per una durata di tempo indeterminata, mercé l’insediamento in pianta stabile in un altro Stato membro».Al riguardo, si evidenzia che l’attuale circostanza esimente, riflettendo l’evoluzione della giurisprudenza europea, ha sviluppato la nozione di "costruzione artificiosa”, richiedendo che l’entitĂ estera risponda a un insediamento reale che abbia per oggetto l’espletamento di attivitĂ economiche effettive e che sia dotata di una struttura idonea in termini di personale, attrezzature, attivi e locali.
Per quanto attiene alla prova della sussistenza degli elementi in base ai quali si può dimostrare l’esercizio di un’attività economica effettiva (personale, attrezzature, attivi e locali), il livello di presenza di tali elementi deve essere valutato in ragione della natura dell’attività e delle funzioni svolte dall’entità estera.
Quanto appena precisato vale anche qualora l’entità controllata estera svolga sia attività c.d. "passive” sia altre attività . Tale approccio è coerente con l’impostazione della norma che prevede, nel caso di mancata dimostrazione dell’esimente, l’imputazione per trasparenza dell’intero reddito della CFC (ivi incluso quello "diverted from parent jurisdiction” e quello "foreign to foreign”, sia la parte riferibile ad attività "passive”, sia quella riferibile alle altre attività ).
Tuttavia, anche alla luce di quanto rilevato dall’OCSE nel Rapporto BEPS Azione 3 più volte citato, al fine di garantire un adeguato presidio degli interessi
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erariali e, quindi, di evitare comportamenti posti in essere allo scopo di dimostrare
-strumentalmente - la sussistenza dell’esimente, "innestando”, solo formalmente, una o più attività da cui derivano redditi "passive” all’interno di un’adeguata struttura (in termini di personale, attrezzature, attivi e locali) riferibile ad altre attività (c.d. effetto di "swamping”), l’Amministrazione finanziaria, in sede di verifica e sulla base di apposita analisi di rischio, dovrà :
â’utilizzare gli strumenti previsti dalla normativa sui prezzi di trasferimento nelle operazioni con l’entitĂ controllata estera, allo scopo di assicurare che, tanto con riguardo ai redditi "passive” quanto con riguardo agli altri redditi dell’entitĂ estera, non si siano verificati fenomeni di distoglimento di reddito a danno dell’Italia verso l’entitĂ controllata estera ("diversion from parent jurisdiction”);
â’valutare l’attivazione delle previste procedure di cooperazione amministrativa con gli altri Stati eventualmente interessati. Resta ferma, a seconda dei casi, l’utilizzabilitĂ anche di altri strumenti eventualmente applicabili (ad esempio, le discipline di contrasto alla "esterovestizione” e all’interposizione ovvero la verifica delle condizioni per riconoscere la qualifica di beneficiario effettivo, etc.).
Infine, in merito alle stabili organizzazioni di soggetti non residenti, preme rilevare che, coerentemente con quanto precisato in ordine al tax rate test e al passive income test, la dimostrazione della nuova esimente deve essere resa con riferimento all’intera attività della CFC se la stabile organizzazione viene tassata nello Stato di residenza. Diversamente, se la branch è esentata nello Stato di residenza della casa madre, la dimostrazione dell’esimente sarà circoscritta all’attività e alla struttura imputabile alla branch. In questa seconda ipotesi, la società controllata che, singolarmente considerata, fosse da qualificare CFC, ai fini della dimostrazione in esame assumerà rilevanza la sola attività da questa svolta e il personale e le attrezzature utilizzate dalla medesima. Si ribadisce che, a livello pratico, le informazioni contenute nella documentazione atta a dimostrare la corretta attribuzione di utili o perdite alla stabile organizzazione in esenzione di un
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soggetto residente in Italia, effettuata in stretta aderenza all’approccio autorizzato OCSE (AOA) (come peraltro già richiesto dal regime di branch exemption), possono formare utile ausilio ai fini della dimostrazione dell’esimente prevista dal comma 5 dell’articolo 167 TUIR. Resta fermo che la disciplina CFC interviene comunque laddove non risulti possibile (o agevole) pervenire a una individuazione ragionevolmente attendibile dei redditi (o delle perdite) attribuibili alla stabile organizzazione medesima.
Mutatis mutandis, analogo approccio andrà adottato nel caso in cui la disciplina di tassazione per trasparenza trovi applicazione in capo a entità estere trasparenti e/o i propri soci (partner) che risultino controllati dal socio residente o localizzato in Italia, facendo riferimento alle considerazioni svolte nel precedente paragrafo 4.3 a proposito dell’ETR test.
Per completezza, si osserva che il nuovo articolo 167 del TUIR, conformemente alla Direttiva, non ripropone la c.d. "seconda esimente” di cui alla lettera b) del comma 5 del previgente articolo 167 del TUIR, che richiedeva di dimostrare che «dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato»29.
Ăvenuta meno anche l’esimente di cui al comma
8-ter dell’articolo 167 del TUIR, dedicata, sin dall’entrata in vigore, a tutte le controllate localizzate in Stati diversi da quelli a fiscalità privilegiata, inclusi gli Stati membri dell’Unione europea e quelli aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo30.29 Il superamento dell’esimente prevedeva la dimostrazione che il carico fiscale scontato nel Paese di insediamento della controllata fosse almeno pari al 50 per cento di quello che sarebbe stato scontato laddove la stessa fosse stata residente in Italia. Come chiarito nella circolare 4 agosto 2016, n. 35/E, tale dimostrazione si sostanziava nella verifica che il tax rate effettivo estero fosse superiore alla metà dell’aliquota nominale italiana (data dalla sommatoria dell’aliquota IRES e dell’aliquota ordinaria IRAP) e, nel caso di fallimento di questo primo test, nell’ulteriore verifica che il tax rate effettivo estero fosse superiore al 50 per cento di quello virtuale italiano. à evidente che il meccanismo di detta esimente non avrebbe potuto funzionare nell’ambito della nuova disciplina CFC, connotata da un approccio imperniato sulla tassazione effettiva, il cui presupposto applicativo è, infatti, già basato sul riscontro di un tax rate effettivo estero inferiore alla metà di quello virtuale italiano.
30 Per la dimostrazione dell’esimente di cui al citato comma
8-ter, il socio residente era chiamato a dimostrare che «l’insediamento all'estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale».90
7 DETERMINAZIONE, ATTRIBUZIONE E TASSAZIONE DEL REDDITO DEL SOGGETTO ESTERO CONTROLLATO
Nei paragrafi che seguono vengono illustrate le modalitĂ di determinazione del reddito del soggetto controllato da imputare per trasparenza al soggetto controllante residente in Italia, nonché le condizioni di spettanza del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero dalla CFC.
7.1 La determinazione del reddito estero
Le modalità di determinazione del reddito della CFC sono fissate dal comma 7 dell’articolo 167, il quale prevede che «i redditi del soggetto controllato non residente sono determinati a seconda delle sue caratteristiche, in base alle disposizioni valevoli ai fini dell’imposta sul reddito delle società per i soggetti di cui all’articolo 73, fatta eccezione per le disposizioni di cui agli articoli 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, 2, comma
36-decies, deldecreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148,62-sexies deldecreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, 1 deldecreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e 86, comma 4, del presente testo unico».La disposizione sopra richiamata stabilisce l’applicazione delle regole di determinazione del reddito ai fini IRES previste per le imprese residenti sia nel TUIR che in altre fonti normative, ad eccezione delle disposizioni riguardanti le società di comodo, le società in perdita sistematica, gli studi di settore (oggi ISA), l’aiuto alla crescita economica (ACE) e la rateizzazione delle plusvalenze di cui all’articolo 86, comma 4, del TUIR (cfr. relazione illustrativa p. 21).
Come già affermato nella circolare n. 35/E del 2016, è escluso che l’applicazione della disciplina CFC sia limitata alle sole controllate estere produttive di reddito d’impresa, nell’accezione fatta propria dall’articolo 55 del TUIR. Pertanto, l’esercizio di un’attività d’impresa non è un prerequisito oggettivo necessario per annoverare la struttura estera tra quelle suscettibili di soggiacere nel territorio dello Stato alla suddetta disciplina. Tutti i redditi conseguiti dal soggetto
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estero sono considerati, ai fini dell’imputazione e tassazione in Italia, redditi d’impresa, stante l’applicabilità , ai fini della determinazione del reddito del soggetto controllato estero, dell’articolo 81 del TUIR (salvo quanto illustrato nel successivo paragrafo 9 in relazione agli OICR), secondo il quale il reddito complessivo da qualsiasi fonte provenga è considerato reddito d’impresa.
Per attribuire il valore fiscale ai beni della CFC occorre avere riguardo alle specifiche disposizioni contenute nel D.M. n. 429 del 2001. In particolare, si ricorda che all’articolo 2, comma 2, del citato decreto ministeriale si stabilisce che «i valori risultanti dal bilancio relativo all’esercizio o periodo di gestione anteriore a quello da cui si applicano le disposizioni del presente regolamento sono riconosciuti ai fini delle imposte sui redditi a condizione che siano conformi a quelli derivanti dall'applicazione dei criteri contabili adottati nei precedenti esercizi o ne venga attestata la congruità da uno o più soggetti che siano in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 11 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 88. Gli ammortamenti e i fondi per rischi ed oneri risultanti dal predetto bilancio si considerano dedotti anche se diversi da quelli ammessi dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ovvero se eccedenti i limiti di deducibilità ivi previsti».
La disposizione, in sostanza, detta i criteri per individuare i valori fiscali del primo esercizio di applicazione della norma antielusiva in esame. Se una controllata estera eĚ€ considerata CFC a partire dal 1° gennaio 2019, si utilizzeranno i valori del bilancio d’esercizio chiuso al 31 dicembre 2018. Diversamente, per le societĂ estere che sono giĂ considerate CFC e tassate per trasparenza in base alla normativa in vigore fino al periodo di imposta 2018, saranno utilizzati i valori giĂ presenti in dichiarazione dei redditi, poiché prevale il principio di continuitĂ rispetto al precedente regime.
In merito, coerentemente con le indicazioni fornite nelle circolari nn. 51/E del 6 ottobre 2010 e 23/E del 26 maggio 2011 (cui si rinvia per eventuali approfondimenti sul punto) nonché con quanto disposto dal Provvedimento (lettera punto 5.1, lettera j), il "monitoraggio” dei valori fiscali degli elementi dell’attivo
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e del passivo dell’entità estera CFC (tanto ai fini dell’ETR test quanto ai fini della determinazione del suo reddito da imputare per trasparenza) può decorrere dall’acquisizione del controllo della stessa, indipendentemente dalla circostanza che siano o meno integrate le altre condizioni per l’applicazione della disciplina CFC a quest’ultima31.
In tal modo, anche nel caso in cui l’imputazione per trasparenza non abbia luogo (per carenza delle altre condizioni), i redditi, le perdite e le eccedenze di interessi passivi e ROL "virtuali” della CFC saranno comunque determinati, cosÏ da:
â’aggiornare e continuare a tenere memoria dei valori fiscali degli elementi patrimoniali di riferimento; e
â’consentire il riporto in avanti delle perdite e delle altre eccedenze (virtuali)
ai fini di un loro possibile utilizzo nell’eventuale successivo momento di avvio della tassazione per trasparenza (per il verificarsi delle altre condizioni).
Per esigenze di semplificazione, resta comunque ammessa la possibilità di avviare detto "monitoraggio” anche in periodi d’imposta successivi a quello di acquisizione del controllo (restando inteso che, a partire dal periodo d’imposta in cui la normativa CFC, in relazione alla specifica entità estera, trova concreta applicazione, il "monitoraggio” dei predetti elementi risulta di fatto assorbito negli adempimenti dichiarativi richiesti dalla disciplina CFC).
Nel caso in cui il citato "monitoraggio” non venga attivato, come chiarito nella citata circolare n. 23/E, ai fini della determinazione del reddito della CFC da imputare per trasparenza, occorre far riferimento alle disposizioni di cui all’articolo 2, comma 2, del D.M. n. 429/2001 e ai chiarimenti forniti con le circolari n. 51/E del 2010 e n. 23/E del 2011, assumendo quali valori di partenza fiscali quelli risultanti dal bilancio o rendiconto relativo all’esercizio precedente
31In base a quanto previsto dal Provvedimento (lettera punto 5.1, lettera j), detto monitoraggio va effettuato attraverso una manifestazione di volontĂ (e, in quanto tale, non modificabile attraverso dichiarazioni integrative) da esprimere attraverso il quadro FC del modello Redditi (vedasi anche il successivo paragrafo 7.3.).
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all’applicazione della disciplina CFC e senza tener conto di eventuali perdite o altre eccedenze relative ad esercizi precedenti. Per esigenze di semplificazione e omogeneità dei termini di confronto, la stessa impostazione va seguita anche per l’effettuazione dell’ETR test (tanto ai fini della determinazione dell’ETR quanto ai fini della determinazione del VTR)32.
Ciò posto, il legislatore ha precisato che il reddito della CFC va rideterminato facendo riferimento alle regole applicabili ai soggetti IRES «a seconda delle caratteristiche» dell’entità estera. Resta inteso che tali regole trovano applicazione anche ai fini della determinazione della tassazione virtuale italiana.
La finalità consiste nel garantire l’equivalenza della base imponibile del reddito estero, imputato per trasparenza in capo al socio italiano, rispetto allo stesso reddito qualora questo fosse stato prodotto in Italia (cfr. relazione illustrativa, p. 21).
In altri termini, è necessario comprendere se la CFC sia "assimilabile” a una determinata categoria di contribuenti residenti in Italia. Le caratteristiche della CFC dovranno essere esaminate avendo riguardo allo status dell’entità estera (non solo dal punto di vista formale ma anche sostanziale/fattuale), alle norme dello Stato estero applicate nei confronti della CFC e alla corrispondente normativa italiana di riferimento.
Qualora la controllata sia, ad esempio, un "intermediario finanziario”, troverà applicazione, in sede di determinazione del reddito della CFC (cosÏ come ai fini dell’ETR test), la disciplina specifica di deducibilità degli interessi passivi di cui all’articolo 96, commi 12 e 13 del TUIR o quella sulle svalutazioni dei crediti e accantonamenti per rischi su crediti di cui all’articolo 106, commi 3 e 4, del TUIR. Per individuare se una controllata estera abbia caratteristiche assimilabili ad un intermediario finanziario residente si farà riferimento alla nuova definizione contenuta nell’articolo
162-bis del TUIR (cfr. articolo 12 del Decreto). Ad32Ad esempio, con specifico riguardo alle perdite estere, esse assumono rilevanza ai fini dell’ETR test a decorrere dal periodo d’imposta in cui detto "monitoraggio” è stato avviato.
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esempio, saranno qualificati come "banche” i soggetti autorizzati e vigilati in base alla normativa dello Stato estero di localizzazione a svolgere l’attività di raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito.
In linea con questa interpretazione, si precisa che quando il bilancio estero è redatto secondo i principi contabili internazionali (IAS/IFRS), il reddito della controllata estera imponibile in Italia va determinato applicando le disposizioni fiscali italiane previste per i soggetti IAS/IFRS adopter.
Il principio della derivazione rafforzata trova applicazione anche per le CFC che redigono il bilancio di esercizio in base alla direttiva 2013/34/UE, in conformitĂ a quanto avviene per i c.d. soggetti Nuovi OIC (cfr. articolo 83, comma
1-bis, del TUIR).Viceversa, quando il bilancio di esercizio della controllata estera è redatto secondo principi contabili diversi dai precedenti, il reddito della società controllata imponibile in Italia va determinato secondo le disposizioni fiscali italiane. In entrambi i casi, ovviamente, si prescinde dalla qualifica del socio residente, ossia dalla circostanza che quest’ultimo, ai sensi delle disposizioni italiane, sia un soggetto IAS/IFRS adopter oppure no (cfr. circolare n. 23/E del 2011, par. 2.5). Inoltre, si precisa che il principio della c.d. derivazione rafforzata è escluso per le CFC assimilabili alle microimprese come definite dall’articolo
2435-ter del TUIR.Sempre in tema di determinazione del reddito della societĂ estera, considerata la natura antielusiva della disciplina CFC e la finalitĂ di contrasto alla delocalizzazione dei redditi in regimi fiscali privilegiati, si esclude che possano essere applicati regimi fiscali opzionali o agevolativi come, ad esempio, il regime c.d. Patent box, sia in sede di tassazione per trasparenza che di calcolo del tax rate virtuale italiano.
Occorre anche considerare l’ipotesi in cui il reddito della CFC derivi da operazioni intercorse con un soggetto italiano (anche se diverso dal soggetto controllante) non valorizzate at arm’s length. Poiché, per effetto di una rettifica di transfer pricing, il reddito della controparte italiana potrebbe essere rettificato in
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aumento, in tale ipotesi si ritiene che, coerentemente, debba essere rettificato in diminuzione il reddito della CFC imputato al soggetto controllante italiano.
Infine, è necessario chiarire il corretto trattamento fiscale, in sede di tassazione per trasparenza, dei dividendi ricevuti dalla CFC e distribuiti da una controllata di secondo livello.
In linea di principio i dividendi provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato sono imponibili in misura integrale, come stabilito dall’articolo 89, comma 3, del TUIR. Tuttavia, questi dividendi potrebbero aver già scontato una imposizione in capo alla controllata che li ha prodotti, proprio in applicazione della disciplina di cui all’articolo 167 del TUIR.
Si ricorda che la disciplina CFC è concepita in modo da escludere che il reddito tassato per trasparenza sia nuovamente assoggettato a imposizione sotto forma di dividendo. Il comma 10 dell’articolo 167 stabilisce, infatti, che «gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti controllati non residenti non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti di cui al comma 1 fino a concorrenza dei redditi assoggettati a tassazione ai sensi del comma 8, anche nei periodi d'imposta precedenti».
La citata disposizione fa ovviamente riferimento alla imposizione dei dividendi in capo alla controllante italiana, dovendo regolare il trattamento fiscale degli utili distribuiti dalla CFC al socio residente nel territorio dello Stato che ha effettuato la tassazione per trasparenza dei redditi della società estera. Allo stesso tempo, però, la regola fa emergere con chiarezza la finalità della previsione, che è quella di evitare la doppia imposizione del reddito già tassato per trasparenza.
Come affermato con circolare 29 marzo 2013, 7/E, par. 7.1, la tassazione per trasparenza della CFC fa venire meno l’effetto di localizzare i redditi in un paradiso fiscale.
In tale situazione, pertanto, si ritiene che i dividendi percepiti dalla CFC di primo livello siano da considerare non imponibili nei limiti dell’ammontare pari ai redditi prodotti dalla controllata di secondo livello (anch’essa considerata CFC) già imputati per trasparenza al socio italiano. L’eccedenza, rispetto a tale
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ammontare, concorre alla formazione del reddito nella misura del 5 per cento.
Le medesime considerazioni valgono nell’ambito del calcolo della tassazione "virtuale” italiana da confrontare con il livello di tassazione effettiva estera ai sensi dell’articolo 167, comma 4, lettera a) del TUIR.
Qualora, invece, i dividendi percepiti dalla CFC siano stati distribuiti da una controllata residente in un Paese a fiscalità ordinaria, questi saranno da considerare imponibili nei limiti del 5 per cento del loro ammontare. Anche in questo caso, il suddetto trattamento sarà applicato ai dividendi sia in sede di determinazione del reddito della CFC da imputare per trasparenza, sia in sede dell’ETR test.
7.2 Il meccanismo di imputazione per trasparenza
L’imputazione per trasparenza del reddito della CFC al soggetto controllante è disciplinata dal comma 6 dell’articolo 167 del TUIR, il quale stabilisce che «ricorrendo le condizioni di applicabilità della disciplina del presente articolo, il reddito realizzato dal soggetto controllato non residente è imputato ai soggetti di cui al comma 1, nel periodo d’imposta di questi ultimi in corso alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto controllato non residente, in proporzione alla quota di partecipazione agli utili del soggetto controllato non residente da essi detenuta, direttamente o indirettamente. In caso di partecipazione indiretta per il tramite di soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti, i redditi sono imputati a questi ultimi soggetti in proporzione alle rispettive quote di partecipazione».
L’ammontare del reddito da tassare per trasparenza rispetta, dunque, la quota di partecipazione agli utili detenuta dal socio italiano e tiene conto del c.d. effetto demoltiplicativo della catena partecipativa.
Fra le disposizioni del D.M. 21 novembre 2001 da considerarsi ancora in vigore, in quanto non in contrasto con la nuova disciplina CFC, vi è quella secondo cui i redditi espressi in valuta estera da tassare per trasparenza devono essere convertiti «secondo il cambio del giorno di chiusura dell’esercizio o periodo di
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gestione dell'impresa, società o ente non residente».
Nel caso in cui né dallo statuto del soggetto estero controllato né dalle disposizioni generali del Paese estero sia dato individuare una data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione, si dovrĂ fare riferimento alla data di chiusura dell’esercizio fiscale del soggetto residente controllante (cfr. circolare 12 febbraio 2002, n. 18/E, par. 2.2).
Per comprendere come l’imputazione per trasparenza in capo al soggetto residente avviene in proporzione alle relative quote di partecipazione, si considerino le seguenti fattispecie esemplificative.
Esempio n. 1
â’La societĂ italiana Alfa detiene il 100% della societĂ italiana Beta che, a sua volta, partecipa al 100% la societĂ estera CFC.
â’Alfa, controllante italiana di ultimo livello, compila il quadro FC della dichiarazione ed imputa alla controllante italiana di primo livello Beta l’intero reddito prodotto dalla societĂ estera.
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Esempio n. 2
â’La societĂ italiana Alfa detiene le partecipazioni totalitarie delle societĂ Beta e Delta, entrambe residenti in Italia.
â’Sia Beta che Delta detengono, a loro volta, il 50 per cento della societĂ estera CFC. La situazione eĚ€ sintetizzata nella figura che segue:
â’Alfa, che controlla indirettamente la societĂ estera per il tramite delle due societĂ italiane Beta e Delta, compila il quadro FC e imputa a ciascuna di loro il 50% del reddito prodotto dalla CFC.
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Esempio n. 3
â’L’ipotesi rappresentata nella figura eĚ€ quella in cui la societĂ italiana Alfa detiene la partecipazione del 100% nella societĂ estera Delta, che detiene il 100% della societĂ considerata CFC.
â’A differenza dell’esempio n. 1, il controllo indiretto di Alfa sulla CFC viene esercitato per il tramite di un’altra societĂ estera.
â’In questo caso, eĚ€ la stessa Alfa a tassare per trasparenza il reddito della CFC in quanto unica controllante residente in Italia.
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Esempio n. 4
â’La societĂ Alfa, residente in Italia, detiene il controllo del 100% nella CFC. La partecipazione totalitaria nella CFC eĚ€ riferibile alla stabile organizzazione estera di Alfa (a prescindere dal fatto che in relazione ai redditi della stabile organizzazione si fruisca o meno in Italia del regime della branch exemption). In questa ipotesi Alfa applica l’articolo 167 del TUIR e tassa per trasparenza il reddito della CFC.
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Esempio n. 5
â’Alfa, societĂ residente in Italia che ha una stabile organizzazione estera, ha aderito al regime della c.d. branch exemption. Poiché in relazione alla propria stabile organizzazione sono integrati i requisiti per considerare quest’ultima come CFC ai sensi dell’articolo 167 del TUIR, Alfa nega l’esenzione e procede a tassare per trasparenza i redditi prodotti dalla CFC.
Esempio n. 6
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â’La societĂ italiana Alfa controlla direttamente al 100% DeltaLux, societĂ non residente in Italia.
â’La stabile organizzazione di Delta, esente nello Stato di residenza, eĚ€ considerata una CFC nella prospettiva dello Stato italiano.
â’In questa ipotesi Alfa tassa per trasparenza il reddito prodotto dalla stabile organizzazione estera di Delta.
7.3La tassazione separata e la segregazione dei redditi e delle perdite della CFC
Il comma 8 dell’articolo 167 del TUIR afferma che «i redditi imputati e determinati ai sensi dei commi 6 e 7 sono assoggettati a tassazione separata con l’aliquota media applicata sul reddito del soggetto cui sono imputati e, comunque, non inferiore all’aliquota ordinaria dell’imposta sul reddito delle società » e, pertanto, come nella previgente disciplina, il legislatore conferma la tassazione separata dei redditi della CFC. Tale segregazione ha quale conseguenza quella di evitare che perdite generate in Paesi a bassa fiscalità possano essere utilizzate in compensazione degli utili del soggetto controllante residente. Al riguardo si osserva che non è consentita neanche la compensazione opposta, ossia la compensazione delle eventuali perdite del soggetto residente con gli utili prodotti dalla CFC.
La tassazione, inoltre, avviene separatamente per ciascuna società controllata estera CFC, determinata applicando al reddito, autonomamente considerato, l’aliquota media del soggetto residente o, comunque, non inferiore all’aliquota IRES vigente nel periodo d’imposta di riferimento. Ciò a prescindere dalla circostanza che il soggetto residente abbia più controllate estere CFC o che queste siano ubicate nel medesimo Paese estero.
L’aliquota della tassazione separata, coerentemente con quanto già precisato ai fini dell’ETR test, è calcolata senza tener conto di eventuali addizionali IRES.
Le perdite della CFC possono essere utilizzate nei periodi d’imposta
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successivi ma solo in diminuzione dei redditi prodotti dalla medesima controllata (o stabile organizzazione) estera che li ha generati.
A questo riguardo, si precisa che in compensazione del reddito della CFC, determinato nel quadro FC del Modello Redditi, possano essere utilizzate solo le perdite ivi indicate. Pertanto, come anticipato al paragrafo 7.1, se il contribuente intende utilizzare le perdite della CFC, lo stesso è tenuto a compilare, negli esercizi in cui queste emergono, il quadro FC cosÏ da tenerne memoria in sede di successiva tassazione per trasparenza.
Esemplificando, nel caso in cui negli esercizi n e n+1 della CFC siano state registrate perdite e nell’esercizio n+2 emerga un reddito imponibile, il socio residente è tenuto a compilare il quadro FC e a tassare per trasparenza il reddito estero, utilizzando le perdite pregresse. In caso di mancata compilazione del quadro FC nell’anno n+2 (a seguito della dimostrazione dell’esimente di cui al successivo comma 5), il soggetto residente, laddove non intenda comunque procedere al "monitoraggio” dei valori fiscali degli elementi dell’attivo e del passivo dell’entità estera CFC, perde la possibilità di riportare le perdite pregresse negli esercizi futuri. Il monitoraggio sarà di contro necessario, nel caso di specie, qualora il soggetto residente intenda continuare a riportare in avanti le perdite, al fine di poterle utilizzare nell’ipotesi in cui si manifestino di nuovo le condizioni per applicare l’imputazione per trasparenza secondo la disciplina CFC.
L’utilizzo delle perdite pregresse della CFC avviene secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’articolo 84 del TUIR, con l’avvertenza che l’utilizzo senza il limite dell’80 per cento è consentito solo in relazione alle perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione della CFC, a nulla rilevando la costituzione del soggetto controllante italiano e la data di applicazione del regime in esame.
Occorre considerare anche l’ipotesi in cui il socio controllante residente abbia tassato per trasparenza la CFC in alcuni esercizi e, successivamente, venga dimostrata la sussistenza dell’esimente dell’attività economica. Il passaggio
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appena descritto dal regime di imposizione del reddito estero alla disapplicazione della norma antielusiva non comporta l’imposizione dei plusvalori (o minusvalori) latenti della CFC. L’uscita dal regime di tassazione per trasparenza non è considerata, infatti, realizzativa ai fini delle imposte sui redditi.
Una situazione diversa è quella in cui la CFC è tassata per trasparenza negli esercizi n e n+1 e nell’esercizio n+2 non integra le condizioni del tax rate test o del passive income test. Il livello di tassazione e la percentuale di passive income possono, infatti, oscillare di anno in anno.
In continuità con quanto già chiarito nella precedente circolare n. 23 del 2011, si ritiene che una volta che si sia reso applicabile il regime di imputazione dei redditi di una CFC, tale regime (ad eccezione, ovviamente, nell’ipotesi di perdita di controllo sulla entità estera) non può essere modificato sulla base dell’andamento degli indicatori di cui di cui all’articolo 167, comma 4, lettere a) e b) del TUIR.
Conseguentemente, la CFC soggetta ad imposizione per trasparenza potrà fuoriuscire dal regime (oltre che nell’ipotesi di perdita di controllo non artificiosa) solo in caso in cui questa svolga una attività economica effettiva.
Infine, si ritiene utile fare alcune precisazioni riguardo al caso di una stabile organizzazione CFC di un soggetto controllante residente in Italia, tenendo conto del peculiare meccanismo di funzionamento del regime di branch exemption. Al riguardo, si conferma la necessità di scorporare il risultato fiscale della stabile organizzazione dal reddito complessivo dell’entità considerata nel suo complesso e poi riportare lo stesso importo a tassazione separata CFC. Ciò al fine di evitare che il reddito attribuibile alla stabile organizzazione CFC sia tassato due volte: i) una volta quale parte del reddito complessivo dell’entità unitariamente considerata; ii) un’altra volta a tassazione separata.
7.4Credito d’imposta per redditi prodotti all’estero
In relazione ai redditi prodotti dalla CFC, la nuova disciplina conferma la
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spettanza del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero, con le modalità e nei limiti dell’articolo 165 del TUIR.
Considerata la segregazione dei redditi e delle perdite della CFC, il credito d'imposta è determinato singolarmente in relazione a ciascuna controllata estera. Ciò significa che non è consentito considerare in maniera unitaria più CFC eventualmente localizzate nel medesimo Stato estero.
Possono essere accreditabili anche le imposte pagate dalla CFC in Stati terzi rispetto a quello di localizzazione, come ad esempio le ritenute d’imposta da questa subite all’estero su interessi, canoni o dividendi percepiti (cfr. risoluzione 112/E del 2017).
Come illustrato al paragrafo 4.1.1, in caso di controllo indiretto, realizzato attraverso una catena societaria che si snoda su più livelli partecipativi, potrebbe accadere che l’entità estera controllata sia già assoggettata ad imposizione in un altro Stato che applica la normativa sulle controllate estere.
In tali casi, il tenore letterale del comma 9 dell’articolo 167 del TUIR, in sede di imputazione del reddito della CFC in capo al controllante italiano, non consente di rendere accreditabili anche le imposte assolte sul reddito della CFC dai soggetti controllanti esteri "intermedi” che abbiano a loro volta applicato la tassazione per trasparenza della medesima CFC in base alla propria disciplina interna.
Diversa è l’ipotesi in cui la stabile organizzazione all’estero dell’impresa residente detenga a sua volta partecipazioni in una CFC. Qualora anche la stabile organizzazione assoggettasse ad imposizione per trasparenza il reddito della CFC in virtù della legislazione vigente nel suo Stato di localizzazione, le imposte da questa versate all’estero, a titolo definitivo, sono infatti da riconoscere in detrazione ai fini della tassazione del medesimo reddito in capo all’impresa residente ai sensi della disciplina in esame. Ciò a prescindere dal fatto che l’impresa residente abbia o meno optato per il regime della branch exemption.
Nel caso inverso, in cui cioè l’entità estera controllata detenga una stabile organizzazione in esenzione che sia trattata come CFC nello Stato della casa
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madre, come giĂ anticipato al paragrafo 4.2, le imposte pagate dalla controllata estera in relazione ai redditi della sua stabile organizzazione (trattata come CFC), assumono rilevanza ai fini della detrazione dalle imposte dovute in Italia dal soggetto controllante che tassa per trasparenza il reddito della medesima branch estera (qualificata come CFC anche ai fini italiani).
Nel caso in cui la disciplina di tassazione per trasparenza trovi applicazione in capo a entità estere trasparenti e/o i propri soci (partner) che risultino controllati dal socio residente o localizzato in Italia, per la spettanza del credito d’imposta in capo a quest’ultimo valgono le considerazioni svolte nel precedente paragrafo 4.3 a proposito dell’ETR test, ferma restando la limitazione "soggettiva” dettata dal comma 9 dell’articolo 167 del TUIR a mente del quale il credito d’imposta è riconosciuto, alle condizioni e nei limiti di cui all’articolo 165 del medesimo TUIR, in relazione alle sole «imposte sui redditi pagate all’estero a titolo definitivo dal soggetto non residente». Ciò posto, tuttavia, si precisa che sia in ipotesi di partecipazione diretta, sia in ipotesi di partecipazione indiretta nella entità estera tramite una struttura di "doppia trasparenza”, risultano accreditabili anche le imposte dovute dal partner sul reddito della
partnership-CFC. In particolare:a)nel caso di partecipazione diretta, le imposte assolte dal partner (residente o localizzato in Italia), in quanto assolte dal medesimo soggetto che si imputa per trasparenza il reddito della
partnership-CFC, possono essere portate in detrazione;b)nel caso di partecipazione indiretta tramite una struttura di "doppia trasparenza”, le imposte assolte sul reddito della partnership dal partner controllato estero vanno, come già chiarito nel paragrafo 4.3, sommate alle imposte eventualmente assolte dalla partnership ai fini del computo dell’ETR test. Analogamente, le stesse imposte sono da considerare in maniera unitaria in capo al socio residente o localizzato in Italia ai fini della spettanza del credito di imposta al momento dell’eventuale imputazione a quest’ultimo dei redditi del partner e della partnership da qualificare come una unica CFC.
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8 LE OPERAZIONI STRAORDINARIE
Nei paragrafi che seguono vengono forniti chiarimenti in merito alle ipotesi di operazioni straordinarie che coinvolgono CFC tassate per trasparenza, ivi incluse il trasferimento di sede, la fusione e la scissione.
In merito, occorre precisare che le operazioni poste in essere dalla CFC qualificabili come realizzative ai fini delle imposte sui redditi (ad esempio, le operazioni straordinarie che non possono beneficiare della neutralità fiscale, l’assegnazione dei beni della CFC ai soci o la destinazione dei beni stessi a finalità estranee all’esercizio di impresa ai sensi dell’articolo 85, comma 2, del TUIR) rilevano, in termini generali, sia ai fini dell’ETR test, sia in sede di imputazione per trasparenza del reddito della stessa al soggetto controllante (sono cioè assoggettate a imposizione in Italia). In tal senso, infatti, occorre tener conto, tanto ai fini del test quanto della tassazione della CFC, che laddove l’operazione dovesse qualificarsi come realizzativa, si determinerebbe l’imposizione per trasparenza degli eventuali plusvalori degli elementi patrimoniali riferibili alla CFC da considerarsi "liquidata” o i cui asset siano da ritenere "ceduti”.
Nel seguito si forniscono pertanto criteri direttivi e chiarimenti utili ai fini della corretta applicazione delle disposizioni in tema di CFC a tali fattispecie e con particolare riferimento agli elementi patrimoniali della controllata estera medesima, essendo esercitabile nei confronti di questi ultimi la potestà impositiva italiana, in virtù di quanto disposto dall’articolo 167 del TUIR. Tali disposizioni devono essere opportunamente calibrate, distinguendo il caso in cui l’operazione goda del regime della neutralità , rispetto al caso in cui la stessa debba essere considerata realizzativa.
8.1 Il trasferimento di sede e i valori fiscali della CFC
Il trasferimento di sede in un altro Stato estero di una CFC, già tassata per trasparenza in Italia, si considera alla stregua di un cambiamento di regime fiscale della società stessa, mentre non trova applicazione la c.d. exit tax di cui all’articolo 166 del TUIR, non verificandosi un trasferimento di sede al di fuori del territorio
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italiano. In ogni caso, l’evento, di per sé, potrebbe non determinare la perdita della potestĂ impositiva del nostro Paese sui redditi dell’entitĂ estera. A tal fine, infatti, occorrerĂ verificare se nello Stato estero di destinazione, al soggetto controllato continui ad applicarsi la disciplina CFC prevista dall’articolo 167 del TUIR.
Nel caso in cui la controllata estera continui, dopo il trasferimento, ad essere considerata una CFC (nella prospettiva dello Stato italiano), in assenza di esimente, il suo reddito sarĂ tassato ancora per trasparenza in capo al controllante residente, in continuitĂ di valori fiscali. Si ritiene, inoltre, che le perdite pregresse della CFC, originate nello Stato di provenienza, potranno essere portate in diminuzione dei redditi futuri prodotti dalla controllata nel nuovo Stato di insediamento (sempre a condizione che le perdite siano state indicate nel quadro FC delle precedenti dichiarazioni). Del pari, potranno essere riconosciute le eventuali eccedenze di interessi passivi deducibili, nonché le eventuali eccedenze di interessi attivi e ROL indicate nelle precedenti dichiarazioni.
La disciplina CFC non troverebbe più applicazione, di contro, qualora la società estera si dotasse, nel nuovo Stato di insediamento, di una struttura idonea a esercitare un’attività economica effettiva. Resta inteso che, anche in tale ipotesi, non è prevista alcuna forma di tassazione "in uscita” per effetto del venir meno dell’applicazione della normativa CFC.
Se a seguito del trasferimento di un’entità controllata che non era CFC nella giurisdizione di provenienza, questa diventasse tale in relazione alla giurisdizione di destinazione, i valori di ingresso degli elementi patrimoniali di tale entità – tanto ai fini dell’ETR test quanto ai fini della determinazione del reddito da imputare per trasparenza al socio controllante residente o localizzato in Italia - saranno determinati, ex articolo 2, comma 2, del D.M. n. 429 del 2001, sulla base del bilancio dell’entità estera del periodo precedente (come redatto nella giurisdizione di provenienza) ovvero, se correttamente attivato dal socio controllante residente o localizzato in Italia, sulla base del "monitoraggio” dei valori descritto nei paragrafi 7.1 e 7.3. Analoghe considerazioni valgono nel caso in cui l’applicazione del regime CFC dovesse operare non già immediatamente dal primo periodo post-
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trasferimento, ma soltanto a partire da un periodo successivo (in tal caso, si farà riferimento ai valori fiscali risultanti dal citato monitoraggio o , qualora assente, all’ultimo bilancio dell’entità estera, precedente all’applicazione della CFC, tenendo conto di quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, del D.M. n. 429/2001 e dei chiarimenti forniti con le circolari n. 51/E del 2010 e n. 23/E del 2011).
Specularmente, ai fini della tassazione per trasparenza del reddito della CFC non si applica l’articolo
166-bis del TUIR. L’ingresso di beni in un regime CFC non è infatti equiparabile a un trasferimento di sede in Italia o alle altre fattispecie previste dal comma 1 del predetto articolo.Nel caso in cui il socio controllante italiano dovesse valutare un rimpatrio della CFC attraverso, ad esempio, il trasferimento della sede societaria in Italia, occorre chiarire l’applicabilità (o meno) delle disposizioni previste dal citato articolo
166-bis del TUIR a questa ultima ipotesi.Al riguardo, si ricorda che, con la predetta disposizione, il legislatore ha inteso individuare criteri per la determinazione del valore fiscalmente riconosciuto dei beni dei soggetti che esercitano imprese commerciali e che si trasferiscono in Italia. In particolare, nei confronti di coloro che provengono da Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni con l’Italia, viene riconosciuto il valore di mercato dei beni come determinato ai sensi dell’articolo 110, comma 7, del TUIR (ossia il valore che sarebbe stato pattuito tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza).
Come chiarito con risoluzione 5 agosto 2016, n. 69/E, il citato articolo 166- bis reca una disciplina specifica per valorizzare i beni che accedono per la prima volta nel nostro ordinamento. Al contrario, qualora le attività e le passività della società che si trasferisce in Italia abbiano già un valore rilevante ai fini delle imposte sui redditi, in linea di principio, la valorizzazione dei beni deve avvenire tenendo conto dell’esigenza di garantire la continuità dei valori fiscalmente riconosciuti. In questa fattispecie, infatti, il riconoscimento del valore di mercato, invece di sterilizzare i valori che si sono formati all’estero, potrebbe generare
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fenomeni di discontinuità e salti di imposta all’interno del sistema fiscale italiano.
Pertanto, se una societĂ estera che trasferisce la propria sede in Italia si eĚ€ qualificata come CFC nel periodo di residenza all’estero e i suoi redditi sono stati tassati per trasparenza in Italia, si ritiene che le attivitĂ e le passivitĂ della suddetta societĂ debbano assumere valori fiscali pari a quelli utilizzati ai fini della disciplina CFC al 31 dicembre dell’ultimo esercizio di tassazione per trasparenza (in caso di esercizio coincidente con l’anno solare). Nella stessa ottica, assumono riconoscimento le perdite fiscali pregresse della CFC maturate nel periodo di tassazione per trasparenza che, pur essendosi formate all’estero, sono da considerarsi perdite d’impresa "afferenti” all’ordinamento italiano33. Alle medesime conclusioni si giunge con riferimento ad eventuali eccedenze di interessi passivi deducibili, nonché alle eventuali eccedenze di interessi attivi e ROL.
La soluzione interpretativa è coerente con quanto previsto dal provvedimento che regola le modalità applicative della cosiddetta branch exemption di cui all’articolo
168-ter del TUIR (cfr. provvedimento Direttore Agenzia delle entrate 28 agosto 2017, n. 165138, punto 8.7). In particolare, in base al punto 8.7 del citato provvedimento, qualora una branch fuoriesca dal regime CFC «i valori fiscalmente riconosciuti in capo alla stabile organizzazione delle proprie attività e passività si assumono pari a quelli esistenti in capo alla stessa al termine del periodo di imposta precedente e le residue perdite della stabile organizzazione rimangono utilizzabili ai soli fini dell’abbattimento dei redditi dalla stessa conseguiti».Si evidenzia che, in caso di trasferimento in Italia tramite fusione per incorporazione della CFC nella società controllante residente, il riconoscimento di tali perdite può avvenire solo nel rispetto delle condizioni e nei limiti previsti
33Si ricorda che la problematica del riconoscimento delle perdite fiscali di una CFC che trasferisce la sua sede in Italia era stata esaminata dall’Amministrazione finanziaria con risoluzione n. 345/E del 2008. In particolare, nel citato documento di prassi si negava la possibilità di utilizzo delle perdite pregresse e si stabiliva che i valori fiscali di ingresso dei beni della società estera si assumessero pari al valore normale, in alternativa al criterio del costo storico, solo in caso di applicazione di una exit tax nello Stato di provenienza. Tuttavia, con l’entrata in vigore dell’articolo
166-bis del TUIR, le indicazioni della risoluzione n. 345/E del 2008 sono da considerare ormai superate.111
dall’articolo 172, comma 7, del TUIR.
Una ulteriore situazione in cui si procede in continuità con i valori attribuiti alla controllata estera si verifica quando tale società rientra nel perimetro del consolidato mondiale di cui agli articoli 130 e seguenti del TUIR. In base all’articolo 140 del TUIR «le disposizioni di cui all’articolo 167 non si applicano relativamente alle controllate estere il cui imponibile viene incluso in quello della società controllante per effetto dell'opzione di cui all’articolo 130». Il consolidamento dei risultati fiscali della controllata estera nella propria base imponibile del soggetto controllante residente in Italia prevale sulla disciplina CFC. Tuttavia, in caso di revoca o cessazione dell’opzione per il consolidato mondiale, ferme restando le disposizioni specifiche degli articoli 137, comma 2, e
139-bis del TUIR, può trovare applicazione l’articolo 167 del TUIR. In tal caso, i valori fiscali della controllata estera che si qualifica come CFC e che deve essere tassata per trasparenza (in assenza di esimente) saranno quelli utilizzati ai fini della disciplina della tassazione su base mondiale.8.2Altre operazioni straordinarie (fusioni, scissioni e conferimenti) che coinvolgono CFC tassate per trasparenza
Ulteriori ipotesi in cui occorre comprendere se le vicende estere possano essere assimilate alle situazioni nazionali sono rappresentate dalle operazioni di fusione o di scissione che vedono coinvolta la CFC.
8.2.1 Fusioni
In relazione alle operazioni di fusione, in particolare, si fa riferimento a quelle operazioni tra società che avvengono "estero su estero”. Secondo quanto affermato nella risoluzione n. 470/E del 3 dicembre 2008, un’operazione di fusione che coinvolge un soggetto non residente potrà beneficiare della neutralità fiscale garantita dall’articolo 172 del TUIR se sono contemporaneamente rispettate le seguenti condizioni:
a)l’operazione produce effetti giuridici analoghi a quelli delle operazioni di
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fusione cosĂŹ come regolate dalla legislazione civilistica italiana;
b)i soggetti coinvolti abbiano una forma giuridica sostanzialmente analoga a quella prevista per le societĂ di diritto italiano;
c)l’operazione produca effetti in Italia sulla posizione fiscale di almeno un soggetto coinvolto.
Tali considerazioni possono formare utile riferimento anche per il caso della fusione "estero su estero” che coinvolge una o più entità CFC o potenziali tali.
In particolare, con riferimento alla lettera a), si osserva che non possono beneficiare della neutralità fiscale prevista dall’articolo 172 del TUIR eventuali operazioni "riorganizzative” che, pur rispettando le norme civilistiche dell’ordinamento estero, non hanno le caratteristiche della "fusione” come definita dall’articolo 2501 e seguenti del Codice Civile italiano e, pertanto, non producono effetti giuridici analoghi a quelli delle operazioni di fusione cosÏ come regolate dalla normativa interna.
Per quanto riguarda la condizione di cui alla lettera c) (effetti in Italia sulla posizione fiscale di almeno un soggetto coinvolto nell’operazione):
â’da un lato, la stessa si considera verificata nei casi in cui l’operazione coinvolga una o piĂą controllate estere giĂ tassate per trasparenza ai sensi del comma 1 dell’art. 167 del TUIR. Occorre tuttavia precisare che, in tali casi, l’imposizione per trasparenza degli eventuali plusvalori degli elementi patrimoniali riferibili alla CFC da considerarsi "liquidata” o i cui asset siano da ritenere "ceduti” (per effetto dell’operazione di fusione) può comunque verificarsi qualora non sia soddisfatto almeno uno degli altri due requisiti sopra menzionati alle lettere a) e b) (con la conseguenza che l’operazione risulterebbe propriamente realizzativa);
â’dall’altro lato, nel caso in cui alla fusione partecipino soltanto entitĂ controllate per le quali, al momento dell’operazione, non trovi applicazione il regime di tassazione per trasparenza di cui all’art. 167 del TUIR, l’assenza di effetti in Italia sulla posizione fiscale di almeno un soggetto coinvolto
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nell’operazione (e, quindi, il mancato verificarsi della condizione di cui alla citata lettera c)) non determina, nell’ambito della disciplina CFC (ai fini dell’ETR test), la qualificazione dell’operazione come realizzativa (con conseguente imposizione in Italia degli eventuali plusvalori degli elementi patrimoniali riferibili all’entità estera da considerarsi "liquidata” o i cui asset siano da ritenere "ceduti”).
i) Fusione tra due entitĂ CFC
a)NeutralitĂ
Nel caso in cui due entità CFC, entrambe tassate per trasparenza in Italia, siano oggetto di un’operazione di fusione, all’operazione sarebbe applicabile il regime di neutralità fiscale di cui all’art. 172 del TUIR qualora risultassero soddisfatte le condizioni di cui alle lettere a) e b) sopra indicate (come indicato, in tali casi, l’ulteriore condizione di cui alla lettera c) risulterebbe soddisfatta). Qualora in capo all’entità risultante dalla predetta fusione continuasse ad applicarsi la disciplina CFC, presso quest’ultima assumerebbero rilievo i valori fiscali degli elementi patrimoniali delle due entità estere
ante-fusione; le perdite pregresse e le eccedenze di interessi passivi deducibili delle società coinvolte nella fusione "estero su estero” sarebbero riconosciute in capo all’entità risultante dalla fusione nei limiti delle disposizioni previste dall’articolo 172, comma 7, del TUIR. Del pari, potranno essere riconosciute le eventuali eccedenze di interessi attivi e ROL indicate nelle precedenti dichiarazioni.Laddove, invece, l’entità risultante dalla fusione dovesse "fuoriuscire” dal regime CFC, non si verificherebbero eventi rilevanti ai fini della tassazione per trasparenza e non troverebbe applicazione alcuna "imposizione in uscita” dal regime.
b)Realizzo
Viceversa, in assenza di una delle sopra elencate condizioni, l’operazione è qualificabile come realizzativa ai fini delle imposte sui redditi al pari della
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liquidazione del patrimonio della CFC, non potendo beneficiare del regime di neutralità di cui all’art. 172 del TUIR, con la conseguenza che:
â’l’operazione determina "la chiusura dell’esercizio o periodo di gestione” della CFC da considerarsi "liquidata” o i cui asset siano da ritenere "ceduti” alla data di efficacia giuridica della fusione;
â’il reddito di detta CFC, compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data da cui decorrono gli effetti giuridici dell’operazione, deve essere determinato e tassato per trasparenza in capo al socio residente nel territorio dello Stato;
â’la (eventuale) plusvalenza eĚ€ determinata confrontando il valore normale dei beni della CFC ai sensi dell’articolo 9 del TUIR con il valore fiscalmente riconosciuto degli stessi;
â’detta plusvalenza concorre a formare il reddito della CFC da imputare per trasparenza e da assoggettare a tassazione separata in base alla disciplina CFC;
â’le perdite pregresse sono compensabili con il reddito generato dall’operazione oltre il limite dell’articolo 84, comma 1, del TUIR;
â’qualora in capo all’entitĂ risultante dalla fusione continuasse ad applicarsi la disciplina CFC, i valori assoggettati a imposizione andrebbero a incrementare i valori fiscali degli elementi patrimoniali "acquisiti” da quest’ultima, presso la quale sarebbero peraltro riconosciute, nei limiti delle disposizioni previste dall’articolo 172, comma 7, del TUIR, soltanto le perdite pregresse e le eccedenze di interessi passivi deducibili dell’entitĂ estera che non risulti "liquidata” o i cui asset non siano da ritenere "ceduti” per effetto della fusione.
Come affermato in precedenza, il realizzo riguarda le CFC tassate per trasparenza ossia società controllate estere che integrano i requisiti di cui all’articolo 167, lettere a) e b), del TUIR e per le quali non è dimostrata la circostanza esimente di cui al comma 5 dell’articolo 167. In nessun caso potranno essere considerati realizzati gli asset di una società estera che non integra le
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condizioni per applicare la CFC.
ii) Fusione tra due entitĂ non CFC
Come sopra anticipato, nel caso in cui alla fusione partecipino soltanto entità controllate per le quali, al momento dell’operazione, non trovi applicazione il regime di tassazione per trasparenza di cui all’art. 167 del TUIR, non si determina alcuna imposizione in Italia degli eventuali plusvalori degli elementi patrimoniali riferibili all’entità estera da considerarsi "liquidata” o i cui asset siano da ritenere "ceduti” e ciò, in mancanza di uno specifico presupposto impositivo, neanche nell’ipotesi in cui l’operazione venga trattata come realizzativa (salvo quanto si dirà a breve). Sul punto, tuttavia, è necessario puntualizzare quanto segue.
Come del pari accennato in precedenza, l’assenza di effetti in Italia sulla posizione fiscale di almeno un soggetto coinvolto nell’operazione (col conseguente mancato verificarsi della condizione di cui alla predetta lettera c)) non determina necessariamente, nell’ambito della disciplina CFC, la qualificazione dell’operazione come realizzativa e ciò, tanto ai fini dell’ETR test, quanto ai fini dell’eventuale imputazione del reddito per trasparenza.
Più precisamente, infatti, in questi casi, laddove un’operazione di fusione rispondesse ai requisiti di cui alle predette lettere a) e b), essa andrà comunque considerata neutrale sia ai fini del citato test sia ai fini dell’eventuale imputazione del reddito (in altri termini, la neutralità non può essere compromessa dall’assenza del solo requisito di cui alla lettera c) nei casi in esame).
Ciò posto, nell’ipotesi in cui l’operazione (per via della mancanza di uno o entrambi dei requisiti di cui alle predette lettere a) e b)) vada qualificata ai fini italiani come realizzativa, è probabile che, in assenza di tassazione nella giurisdizione estera, fallisca l’ETR test, determinandosi, cosÏ, l’applicazione della disciplina CFC per l’entità estera da considerarsi "liquidata” o i cui asset siano da ritenere "ceduti” per effetto dell’operazione.
Merita altresÏ specificare che l’eventuale verificarsi dei requisiti di cui alle predette lettere a) e b), con conseguente qualificazione dell’operazione di fusione
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come neutrale ai fini fiscali italiani, non comporta la necessitĂ di monitorare i valori fiscali
ante-operazione degli elementi patrimoniali ai fini di un eventuale loro utilizzo nel caso di successivo ingresso nel regime CFC (che, in ipotesi, potrebbe avvenire anche dopo svariati anni). Anche in tali casi, infatti, si rendono applicabili le disposizioni previste dall’articolo 2, comma 2, del Decreto 21 novembre 2001, n. 429, secondo le quali, al momento dell’ingresso dell’entità controllata nel regime CFC, assumeranno riconoscimento fiscale, alle condizioni richiamate nella norma da ultimo citata, i «valori risultanti dal bilancio relativo all’esercizio o periodo di gestione anteriore a quello da cui si applicano» le disposizioni CFC, fermo rimanendo che l’eventuale monitoraggio dei valori fiscali degli elementi patrimoniali in via "anticipata” rispetto alla prima applicazione della disciplina CFC resta una mera facoltà del contribuente (v. precedente paragrafo 7.3).A tale ultimo riguardo, merita infine specificare che se, a seguito dell’operazione di fusione, per l’entità estera si rende immediatamente applicabile la disciplina CFC, sussistendo tutti gli altri presupposti normativi (ed ipotizzando che il controllante residente o localizzato in Italia non abbia optato in precedenza per il citato monitoraggio), i valori fiscali di partenza, ai fini della determinazione del reddito della CFC saranno quelli risultanti dalle scritture di chiusura delle entità partecipanti alla fusione
ante-operazione. Analoghe considerazioni valgono nel caso in cui l’applicazione del regime CFC dovesse operare non già immediatamente dal primo periodopost-operazione, ma soltanto a partire da un periodo successivo (in tal caso, si farà riferimento ai valori fiscali oggetto di monitoraggio o, qualora assente, all’ultimo bilancio ante applicazione della disciplina CFC relativo alla società incorporante o risultante dalla fusione sulla base delle previsioni contenute nell’articolo 2, comma 2, del D.M. n. 429/2001 e dei chiarimenti forniti al riguardo con le circolari n. 51/E del 2010 e n. 23/E del 2011).iii) Fusione tra una entità CFC e una "non CFC”
Per le operazioni di fusione tra una CFC tassata per trasparenza e altra societĂ
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estera non soggetta alla disciplina di cui all’articolo 167 del TUIR, nel caso in cui la CFC sia la società da considerarsi "liquidata” o i cui asset siano da ritenere "ceduti” per effetto della fusione, in relazione a quest’ultima entità valgono le considerazioni svolte nel precedente paragrafo i) ("Fusione tra due entità CFC”). Diversamente, qualora a considerarsi liquidata sia la società non soggetta alla disciplina di cui all’articolo 167 del TUIR, valgono i chiarimenti contenuti nel precedente paragrafo ii) ("Fusione tra due entità non CFC”). Tuttavia, anche in tale ultimo caso si dovrà comunque ritenere soddisfatta la condizione di cui alla precedente lettera c), producendo l’operazione effetti in Italia sulla posizione fiscale di almeno un soggetto coinvolto.
8.2.2 Scissioni
Le medesime considerazioni svolte per le operazioni di fusione che coinvolgano una o piĂą CFC (o due entitĂ non CFC) valgono anche - mutatis mutandis - in caso di operazioni di scissione.
In particolare, in presenza delle condizioni sopra richiamate (riguardanti le lettere a), b), e c)) per poter assimilare l’operazione di scissione "estero su estero” a quella regolata dalle norme interne, l’operazione risulta neutrale, rendendosi applicabili le disposizioni dell’articolo 173 del TUIR ai fini sia dell’ETR test, sia dell’eventuale imputazione per trasparenza del reddito. Diversamente, l’operazione di scissione risulterebbe realizzativa anche ai fini dell’ETR test, determinando l’imposizione per trasparenza degli eventuali plusvalori degli elementi patrimoniali riferibili alla CFC da considerarsi "liquidata” o i cui asset siano da ritenere "ceduti”.
8.2.3 Conferimenti di aziende
In relazione ai conferimenti di aziende che coinvolgono una o piĂą entitĂ CFC, si rappresenta quanto segue.
In primo luogo, è necessario che l’operazione posta in essere "estero su estero” sia assimilabile a un "conferimento d’azienda” alla luce delle disposizioni civilistiche italiane. Come noto, la fattispecie del conferimento d’azienda (o di
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ramo d’azienda) non gode di un’autonoma disciplina all’interno del codice civile. Pertanto, ai fini del corretto inquadramento sotto il profilo giuridico e sistematico, occorre fare riferimento alle varie disposizioni vigenti in materia di conferimenti societari.
Nell’ipotesi in cui la controllata estera ponga in essere un’operazione di conferimento d’azienda (o di ramo d’azienda) localizzata nel suo Stato o territorio si applicano le disposizioni dell’articolo 176 del TUIR.
In particolare, ai sensi del comma 1 dell’articolo 176 del TUIR, «i conferimenti di aziende effettuati tra soggetti residenti nel territorio dello Stato nell'esercizio di imprese commerciali, non costituiscono realizzo di plusvalenze o minusvalenze».
Il principio di neutralità previsto dalla citata disposizione si considera applicabile anche al conferimento d’azienda effettuato da una controllata estera nei confronti di un’altra società localizzata nel medesimo Stato e, in particolare, sia ai fini del calcolo dell’ETR test (da effettuare solo se la controllata estera non sia già soggetta alla disciplina CFC con imputazione per trasparenza del suo reddito al socio residente o localizzato in Italia), sia ai fini della determinazione del reddito del soggetto controllato da imputare per trasparenza al soggetto controllante residente o localizzato in Italia.
Parimenti, l’operazione è considerata fiscalmente neutrale nell’ipotesi in cui la società conferitaria sia residente in uno Stato estero diverso da quello della controllata estera. In altri termini, si riconosce la neutralità fiscale prevista per il conferimento di azienda italiana a un conferitario non residente, ex articolo 176, comma 2, del TUIR.
Ai fini dell’applicazione della neutralità fiscale prevista dall’articolo 176 del TUIR, valga il seguente esempio avente ad oggetto il conferimento di azienda tra due entità entrambe CFC.
â’CFC ALFA conferisce l’azienda localizzata nel suo Stato di residenza a favore di CFC BETA (quest’ultima in qualitĂ di conferitaria, come giĂ affermato, potrebbe anche essere residente in un altro Stato).
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â’In tale ipotesi, trova piena applicazione la disposizione del secondo periodo del comma 1 dell’articolo 176 del TUIR in materia di valori fiscali. L’operazione non eĚ€ considerata realizzativa «tuttavia il soggetto conferente deve assumere, quale valore delle partecipazioni ricevute, l'ultimo valore fiscalmente riconosciuto dell'azienda conferita e il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell'attivo e del passivo dell'azienda stessa, facendo risultare da apposito prospetto di riconciliazione della dichiarazione dei redditi i dati esposti in bilancio e i valori fiscalmente riconosciuti».
â’Pertanto, ai fini dell’ETR test (da effettuare, si ripete, solo se la controllata estera non sia giĂ soggetta alla disciplina CFC con imputazione per trasparenza del suo reddito al socio residente o localizzato in Italia), il calcolo del tax rate virtuale italiano della conferitaria (o la tassazione per trasparenza) si baserĂ sui valori fiscali dell’azienda conferita. La conferente, dal canto suo, attribuirĂ alla partecipazione il valore fiscale dell’azienda conferita.
La neutralità fiscale è confermata anche nell’ipotesi in cui un’entità CFC conferisca l’azienda localizzata nel suo Stato estero a una conferitaria che non rientra nell’ambito applicativo dell’articolo 167 del TUIR.
Ad esempio, si ipotizzi il conferimento d’azienda di CFC ALFA a favore della società estera DELTA, non controllata (neanche indirettamente) da un socio residente o localizzato in Italia. In questo caso, non emergono plusvalenze o minusvalenze a condizione che il conferente ALFA attribuisca alle partecipazioni il valore fiscale dell’azienda conferita. Il soggetto conferitario DELTA, invece, non "eredita” i valori fiscali dell’azienda, atteso che non è tenuto ad applicare la disciplina CFC.
In altri termini, si riconosce la neutralità dell’operazione straordinaria sebbene l’azienda "fuoriesca” dal perimetro applicativo dell’articolo 167 del TUIR. Tale soluzione interpretativa è coerente con il principio, già affermato in precedenza, per cui se l’applicazione della disciplina CFC si interrompe nei
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confronti di una determinata società estera, ciò non comporta l’imposizione dei plusvalori o dei minusvalori relativi alle attività e passività che "escono” dal regime antielusivo in commento. Nel caso specifico, è l’azienda che "abbandona” il perimetro applicativo della CFC e si ritiene che valga il medesimo principio.
Infine, si è avuto modo di chiarire che nell’ambito CFC non si applica l’articolo 166 del TUIR in materia di exit tax. Per questo motivo, non trova applicazione l’imposizione in uscita nell’ipotesi in cui una CFC conferisca la propria stabile organizzazione estera (cfr. articolo 166 del TUIR, comma 1, lettera e)). La partecipazione assumerà il valore della stabile organizzazione conferita e la CFC, sulla base di tale valore, continuerà a determinare il reddito eventualmente da imputare per trasparenza.
Passando al caso in cui il solo soggetto conferitario sia una entità CFC, coerentemente con quanto chiarito al paragrafo 8.1, non è applicabile la previsione dell’articolo
166-bis del TUIR né ai fini del tax rate test (da calcolare soltanto se l’entitĂ conferitaria non era qualificata CFC giĂ prima del conferimento), né ai fini della tassazione per trasparenza del reddito della CFC. In particolare, qualora l’entitĂ conferitaria sia da considerare CFC, la stessa assumerĂ quali valori fiscali delle attivitĂ e delle passivitĂ oggetto di conferimento quelli risultanti dall’ultimo bilancio del conferente tenendo conto di quanto previsto nell’articolo 2, comma 2, del D.M. n. 429 del 2001.In termini piĂą generali, merita specificare che, laddove a seguito dell’operazione di conferimento, per la conferitaria non CFC si renda immediatamente applicabile la disciplina CFC, sussistendo tutti gli altri presupposti normativi (ed ipotizzando che il socio controllante dell’entitĂ conferente - residente o localizzato in Italia - non abbia optato in precedenza per il citato monitoraggio), i valori fiscali di partenza degli elementi patrimoniali conferiti, ai fini della determinazione del reddito della CFC, saranno quelli risultanti dalle scritture dell’entitĂ conferente
ante-operazione. Analoghe considerazioni valgono nel caso in cui l’applicazione del regime CFC dovesse operare non già immediatamente dal primo periodopost-conferimento, ma soltanto121
a partire da un periodo successivo (in tal caso, si farà riferimento ai valori fiscali oggetto di monitoraggio o, qualora assente, all’ultimo bilancio della conferitaria ante applicazione della disciplina CFC, sulla base delle previsioni contenute nell’articolo 2, comma 2, del D.M. n. 429/2001 e dei chiarimenti forniti al riguardo con le circolari n. 51/E del 2010 e n. 23/E del 2011).
122
9 DISPOSIZIONI SPECIFICHE PER GLI OICR
Come anticipato, la disciplina CFC è applicabile anche agli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) esteri al pari delle altre entità estere.
Tuttavia, occorre tener presente che per gli OICR esteri è più difficile riscontrare il requisito del controllo di cui al comma 2, dell’articolo 167 del TUIR. Si tratta infatti di organismi generalmente connotati di autonomia gestionale consistente nella separazione tra investitori e gestori, sebbene quest’ultimi operino nell’interesse dei primi.
Resta fermo che, ai fini in esame, può sempre riscontrarsi la forma di controllo afferente alla partecipazione agli utili, da parte dell’investitore, superiore al 50 per cento. In merito occorre tuttavia considerare che il requisito del controllo deve essere verificato con riguardo ai singoli comparti dell’OICR di diritto estero, i quali costituiscono a tutti gli effetti un patrimonio separato.
In termini generali, nella ipotesi in cui l’entitĂ non residente qualificata come OICR ricada nell’ambito applicativo della disciplina CFC, in sede di tassazione per trasparenza, l’ammontare dell’imposta dovuta dal soggetto residente sarĂ pari all’importo complessivo delle imposte che l’OICR estero avrebbe assolto (o subito, sotto forma di ritenuta a titolo di imposta) qualora fosse stato residente in Italia. Ciò trova conferma nella relazione illustrativa al Decreto in cui si chiarisce: «va da sé, quindi, che con riferimento ai redditi provenienti da organismi di investimento collettivo di risparmio non residenti (e fattispecie similari), gli stessi sono assoggettati ad imposta in capo al soggetto controllante residente, se e nella misura in cui gli stessi redditi sarebbero stati assoggettati ad imposizione se prodotti da organismi di investimento (OICR) residenti».
Al riguardo, si ricorda che, nonostante i suddetti organismi sono generalmente esenti da imposizione in Italia ai sensi dell’articolo 73, comma 5- quinquies, del TUIR e dell’articolo 6 del D.L. n. 351/2001 (disposizione prevista per gli OICR immobiliari), sussistono comunque situazioni per le quali risultano applicabili talune forme di imposizione in capo a detti soggetti.
123
In particolare, le tipologie di provento di fonte italiana che sono soggette ad imposta (attraverso la ritenuta a titolo d’imposta del 26 per cento) in capo ad un OICR residente sono:
â’gli interessi ed altri proventi delle obbligazioni, dei titoli similari alle obbligazioni e delle cambiali finanziarie per i quali non si applica il regime previsto dal D.Lgs. n. 239/199634;
â’i proventi delle accettazioni bancarie (cfr. articolo 1 del D.L. n. 546/1981); e
â’i proventi dei titoli atipici emessi da soggetti residenti (cfr. art. 5 del D.L. n. 512/1983).
Se e nella misura in cui i proventi in esame conseguiti da OICR esteri (che possano considerarsi controllati da soggetti italiani) abbiano parimenti scontato la ritenuta a titolo d’imposta del 26 per cento, in relazione agli stessi, l’imposizione virtuale che l’OICR avrebbe scontato in Italia sui medesimi proventi coinciderebbe con quella che lo stesso ha concretamente subito: pertanto, la tassazione effettiva estera non risulterebbe inferiore alla metà della tassazione virtuale italiana con la conseguenza che i proventi in parola non sarebbero da imputare in capo al soggetto controllante italiano per effetto della disciplina CFC.
Con riferimento alle tipologie di proventi di fonte estera si evidenzia, invece, una diversità di trattamento fiscale che incide sia sul calcolo dell’ETR test, sia in sede di eventuale imputazione del reddito ai fini della tassazione per trasparenza. L’ipotesi, ad esempio, potrebbe essere quella di un OICR residente che subisce la ritenuta alla fonte sui proventi dei titoli atipici emessi da soggetti non residenti, che siano collocati in Italia (cfr. art. 8 del D.L. n. 512/1983)35; ritenuta che, salvo casi particolari (come, ad esempio, nel caso di disconoscimento della natura di
34Si tratta dei titoli obbligazionari: (i) emessi da società ed enti residenti in Italia diversi dai cosiddetti "grandi emittenti”; (ii) non negoziati nei medesimi mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione di Stati membri dell’Unione Europea o aderenti all’Accordo sullo Spazio Economico Europeo; e (iii) non offerti in sottoscrizione solo ad investitori qualificati ai sensi dell’art. 100 del T.U.F. (cfr. art. 26, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973).
35I proventi dei titoli atipici emessi da soggetti non residenti e non collocati in Italia sono invece esenti in capo agli OICR italiani.
124
OICR del soggetto), non è dovuta da un OICR non residente, per carenza del requisito di territorialità dell’imposta. Pertanto, la nuova disciplina CFC potrebbe trovare in questi casi concreta applicazione, in capo al soggetto controllante residente.
Nel caso in cui la disciplina CFC trovi concreta applicazione, l’imputazione per trasparenza dei proventi che avrebbero scontato imposizione laddove l’OICR fosse stato residente in Italia, comporterà il loro assoggettamento ad imposta ai sensi dell’articolo 167 del TUIR, nella misura del 26 per cento.
In questa fattispecie occorrerà avere riguardo alla specifica previsione del comma 10, secondo periodo, dell’articolo 167 del TUIR. A differenza di quanto accade in via ordinaria, infatti, gli utili distribuiti da tali entità concorrono a formare la base imponibile del socio residente sebbene già tassati per trasparenza. Per evitare la doppia imposizione sul socio italiano in fase di disinvestimento, la disposizione consente a quest’ultimo di sommare le imposte corrisposte in sede di imputazione dei redditi al costo fiscalmente riconosciuto delle quote o azioni dell’organismo estero.
L’impostazione adottata nell’articolo 167 è volta a perseguire una sostanziale equivalenza tra carico impositivo che si sarebbe verificato in una situazione puramente interna, rispetto a quello effettivamente realizzato, per effetto dell’applicazione della disciplina CFC, nella situazione di investimento in un OICR estero36.
Per meglio comprendere il meccanismo sopra descritto, si consideri il seguente esempio riguardante l’ipotesi di un soggetto italiano X che detenga una quota in un OICR costituito in Italia:
36La disposizione è commentata nella relazione illustrativa al Decreto, in cui si legge: «la detassazione degli utili non opera nei confronti degli OICR non residenti i cui redditi restano interamente imponibili al momento dell’incasso; per equiparare il trattamento a un Fondo residente, al costo fiscale delle quote dell’OICR vanno aggiunte le ritenute subite in Italia».
125
OICR
OICR
ESTERO
ITA
CFC
Valore quota sottoscritta
250
250
Provento da titolo atipico
100
100
Imposta scontata dall’oicr
0
26
Reddito imputato per trasparenza
100
-
Imposizione subita in italia (1)
26
26
Costo fiscale quota
276
250
(250+26)
Valore cessione quota
350
324
(250+100)
(250+74)
Capital gain
74
74
(350
-276) (324-250) IMPOSTA SU CAPITAL GAIN (2)
19,24
19,24
IMPOSTA COMPLESSIVA (1) + (2)
45,24
45,24
L’imposta complessivamente subita in Italia di 45,24 è data dalla ritenuta del
26% subita dall’OICR sui proventi (100) percepiti dall’investimento in titoli atipici esteri collocati in Italia, pari a 26, e dall’imposta del 26% subita, al momento del disinvestimento della quota da parte del sottoscrittore X, sul capital gain di 74, pari a 19,24
((324-250)⋅26%)). Come si può notare nella tabella sopra riportata, il medesimo ammontare di imposte, pari a 45,24, viene scontato anche nell’ipotesi dell’OICR estero CFC. La simmetria è infatti assicurata attraverso:i.la tassazione al 26 per cento del provento imputato per trasparenza a X;
ii.la tassazione del capital gain
(324-276) determinato aumentando il costo fiscale della quota sottoscritta da X dell’imposta dovuta (26) in sede di126
tassazione per trasparenza.
Le considerazioni sopra svolte valgono per quegli organismi esteri che, in virtĂą della normativa vigente nel loro Stato di istituzione o di stabilimento del soggetto gestore, possono essere assimilati agli OICR in Italia. Trattasi, ad esempio, dei fondi c.d. armonizzati, amministrati secondo le disposizioni previste dalle direttive 85/611/CEE e 2009/65/CE, nonché degli OICR stabiliti in Stati Membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo e comunque sottoposti a forme di vigilanza prudenziale. In linea generale, si fa riferimento a quelle entitĂ estere che, per le loro caratteristiche operative, derivanti dalla stessa legge che le disciplina e in base alla quale sono costituite: a) sono partecipate da una pluralitĂ di investitori non collegati tra loro;
b)seguono politiche d’investimento determinate da criteri e regolamenti sottoposti al controllo delle autorità di vigilanza; e c) sono gestite da soggetti vigilati che svolgono professionalmente tale attività , in autonomia dai partecipanti stessi. Cionondimeno, non è escluso che anche per tali entità possano comunque ravvisarsi - in casi particolari - i presupposti applicativi della disciplina CFC.
Per quanto riguarda, invece, i soggetti esteri differenti da quelli appena menzionati, occorre operare una distinzione. Nel caso in cui essi siano comunque dotati delle tre caratteristiche sopra evidenziate (alle lettere a), b) e c)), valgono le considerazioni appena svolte. Laddove invece si tratti di soggetti esteri che, pur qualificandosi solo formalmente come "OICR”, non sono dotati delle menzionate caratteristiche – e, dunque, si versi in un’ipotesi di disconoscimento della natura di OICR di soggetti non residenti
–, ai fini del confronto del tax rate test, il loro reddito sarà determinato con le ordinarie regole (disciplinanti il reddito di impresa, come richiamate dal comma 7 dell’art. 167) e, in caso di applicazione della disciplina CFC, sarà tassato per trasparenza con l’aliquota IRES vigente nel periodo d'imposta di riferimento. In quest’ultimo caso, il dividendo distribuito segue l’ordinaria disciplina prevista per gli utili distribuiti da una CFC ai sensi del citato comma 10 (si veda in proposito, il successivo paragrafo 10).127
10 DISTRIBUZIONE DEGLI UTILI
Ai fini del calcolo dei redditi delle società controllate estere, l’articolo 8, comma 5, della Direttiva ATAD statuisce che «Se l’entità distribuisce utili al contribuente, e tali utili distribuiti sono inclusi nel reddito imponibile del contribuente, gli importi dei redditi precedentemente inclusi nella base imponibile a norma dell’articolo 7 sono dedotti dalla base imponibile in sede di calcolo dell’importo dell’imposta dovuta sugli utili distribuiti, al fine di evitare una doppia imposizione». In senso sostanzialmente conforme si esprime il comma 10 dell’articolo 167 laddove viene previsto che: «Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti controllati non residenti non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti di cui al comma 1 fino a concorrenza dei redditi assoggettati a tassazione ai sensi del comma 8, anche nei periodi d’imposta precedenti […]».
Al fine di evitare fenomeni di doppia imposizione, dunque, la Direttiva prevede la possibilità di dedurre dalla base imponibile cui assoggettare eventualmente gli utili distribuiti dalla CFC al soggetto controllante in Italia, "gli importi” dei redditi che hanno precedentemente formato oggetto di tassazione per trasparenza in capo al socio italiano. La norma interna, analogamente a quanto statuito dalla Direttiva, prevede la possibilità di escludere dalla formazione della base imponibile la quota parte degli utili riferibile a redditi imputati e tassati per trasparenza in capo al socio italiano («fino a concorrenza»).
Tanto premesso, debbono considerarsi superate le precedenti indicazioni di prassi (fornite con la Circolare 51/e del 6 settembre 2010), secondo le quali era previsto che l’imposizione per trasparenza del reddito della CFC esaurisse il prelievo fiscale in relazione al medesimo reddito: in altri termini, se gli utili distribuiti dalla CFC originano da un reddito precedentemente tassato per trasparenza in capo al socio italiano, gli stessi non vanno nuovamente tassati in capo al medesimo soggetto «fino a concorrenza dei redditi assoggettati a tassazione ai sensi del comma 8» dell’articolo 167.
In buona sostanza, per ottemperare al disposto della direttiva, l’applicazione
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della disciplina CFC determina l’accumulo di un "basket” di utili della CFC tassati per trasparenza. Tale basket rappresenta una sorta di "franchigia” all’interno della quale gli utili successivamente distribuiti dalla CFC non dovranno scontare (di nuovo) l’imposizione in capo al partecipante residente.
Gli utili realizzati dalla CFC in un anno in cui abbia trovato applicazione la disciplina di imputazione per trasparenza in capo al soggetto residente partecipante (o alla stabile organizzazione italiana partecipante), avendo scontato per tabulas un’imposizione congrua rispetto a quella italiana (rectius, un’imposizione del tutto analoga a quella italiana), vanno considerati come non provenienti da regimi fiscali privilegiati ai sensi dell’art.
47-bis del TUIR. Conseguentemente, nell’ipotesi in cui la quota dell’utile della CFC di un dato anno riferibile al soggetto partecipante risulti superiore (per effetto di variazioni in diminuzione) rispetto al corrispondente reddito imputato per trasparenza, l’eccedenza sconterà l’imposizione ordinaria riguardante i dividendi cosiddetti "white” (e.g., nella misura del 26% nel caso in cui il partecipante sia persona fisica, ovvero mediante l’applicazione dell’aliquota IRES sulla quota imponibile del 5% del dividendo stesso, sussistendo le condizioni di cui all’art. 89 del TUIR).CosÏ, ad esempio, si ipotizzi che un soggetto IRES non IAS/IFRS adopter ("A”) detenga il 100% di una controllata estera ("CFC”) e quest’ultima, soggetta ad imposte locali pari allo 0%, realizzi in un dato anno un utile pari a 200, formato da 180 dividendi white e 20 dividendi black. L’applicazione della disciplina CFC determina la tassazione per trasparenza in capo ad A del reddito della CFC per un ammontare pari a 29, dato dal 100% dei dividendi black (20) e dal 5% dei dividendi white (9=180x5%), con una imposta IRES dovuta pari a 6,69 (24% di 29).
Ebbene, laddove successivamente la CFC dovesse distribuire l’utile di 200, questo risulterebbe:
â’nei limiti dell’importo giĂ assoggettato a tassazione per trasparenza, e cioeĚ€ per 29, integralmente detassato ai sensi dell’art. 167, comma 10, del TUIR;
â’per l’eccedenza, e cioeĚ€ per 171, imponibile nei limiti del 5% del suo
129
ammontare ai sensi del combinato disposto degli artt.
47-bis e 89, commi 2 e 3, del TUIR.In base a questa nuova impostazione, non è più necessario monitorare "qualitativamente” le riserve da cui saranno attinti gli utili della CFC. Ed infatti, sia nel caso in cui questi siano attinti da riserve accumulate in periodi di imposta in cui ha trovato applicazione la disciplina CFC con l’imputazione per trasparenza dei redditi in capo al socio controllante, sia se questi, viceversa, siano attinti da riserve maturate in altri periodi (ante o post applicazione della tassazione per trasparenza), fino a concorrenza dell’importo dei redditi assoggettati a trasparenza (l’importo del citato basket), gli utili distribuiti dalla CFC non concorreranno alla formazione del reddito del socio.
Una volta che il basket si sia interamente consumato, troverà applicazione l’ordinaria disciplina di qualificazione dei dividendi da entità estere, ivi inclusa la regola dell’art. 1, comma 1008, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, a mente della quale, in presenza di riserve formate sia con utili white che con utili black, gli utili distribuiti si presumono prioritariamente attinti, ovviamente fino a concorrenza, dalle riserve di utili white. Si specifica che questa regola di imputazione prioritaria degli utili white rispetto agli utili black trova applicazione anche per gli utili qualificati white in base a quanto appena detto, cioè per quella quota di utili realizzati dall’entità controllata estera in un periodo di imposta in cui abbia trovato applicazione la disciplina CFC, nella misura in cui eccedano l’importo dell’imponibile imputato per trasparenza al socio residente.
Per quanto riguarda gli utili realizzati da CFC in periodi d’imposta precedenti a quello di prima applicazione del Decreto ATAD, resta fermo il regime previgente, in base al quale, si ricorda, si considerava che l’imputazione per trasparenza dei redditi della CFC esaurisse il prelievo italiano su detti utili, di modo che anche la parte di utili eventualmente eccedente il reddito imputato per trasparenza era integralmente esclusa da imposizione in capo al socio. Laddove il contribuente, per gli utili realizzati dalla CFC in periodi d’imposta precedenti a quello di prima applicazione del Decreto ATAD, volesse mantenere questo regime, sarà sua cura e
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responsabilitĂ mantenere memoria della stratificazione delle riserve secondo quanto giĂ indicato nelle precedenti circolari n. 51/E del 2010 e n. 23/E del 2011, par. 7.5.
Resta fermo quanto stabilito dall’articolo 3, comma 4, del D.M 21 novembre 2001, in relazione alle partecipazioni indirette. In caso di partecipazione agli utili della CFC per il tramite di soggetti non residenti, le disposizioni del comma 10 dell’articolo 167 si applicano agli utili distribuiti dal soggetto non residente direttamente partecipato; a questi effetti, detti utili si presumono prioritariamente formati con quelli conseguiti dall'impresa, società o ente residente considerato CFC (già tassati per trasparenza in Italia) che risultino precedentemente posti in distribuzione.
Inoltre, il costo delle partecipazioni nell’impresa, società o ente non residente è aumentato dei redditi imputati a tassazione per trasparenza, e diminuito, fino a concorrenza di tali redditi, degli utili distribuiti (cfr. comma 5, articolo 3, del citato D.M).
Passando ad altro aspetto, il medesimo comma 10 dell’articolo 167 del TUIR stabilisce altresÏ che «le imposte pagate all’estero sugli utili che non concorrono alla formazione del reddito ai sensi del primo periodo sono ammesse in detrazione, con le modalità e nei limiti di cui all’articolo 165, fino a concorrenza dell’imposta determinata ai sensi del comma 8, diminuita degli importi ammessi in detrazione ai sensi del comma 9».
Per ciò che attiene alla detrazione dall’imposta dovuta in Italia, essa è riconosciuta al soggetto partecipante residente (o alla stabile organizzazione italiana) anche in relazione alle eventuali imposte subite al momento della distribuzione del dividendo che non concorre alla determinazione del suo reddito complessivo.
Più precisamente, come indicato nell’articolo 3, comma 4, del DM n. 429/2001, le imposte pagate all’estero a titolo definitivo dal soggetto partecipante, riferibili agli utili che non concorrono alla formazione del reddito, costituiscono
131
credito d’imposta nei limiti delle imposte complessivamente applicate a titolo di tassazione separata ridotte delle somme già ammesse in detrazione in quanto relative alle imposte sui redditi pagate all’estero dal soggetto controllato.
Si consideri il seguente esempio.
CFC
ITA
Reddito CFC
100
Imposte estere
10
Reddito CFC imputato per trasparenza
100
Imposta italiana lorda
24
Credito d’imposta
10
IMPOSTA ITALIANA NETTA
(24-10) =14Una società italiana Alfa detiene una partecipazione del 100% nella società estera CFC. La CFC produce un reddito pari a 100, soggetto ad imposizione nello Stato estero con un’aliquota d’imposta del 10%. Alfa tassa separatamente il reddito della CFC e dall’imposta netta dovuta (24) porta in detrazione l’imposta estera (10) pagata dalla CFC sul reddito imputato per trasparenza.
Al momento della distribuzione del dividendo (90), Alfa subisce una ritenuta in uscita nel Paese della CFC del 10%. Anche le imposte estere di 9 potranno essere portate in detrazione da Alfa in quanto inferiori a 14, ossia all’imposta complessivamente applicata a titolo di tassazione separata (24), ridotta delle somme già ammesse in detrazione (10).
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CFC
ITA
Reddito CFC
100
Imposte estere
10
Reddito CFC
imputato per
100
trasparenza
Imposta italiana lorda
24
Credito d’imposta su redditi
10
CFC
Dividendo CFC
90
Ritenuta su dividendo
9
Imposta italiana su dividendo
0
IMPOSTA
ITALIANA
[24-(10 + 9)] = 5NETTA
133
11 PROFILI PROCEDURALI
11.1 Garanzie in sede di accertamento
La nuova disciplina conferma le garanzie per il contribuente in fase di accertamento previste dai commi 11 e 12 dell’articolo 167 del TUIR in base ai quali l’amministrazione stessa, prima di emettere un atto di accertamento, è tenuta a notificare al contribuente un avviso con il quale gli viene concessa la possibilità di fornire, nel termine di novanta giorni, le prove per la disapplicazione della CFC rule (cfr. circolare n. 35/E del 2016).
Nell’ipotesi in cui l’amministrazione, ricevuta risposta dal contribuente, non ritenga tali prove idonee a dimostrare l’esimente del comma 5 dell’articolo 167 del TUIR, dovrà darne specifica motivazione nel successivo avviso di accertamento.
Diversamente, qualora il contribuente abbia presentato istanza di interpello e ricevuto parere positivo, l’esimente non deve essere ulteriormente dimostrata nella successiva fase di controllo. Resta fermo il potere dell’amministrazione finanziaria di verificare la veridicità e la completezza delle informazioni e degli elementi di prova forniti dal contribuente in sede di interpello.
Si evidenzia che i verificatori non potranno in alcun modo limitarsi a constatare l’applicazione dei presupposti della normativa CFC ed emettere l’avviso di accertamento ma dovranno svolgere tutte le indagini e gli accertamenti del caso al fine di verificare la sussistenza o meno dell’esimente.
Tale attività implica anche la richiesta di esibizione dei documenti da parte del contribuente residente, socio di controllo della entità estera. Trattandosi di documenti interni all’azienda (si pensi ai contratti di lavoro dei dipendenti, alle fatture delle utenze, etc.) è ragionevole che a produrli sia il contribuente, che si trova in una posizione avvantaggiata rispetto all’Amministrazione nel reperire la necessaria documentazione. Tale circostanza non sembra possa ledere il principio di proporzionalità richiesto dalla giurisprudenza comunitaria in materia di onere della prova ma è, piuttosto, espressione di quel principio di piena collaborazione tra socio residente e fisco, auspicato nel Considerando n. 12 della Direttiva.
134
11.2 Gli obblighi dichiarativi
Il controllante (soggetto residente o stabile organizzazione italiana) è tenuto a dichiarare i redditi della società o ente estero, imputati per trasparenza in applicazione della disciplina CFC, nel quadro FC della propria dichiarazione dei redditi.
La documentazione di supporto finalizzata a dimostrare la corretta determinazione del reddito imponibile eĚ€ costituita dal bilancio o da altro documento riepilogativo della contabilitĂ di esercizio della controllata estera, predisposto secondo le regole vigenti nello Stato o territorio in cui risiede o eĚ€ localizzata. Nel caso di CFC non soggette alla tenuta della contabilitĂ secondo le disposizioni locali, il soggetto residente eĚ€ comunque tenuto alla redazione di un apposito prospetto in conformitĂ alle norme contabili vigenti in Italia (al riguardo si veda la circolare 12 febbraio 2002 n. 18/E). In ogni caso, il soggetto controllante deve essere in grado di fornire idonea documentazione dei costi di acquisizione dei beni relativi all’attivitĂ esercitata nonché delle componenti reddituali rilevanti ai fini della determinazione dei redditi o delle perdite dichiarate nell’apposito prospetto.
Si ricorda, inoltre, che il nuovo comma 11 dell’articolo 167 del TUIR conferma l’obbligo di segnalazione introdotto con decreto internazionalizzazione. In particolare, il controllante residente è tenuto a segnalare nella sua dichiarazione dei redditi la detenzione di partecipazioni in soggetti controllati non residenti che soddisfano entrambe le condizioni previste ai fini dell’applicazione della disciplina CFC. Resta inteso che l’obbligo di segnalazione è alternativo alla tassazione per trasparenza dei redditi della società estera e non sussiste qualora la disciplina antielusiva in esame sia stata disapplicata per effetto dell’ottenimento di una risposta favorevole all’interpello.
Come già precisato nella circolare n. 35/E del 2016, l’obbligo di segnalazione in parola ricade sui soggetti residenti tenuti a compilare il quadro FC. Il soggetto che detiene il controllo di più soggetti esteri, tenuto a compilare un quadro FC per ciascuno di essi, dovrà effettuare la comunicazione in relazione a ciascuna
135
partecipazione (fatti salvi i casi in cui la disciplina CFC sia stata applicata e i relativi redditi siano stati tassati per trasparenza, ovvero non lo sia stata per effetto dell’ottenimento di una risposta favorevole). Il quadro non va, invece, compilato se il soggetto controllante, per effetto di particolari vincoli contrattuali, non partecipa agli utili della società estera. In questa particolare ipotesi il soggetto residente non sarà neanche tenuto a segnalare in dichiarazione la partecipazione estera.
Si ricorda inoltre che:
â’nei casi di controllo indiretto: solo il soggetto controllante di ultimo livello eĚ€ tenuto ad indicare la partecipazione CFC in dichiarazione (viceversa, nessun obbligo di segnalazione ricade in capo al soggetto residente per il tramite del quale la prima societĂ esercita il controllo sulla partecipata estera);
â’nel caso in cui il controllo indiretto sia esercitato da un soggetto non titolare di reddito d'impresa per il tramite di una societĂ o di un ente residente: l'obbligo di segnalazione deve essere assolto da questi soggetti, che provvederanno a compilare il quadro FC del proprio modello Unico;
â’nel caso in cui il controllo sia esercitato in via diretta da un soggetto non titolare di reddito d'impresa: sarĂ cura di quest'ultimo segnalare la partecipazione estera nella propria dichiarazione dei redditi.
Si precisa che l’obbligo di segnalazione in esame consiste nell’indicare in dichiarazione solo l’utile o la perdita dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero, risultante dal bilancio o documento riepilogativo della contabilità di esercizio. In altri termini, non è necessario che tale risultato sia rideterminato in base alle disposizioni italiane applicabili a soggetti titolari di reddito d’impresa.
In caso di segnalazione omessa o incompleta, è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa in misura pari al 10 per cento del reddito (rectius risultato di esercizio) conseguito dal soggetto estero e imputabile nel periodo d’imposta, anche solo teoricamente, al soggetto residente in proporzione alla partecipazione
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detenuta.
La sanzione applicabile varia da un minimo di 1.000 euro ed un massimo di 50.000 euro. Per espressa previsione normativa, inoltre, la misura minima risulta applicabile anche nel caso in cui il risultato della CFC dovesse essere negativo (cfr. articolo 8, comma
3-quater, del D. Lgs. n. 471/1997). Si segnala che il riferimento operato dall’articolo 8, comma3-quater, del d.lgs. n. 471 del 1997 alla previgente disposizione contenuta nel comma8-quater è da intendersi riferito al nuovo comma 11) dell’articolo 167 del TUIR.Si precisa, inoltre, che nel caso in cui un soggetto residente detenga il controllo di più soggetti esteri CFC, il reddito (risultato di esercizio) di questi ultimi dovrà essere segnalato separatamente. In tale ipotesi, l’omessa segnalazione subirà la sanzione amministrativa applicata su ciascun reddito prodotto (risultato di esercizio) dalle diverse CFC estere e non calcolata a livello cumulativo.
137
12L’INTERPELLO PROBATORIO
12.1 Le modalitĂ di presentazione
Il comma 5 dell’articolo 167 del TUIR conferma la possibilità , per i contribuenti, di presentare un’apposita istanza di interpello al fine di dimostrare la ricorrenza dell’esimente ed evitare la tassazione per trasparenza dei redditi della controllata estera.
L’interpello CFC risulta inquadrabile nella categoria degli interpelli cd. probatori (prevista, dall’articolo 11, comma 1, lettera b) dello Statuto del contribuente), mediante il quale ci si può rivolgere all’amministrazione «per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a
[…]la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti».
Per essere ammissibile, la richiesta deve essere preventiva ossia deve essere presentata «prima della scadenza dei termini previsti dalla legge per la presentazione della dichiarazione o per l’assolvimento di altri obblighi tributari aventi ad oggetto o comunque connessi alla fattispecie cui si riferisce l’istanza medesima senza che, a tali fini, assumano valenza i termini concessi all’amministrazione per rendere la propria risposta» (cfr. articolo 2 del D. Lgs. n. 156/2015).
L’Amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere alle istanze per la disapplicazione della disciplina CFC nel termine di 120 giorni. In caso di mancata risposta entro questo termine, vige la regola del c.d.
"silenzio-assenso”. Nei casi in cui le istanze dovessero essere carenti dei requisiti che sono richiesti dalla normativa37, l’Agenzia è tenuta ad invitare il contribuente a regolarizzare la richiesta entro il termine di 30 giorni. I termini per la risposta iniziano a decorrere dal giorno in cui la regolarizzazione è stata effettuata. Quando
37L’articolo 3, comma 3, del D. Lgs. n.156/2015 prevede la regolarizzazione nel caso in cui le istanze siano carenti dei requisiti di cui alle lettere b), d), e), f) e g) del comma 1 del medesimo articolo. Sono escluse le lettere a) e c) non regolarizzabili.
138
non è possibile fornire risposta sulla base dei documenti allegati, l’Amministrazione può richiedere, una sola volta, all’istante di integrare la documentazione presentata. In questo caso la risposta deve essere resa entro 60 giorni dalla ricezione della documentazione integrativa.
Si ricorda che le risposte alle istanze di interpello non sono impugnabili ai sensi dell’articolo 6, comma 1 del D. Lgs. 24 settembre 2015 n. 156.
Si fa presente, infine, che in caso di incertezza su questioni interpretative attinenti alla disciplina CFC resta ferma la possibilità per il contribuente di presentare interpello ordinario ai sensi dell’articolo 11, lettera a), dello Statuto del contribuente.
Per le modalitĂ di presentazione delle istanze e di comunicazione delle risposte, nonché per le altre regole concernenti la procedura, si rinvia al Provvedimento del Direttore delle Agenzie delle entrate del 4 gennaio 2016 e ai chiarimenti forniti con la circolare n. 9/E del 2016.
12.2I soggetti legittimati alla presentazione dell’interpello
Legittimato a presentare l’interpello in materia di CFC è il soggetto residente o la stabile organizzazione in Italia del soggetto non residente che detiene la partecipazione di controllo nella società estera. La presentazione dell’istanza, volta ad ottenere il riconoscimento della circostanza esimente, implica che la controllata estera integri i presupposti applicativi della disciplina CFC. Qualora non ricorrano congiuntamente le condizioni di cui alle lettere a) e b) del comma 4, si ritiene che l’istanza non possa essere ammessa in quanto carente del requisito della "fattispecie concreta e personale” previsto dallo Statuto del contribuente (cfr. articolo 11, comma 1, lettera b) della legge 212/2000). Una eccezione viene espressamente concessa a favore dei soggetti che hanno aderito al regime di cooperative compliance. Già la precedente formulazione del comma
8-ter dell’articolo 167 del TUIR consentiva a tali soggetti di presentare l’istanza di interpello prescindendo dalla verifica della ricorrenza dei presupposti applicativi della CFC di cui alle lettere a) e b) del comma8-bis del medesimo articolo 167.139
Essendo venuta meno la distinzione tra CFC rule basata sullo Stato di localizzazione della controllata, il nuovo comma 5 dell’articolo 167 del TUIR conferma la possibilità di interpellare l’Amministrazione finanziaria, per tutti i soggetti che abbiano aderito al regime di cooperative compliance, indipendentemente dalla verifica delle condizioni indicate nel suddetto nuovo comma 4.
In ipotesi di catene societarie caratterizzate dalla presenza di più società intermedie residenti, l’interpello deve essere presentato dalla controllante residente di ultimo livello. Tuttavia, per ragioni di semplificazione degli adempimenti, restano validi i chiarimenti resi in passato dall’Agenzia che ha ammesso anche la presentazione dell’interpello da parte della controllante italiana più vicina alla CFC (controllante di primo livello), in quanto trattasi del soggetto che ha maggiore facilità di accesso ai dati e alle notizie riguardanti la società estera. Ciò a condizione che nell’istanza sia dato adeguatamente conto della struttura del gruppo, anche con riferimento ai soggetti che si trovano più in alto nella catena di controllo, fino ad arrivare alla controllante di ultimo livello. Resta inteso che, in tale ipotesi, l’eventuale obbligo dichiarativo incombe comunque sul socio residente di ultimo livello: in altri termini, sarà sempre quest’ultimo soggetto a compilare il quadro FC e a imputare (pro quota) il reddito della partecipata estera alla controllante residente di primo livello, titolare dell’interpello.
Ăpossibile presentare un’unica istanza di interpello nel caso in cui un’impresa residente controlli, direttamente o indirettamente, una societĂ estera, che a sua volta detiene numerose partecipazioni in altre societĂ estere, collegate tra loro da un nesso funzionale e tutte ricadenti nell’ambito di applicazione della normativa CFC (cfr. circolare n. 23/E del 2011).
Fermo restando che l’esimente di cui al comma 5 dell’articolo 167 del TUIR presuppone un esame da condurre a livello di singola societĂ controllata estera, in caso di strutture particolarmente articolate, sarĂ adeguatamente valutata, in sede di interpello, la circostanza che tale struttura non comporta la distrazione di utile dall’Italia verso altri Paesi o territori, nonché le ragioni economiche-
140
imprenditoriali alla base della stessa.
La possibilità di presentare un’unica istanza di interpello riferita a più società che formano un gruppo non è limitata all’ipotesi in cui le società estere siano holding.
Per la documentazione da produrre ai fini della suddetta dimostrazione, si rinvia all’elenco esemplificativo contenuto nell’ALLEGATO n. 6.
12.3 La valenza dei precedenti pareri
In tema di interpello, merita un approfondimento l’esame della validità dei precedenti pareri favorevoli, forniti in risposta alle istanze di interpello probatorio, in relazione alla previgente disciplina CFC rispetto alle modifiche normative intervenute.
Per quanto riguarda i pareri in cui l’Agenzia ha riconosciuto la disapplicazione in virtù della circostanza esimente di cui alla lettera a) del comma 5 dell’articolo 167 del TUIR, si ritiene che gli stessi rimangano validi.
Si eĚ€ giĂ accennato, infatti, alla portata piĂą ampia dell’attuale formulazione dell’esimente unica, che non eĚ€ piĂą limitata allo svolgimento di attivitĂ commerciale o industriale, ma comprende ogni attivitĂ economica effettiva, né richiede piĂą la verifica del requisito del radicamento.
Più complesso è il caso dei pareri di risposta a istanze di interpello probatorio in cui è stata dimostrata l’esimente di cui al comma
8-ter dell’articolo 167 del TUIR.In merito a questa esimente, si osserva che la circolare n. 51/E del 2010 ha chiarito come la valutazione dell’artificiosità della costruzione estera era ancorata ad «elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi […] in aderenza a indici predefiniti, cui è normalmente attribuito carattere di oggettività ».
Nello specifico, tali indici erano individuati facendo riferimento alla Risoluzione del Consiglio dell’Unione Europea sul coordinamento delle norme sulle società estere controllate (SEC) e sulla sottocapitalizzazione nell’Unione
141
europea, dell’8 giugno 2010, pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C156 del 16 giugno 2010, recante un elenco di indicatori in presenza dei quali è ragionevole presumere che gli utili della controllata estera siano stati artificiosamente trasferiti ad una CFC e quindi distratti dallo Stato UE di origine.
In particolare, ai sensi della citata Risoluzione, sono considerati indicatori dell’artificiosità della struttura estera:
a)"l’insufficienza di motivi economici o commerciali validi per l’attribuzione degli utili, che pertanto non rispecchia la realtà economica;
b)la costituzione non risponde essenzialmente a una societĂ reale intesa a svolgere attivitĂ economiche effettive;
c)non esiste alcuna correlazione proporzionale tra le attivitĂ apparentemente svolte dalla CFC e la misura in cui tale societĂ esiste fisicamente in termini di locali, personale e attrezzature;
d)la società non residente è sovracapitalizzata: dispone di un capitale nettamente superiore a quello di cui ha bisogno per svolgere un’attività ;
e)il contribuente ha concluso transazioni prive di realtà economica, aventi poca o nessuna finalità commerciale o che potrebbero essere contrarie agli interessi commerciali generali se non fossero state concluse a fini di evasione fiscale”.
Con particolare riferimento all’indicatore sub c), la medesima circolare n. 51/E del 2010 ha chiarito che lo stesso coincideva con la prima circostanza esimente di cui all’articolo 167, comma 5, lettera a) del TUIR.
Tanto premesso, la risposta positiva fornita in riscontro a istanze di interpello presentate ai sensi dell’articolo
8-ter, a paritĂ di circostanze, continua ad essere valida ai fini della nuova normativa.Non possono considerarsi, invece, ancora validi i pareri resi sulla base del solo articolo 167, comma 5, lettera b), del TUIR.
142
13 DECORRENZA DELLE NUOVE DISPOSIZIONI
L’articolo 13, comma 6, del Decreto stabilisce che "le disposizioni del Capo III, sezione II, si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, nonché agli utili percepiti e alle plusvalenze realizzate a decorrere dal medesimo periodo d’imposta”.
Le nuove regole CFC si applicano a partire dal periodo d’imposta 2019 per i soggetti con esercizio coincidente con l’anno solare. Si evidenzia che il periodo d’imposta da considerare è quello del socio residente e non quello della controllata estera.
Pertanto, il socio residente che ha, ad esempio, l’esercizio sociale 1° dicembre 2018 – 30 novembre 2019 applicherà le disposizioni del Decreto a partire dal periodo d’imposta 1° dicembre 2019 – 30 novembre 2020 in relazione ai redditi delle controllate estere prodotti nell’esercizio chiuso nel corso del suddetto periodo del soggetto controllante residente.
***
Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.
IL DIRETTORE DELL’AGENZIA
Ernesto Maria Ruffini (firmato digitalmente)
143
ALLEGATO n.1
Recepimento Direttiva ATAD – normativa degli Stati membri UE38
Stato membro
Norma di recepimento della direttiva ATAD
Belgio
Federale Overheidsdienst Financien - 25 December 2017. — Wet Tot
Hervorming Van De Vennootschapsbelasting
Bulgaria
Закон за корпоративното подоходно облагане - 31/12/2019
Repubblica
Ceca
Zákon ÄŤ. 204/2017 Sb., kterĂ˝m se mÄ’nĂ zákon ÄŤ. 256/2004 Sb., o podnikánĂ
na kapitálovém trhu, ve znÄ’nĂ pozdÄ’jšĂch pĹ™edpisĹŻ, a dalšà souvisejĂcĂ zákony
– 14/7/2017
Danimarca
Lov om ændring af selskabsskatteloven, lov om ophævelse af
dobbeltbeskatning i forbindelse med regulering af forbundne foretagenders
overskud
(EF-voldgiftskonventionen), momsloven og forskellige andre love -28/12/2018
Germania
Bekanntmachung der Neufassung der Abgabenordnung
Estonia
Tulumaksuseadus – 18/01/2019
Irlanda
Finance Act 2018 – 28/12/2018
Grecia
Ι. ΚύĎωĎη της Συμφωνίας για την ΑĎιατική ΤĎΏπεζα Υποδομών και
ΕπενδύĎεων, ΙΙ. ΕναĎμόνιĎη του Κώδικα Φ.Î .Α. με την Οδηγία (ΕΕ)
2016/1065, ΙΙΙ. ΕνĎωμΏτωĎη των Ďημείων 1, 2, 4 και 5 του ÎŹĎθĎου 2 και των
ÎŹĎθĎων 4, 6, 7 και 8 της Οδηγίας 1164/2016, ΙV. ΤĎοποποίηĎη του ν.
2971/2001 και Ώλλες διατΏξεις. - 24/4/2019
Spagna
Ley del Impuesto sobre Sociedades (art 21)
Francia
Loi
n°2019-1479 du 28 décembre 2019 de finances pour 2020 – 29/12/2019Croazia
Zakon o izmjenama i dopunama Zakona o porezu na dobit ËťNN 121/2019Ëť -
18/12/2019
Italia
decreto legislativo n. 142 del 28/11/2018
Cipro
Îź ΠεĎÎŻ ΦοĎολογίας του ΕιĎοδήματος (ΤĎοποποιητικός) (ΑĎ.3) Νόμος του
2019 – 25/4/2019
Lettonia
Uzņēmumu ienÄkuma nodokÄĽa likums – 8/8/2017
Lituania
Lietuvos Respublikos pelno mokesÄŤio ÄŻstatymo Nr.
IX-675 2, 4, 12, 14, 30,31, 55,
56-1 straipsnių, 3 priedėlio pakeitimo ir Įstatymo papildymo38-3, 40-2,
56-2 straipsniais įstatymas Nr.XIII-2694 – 30/12/2019Lussemburgo
Loi du 26 avril 2019 concernant le budget des recettes et des dépenses de
l'Etat concernant l'année 2019 – 28/8/2019
Ungheria
2019. évi LXXIII. törvény az egyes adĂłtörvények és más kapcsolĂłdĂł
törvények mĂłdosĂtásárĂłl – 16/12/2019
Malta
European Union
Anti-Tax Avoidance Directives Implementation Regulations,2018 - INCOME TAX ACT(CAP. 123) – 11/12/2018
38Dal sito Eur Lex, Legislazione nazionale e giurisprudenza, recepimento nazionale.
eur-lex.europa.eu 144
Paesi Bassi
Wet van 19 december 2018 tot wijziging van de Wet op de
vennootschapsbelasting 1969 en de Invorderingswet 1990 in verband met de
implementatie van Richtlijn (EU) 2016/1164 van de Raad van 12 juli 2016 tot
vaststelling van regels ter bestrijding van belastingontwijkingspraktijken
welke rechtstreeks van invloed zijn op de werking van de interne markt
(PbEU 2016, L 234/26) (Wet implementatie eerste
EU-richtlijn antibelastingontwijking) – 28/12/2018
Austria
Jahressteuergesetz 2018 – 14/8/2018
Polonia
Ustawa z dnia 29 sierpnia 1997 r.Ordynacja podatkowa – 30/11/2018
Portogallo
Lei n.º 32/2019 de 3 de maio - Reforça o combate às práticas de elisão fiscal,
transpondo a Diretiva (UE) 2016/1164, do Conselho, de 16 de julho –
30/5/2019
Romania
OrdonanČ’a de urgenČ’Ä nr. 79/2017 pentru modificarea Ĺźi completarea Legii nr.
227/2015 privind Codul fiscal - 10/11/2017
Slovenia
Zakon o spremembah in dopolnitvah Zakona o davku od dohodkov pravnih
oseb – 5/11/2019
Slovacchia
Zákon ÄŤ. 344/2017 Z. z., ktorĂ˝m sa menĂ a dopÄşĹa zákon ÄŤ. 595/2003 Z. z. o
dani z prĂjmov v znenĂ neskoršĂch predpisov a ktorĂ˝m sa menĂ zákon ÄŤ.
563/2009 Z. z. o správe danĂ (daĹovĂ˝ poriadok) a o zmene a doplnenĂ
niektorĂ˝ch zákonov v znenĂ neskoršĂch predpisov – 28/12/2017
Finlandia
Laki varojen arvostamisesta verotuksessa annetun lain 3 §:n muuttamisesta /
Lag om ändring av 3 § i lagen om värdering av tillgångar vid beskattningen
(1582/2019) - 30/12/2019
Svezia
Lag (2019:1147) om ändring i skatteförfarandelagen (2011:1244) –
27/11/2019
Regno Unito
Finance Act 2019 – 12/2/2019
145
ALLEGATO n. 2
Tabella con le principali modifiche alla disciplina CFC
DISCIPLINA PREVIGENTE
CFC black list
CFC white list
DISCIPLINA VIGENTE
SOGGETTI
- persone fisiche
-
persone fisiche
-
persone fisiche
RESIDENTI
- societĂ semplici
-
societĂ semplici
-
societĂ semplici
- S.n.c.
-
S.n.c.
-
S.n.c.
- S.a.s.
-
S.a.s.
-
S.a.s.
- Soggetti ex art. 73, comma 1,
- Soggetti ex art. 73,
-
Soggetti ex art. 73, comma
lettere a), b), e c), del TUIR
comma 1, lettere a),
1, lettere a), b), e c), del
b), e c), del TUIR
TUIR
-
S.O. italiane di soggetti
esteri
SOGGETTI
- Imprese
-
imprese
-
imprese
ESTERI
- societĂ
-
SocietĂ
-
SocietĂ
- enti residenti in Stati o
- enti residenti in Stati o
-
Enti
territori a fiscalitĂ privilegiata
territori non a regime
fiscale privilegiato,
Stati UE e SEE
CONTROLLO - diretto e indiretto ex art. 2359 Codice Civile
- diretto e indiretto ex
-
diretto e indiretto ex art.
art. 2359 Codice
2359 Codice Civile
Civile
-
partecipazione agli utili
>50 %
CONDIZIONI
- tassazione nominale < 50 %
-
tassazione effettiva <
- Tassazione effettiva < 50
IRES e IRAP
50 % IRES
% IRES
- regimi speciali
-
passive income >50 %
-
passive income > 1/3
ESIMENTE
- effettiva attivitĂ industriale o
-
assenza di una
-
attivitĂ economica
commerciale
"costruzione
effettiva, mediante
- radicamento
artificiosa volta a
l’impiego di personale,
- NO localizzazione del reddito
conseguire un indebito
attrezzature, attivi e locali,
nel paradiso fiscale
vantaggio fiscale”
nello Stato di
localizzazione
146
ALLEGATO n. 3
Tabella riepilogativa delle disposizioni del DM 429 del 2001
Nella tabella sottostante sono indicate le disposizioni del DM 429 del 2001 che si ritengono non piĂą applicabili poiché incompatibili con la nuova normativa di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 29 novembre 2018, n. 142, e quelle in vigore per i periodi di imposta 2019 e seguenti.
Articolo 1 - Presupposti di applicazione delle disposizioni concernenti
l'imputazione dei redditi di imprese estere partecipate
1. I redditi conseguiti da imprese, societĂ o enti,
residenti o localizzati in Stati o territori con regime
X ABROGATO
fiscale privilegiato, controllati, direttamente o
indirettamente, anche tramite societĂ fiduciarie o
Il comma 1 del DM 429/2001 non è più
per interposta persona, da persone fisiche o da
attuale. Per la definizione dei soggetti
soggetti di cui agli articoli 5 e 87, comma 1, lettere
coinvolti nella normativa CFC, si fa riferimento
a), b) e c), del testo unico delle imposte sui redditi,
alle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3 e
approvato con decreto del Presidente della
4 dell’articolo 167 del TUIR.
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, anche non
titolari di reddito d'impresa, residenti in Italia,
sono imputati ai soggetti partecipanti residenti, a
norma dell'articolo
127-bis del citato testo unicodelle imposte sui redditi e delle disposizioni del
presente decreto. Se il soggetto controllato non
residente opera in detti Stati o territori per il
tramite di stabili organizzazioni, tali disposizioni si
applicano con riferimento ai redditi ad esse
riferibili
2. Si considerano residenti o localizzati in Stati o
territori con regime fiscale privilegiato, cosĂŹ come
X ABROGATO
individuati dai decreti del Ministro dell'economia e
delle finanze emanati ai sensi dell'articolo
127-bis, Il comma 2 dell’articolo 1 è abrogato. Per
comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi,
individuare il regime fiscale della CFC si fa
approvato con decreto del Presidente della
riferimento alla tassazione effettiva estera.
Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le imprese,
le societĂ o gli enti ammessi comunque a fruire di
tale regime
3. Ai fini della verifica della sussistenza del
controllo di cui al comma 1, si applicano, anche nei
ďĽ IN VIGORE
confronti dei soggetti diversi dalle societĂ
commerciali, i criteri indicati nell'articolo 2359,
Il comma 3 deve ritenersi ancora in vigore. La
primo e secondo comma, del codice civile e rileva
disposizione specifica le modalitĂ con cui si
la situazione esistente alla data di chiusura
applica la nozione di controllo di cui all’articolo
147
dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto
2359 del Codice Civile (quest’ultima norma è
estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone
attualmente richiamata dal comma 2, lettera
fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai
a), dell’articolo 167 del TUIR). Allo stesso
familiari di cui all'articolo 5, comma 5, del testo
modo, è ancora valida la disposizione del
unico delle imposte sui redditi, approvato con
secondo periodo del comma 3, riguardante i
decreto del Presidente della Repubblica 22
voti spettanti ai familiari, volta a contrastare il
dicembre 1986, n. 917.
frazionamento artificioso del controllo.
Articolo 2 - Determinazione dei redditi
1. Per la determinazione dei redditi di cui all'articolo
X ABROGATO
1 si applicano le disposizioni del titolo I, capo VI,
concernenti la determinazione del reddito
d'impresa, ad eccezione di quelle degli articoli 54,
In materia di determinazione dei redditi della
comma 4, e 67, comma 3, nonché le disposizioni del
CFC, si fa riferimento alle disposizioni dei
titolo IV, contenente disposizioni comuni, applicabili
commi 6, 7 e 8 dell’articolo 167 del TUIR.
ai fini della determinazione del predetto reddito e
Resta ferma la possibilitĂ di utilizzare le
quelle degli articoli 96,
96-bis, 103,103-bis del testoperdite della CFC in modalitĂ segregata e nei
unico delle imposte sui redditi, approvato con
limiti indicati dall’articolo 84 del TUIR (ultimo
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
periodo del comma 1).
1986, n. 917. Se risulta una perdita, questa è
computata in diminuzione dei redditi dell'impresa,
societĂ o ente, ai sensi dell'articolo 102 del testo
unico delle imposte sui redditi (sottolineatura
aggiunta n.d.r.).
2. I valori risultanti dal bilancio relativo all'esercizio
o periodo di gestione anteriore a quello da cui si
ďĽ IN VIGORE
applicano le disposizioni del presente regolamento
sono riconosciuti ai fini delle imposte sui redditi a
Le disposizioni riguardanti i valori fiscali della
condizione che siano conformi a quelli derivanti
CFC sono ancora in vigore.
dall'applicazione dei criteri contabili adottati nei
precedenti esercizi o ne venga attestata la congruitĂ
da uno o piĂą soggetti che siano in possesso dei
requisiti previsti dall'articolo 11 del decreto
legislativo
27
gennaio 1992, n. 88. Gli
ammortamenti e i fondi per rischi ed oneri risultanti
dal predetto Decreto del 21/11/2001 n. 429 - Min.
Economia e Finanze Pagina 2 bilancio si considerano
dedotti anche se diversi da quelli ammessi dal testo
unico delle imposte sui redditi, approvato con
decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917, ovvero se eccedenti i limiti di
deducibilitĂ ivi previsti.
Articolo 3 - Imputazione e tassazione dei redditi
1. I redditi determinati ai sensi dell'articolo 2,
convertiti secondo il cambio del giorno di chiusura
ďĽ IN VIGORE
dell'esercizio o periodo di gestione dell'impresa,
societĂ o
ente
non residente, sono imputati al
148
soggetto residente che esercita il controllo, anche ai
Il comma 1 dell’articolo 3 è ancora in vigore e
sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 3), del
riguarda l’imputazione e tassazione dei
codice civile, in proporzione alla sua quota di
redditi.
partecipazione agli utili diretta o indiretta; tuttavia,
in caso di partecipazione indiretta per il tramite di
soggetti residenti o di stabili organizzazioni nel
territorio dello Stato di soggetti non residenti, i
redditi sono ad essi imputati in proporzione alle
rispettive quote di partecipazione.
2. I redditi imputati ai sensi del comma 1 sono
assoggettati a tassazione separata, da ciascun
ďĽ IN VIGORE
partecipante, nel periodo d'imposta in corso alla
data di chiusura dell'esercizio o periodo di gestione
dell'impresa, societĂ o ente non residente, con
La disposizione è ancora attuale. L’aliquota
l'aliquota media di tassazione del reddito
minima è pari all’aliquota IRES dell’anno di
complessivo netto e comunque non inferiore al 27
imposta in cui avviene la tassazione per
per cento
trasparenza (nel 2019 è il 24 per cento).
3. Dall'imposta determinata ai sensi del comma 2
sono ammesse in detrazione le imposte sui redditi
ďĽ IN VIGORE
pagate all'estero a titolo definitivo dall'impresa,
societĂ o ente non residente.
Anche la nuova CFC prevede il credito per le
imposte pagate dal soggetto controllato.
4. Gli utili distribuiti dall'impresa, societĂ o ente non
residente non concorrono a formare il reddito
ďĽ IN VIGORE
complessivo del soggetto partecipante per la quota
corrispondente
all'ammontare
dei
redditi
assoggettati a tassazione separata ai sensi del
La disposizione è in vigore in quanto
comma 2. In caso di partecipazione agli utili per il
compatibile con il comma 10 dell’articolo 167
tramite di soggetti non residenti, le disposizioni del
del TUIR come modificato dal Decreto
precedente periodo si applicano agli utili distribuiti
142/2018.
dal soggetto non residente direttamente
partecipato; a questi effetti, detti utili si presumono
prioritariamente formati con quelli conseguiti
dall'impresa, societĂ o ente residente o localizzato
nello Stato o territorio con regime fiscale privilegiato
che risultino precedentemente posti in distribuzione.
Le imposte pagate all'estero a titolo definitivo dal
soggetto partecipante, riferibili agli utili che non
concorrono alla formazione del reddito ai sensi dei
precedenti periodi, costituiscono credito d'imposta
nei limiti delle imposte complessivamente applicate
a titolo di tassazione separata, ridotte delle somme
ammesse in detrazione ai sensi del comma 3.
5. Il costo delle partecipazioni nell'impresa, societĂ
o ente non residente è aumentato dei redditi
ďĽ IN VIGORE
imputati ai sensi del comma 1, e diminuito, fino a
concorrenza di tali redditi, degli utili distribuiti.
La disposizione è coerente con il sistema della
tassazione dei redditi per trasparenza ed è
confermata per la nuova CFC.
149
6. In caso di controllo esercitato da un soggetto
non titolare di reddito di impresa i compensi ad
ďĽ IN VIGORE
esso spettanti a qualsiasi titolo concorrono a
formare il reddito complessivo nel periodo
La disposizione volta a regolare il trattamento
d'imposta in corso alla data di chiusura
fiscale dei compensi della CFC a soggetti
dell'esercizio o periodo di gestione dell'impresa,
controllanti non titolari di reddito d’impresa è
societĂ o ente non residente.
ancora in vigore, non contrasta con il decreto
legislativo 29 novembre 2018, n. 142.
7. Per i comportamenti posti in essere allo scopo
del frazionamento del controllo o della perdita
ďĽ IN VIGORE
temporanea dello stesso ovvero della riduzione dei
redditi imputabili, si applicano le disposizioni degli
La disposizione ha natura antielusiva e, di
articoli 37, terzo comma, e
37-bis del decreto delconseguenza, è in linea con le finalità del
Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n.
decreto legislativo 29 novembre 2018, n. 142.
600.
Il riferimento alla "interposizione dei redditi”
di cui all’articolo 37, comma 3, DPR 600/73 si
può considerare attuale. Al contrario, il
richiamo all’articolo
37-bis del DPR 600/73 vanecessariamente riferito alla disciplina
dell’abuso del diritto di cui all’articolo
10-bis legge n. 212 del 2000.
Articolo 4 - Dichiarazione e scritture contabili
1. Il soggetto controllante residente deve dichiarare
i redditi dell'impresa, societĂ o ente non residente in
ďĽ IN VIGORE
apposito prospetto allegato alla propria
dichiarazione dei redditi, agli effetti delle imposte
sui redditi dovute dai partecipanti.
Le disposizioni in materia di dichiarazione dei
2. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 2, il bilancio
redditi e scritture contabili sono ancora attuali
ovvero altro documento riepilogativo della
come si è avuto modo di chiarire.
contabilitĂ di esercizio redatti secondo le norme
dello Stato o territorio in cui risiede o è localizzata
l'impresa, la societĂ o l'ente non residente
costituisce parte integrante del prospetto di cui al
comma 1.
3. Le disposizioni dei commi precedenti non si
applicano se il soggetto che esercita il controllo ai
sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 3), del
codice civile o i soggetti da esso partecipati non
possiedono partecipazioni agli utili.
4. Su richiesta dell'Amministrazione finanziaria, il
soggetto controllante deve fornire, entro trenta
giorni, idonea documentazione dei costi di
acquisizione dei beni relativi all'attivitĂ esercitata
nonché delle componenti reddituali rilevanti ai fini
della determinazione dei redditi o delle perdite,
compresi i compensi di cui all'articolo 3, comma 6.
150
5.In caso di controllo esercitato da un soggetto non titolare di reddito di impresa interamente tramite una societĂ o un ente residente, le disposizioni del presente articolo si applicano a quest'ultimo soggetto.
Articolo 5 – Interpello
1.Ai fini del comma 5 dell'articolo
127-bis del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, l'interpello, corredato degli elementi necessari ai fini della disapplicazione della norma di cui al citato articolo127-bis, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 è rivolto alla Agenzia delle entrate - Direzione centrale per la normativa e il contenzioso, per il tramite della Direzione regionale per le entrate competente per territorio. 2. La risposta è resa con atto espresso, entro centoventi giorni, ovvero per le imprese già operanti nei Paesi di cui al citato articolo127-bis, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 entro centottanta giorni, decorrenti dalla data di consegna o di ricezione dell'istanza di interpello da parte dell'ufficio. Decorso il termine senza un atto espresso, la risposta si intende comunque resa positivamente nel senso della non applicazione delle disposizioni di cui all'articolo127-bis, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, al caso che forma oggetto dell'interpello.3.Ai fini della risposta positiva rileva in particolare, nei riguardi del soggetto controllante autore dell'interpello, il fatto che l'impresa, la società o l'ente non residente svolge effettivamente un'attività Decreto del 21/11/2001 n. 429 - Min. Economia e Finanze Pagina 4 commerciale, ai sensi dell'articolo 2195 del codice civile, come sua principale attività nello Stato o nel territorio con regime fiscale privilegiato nel quale ha sede, con una struttura organizzativa idonea allo svolgimento della citata attività oppure alla sua autonoma preparazione e conclusione, ovvero il fatto che i redditi conseguiti da tali soggetti sono prodotti in misura non inferiore al 75 per cento in altri Stati o territori diversi da quelli di cui all'articolo
127-bis, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi,XABROGATO
La disciplina dell’interpello a cui fa riferimento il DM 429 del 2001 non è più attuale a seguito della revisione della disciplina degli interpelli di cui al decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (cfr. Circolare 1 aprile 2016, n. 9/E).
Ăconfermata la possibilitĂ per il contribuente di interpellare l’Amministrazione finanziaria con riguardo alla disapplicazione della CFC (cfr. comma 5 dell’articolo 167 del TUIR). L’interpello CFC è considerato di tipo "probatorio” e, come tale, è facoltativo.
151
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, ed ivi sottoposti integralmente a tassazione ordinaria. Ai fini della medesima risposta positiva, nel caso di cui all'articolo 1, comma 1, ultimo periodo, del presente regolamento, rileva anche il fatto che i redditi della stabile organizzazione risultano sottoposti integralmente a tassazione ordinaria nello Stato o territorio in cui ha sede l'impresa, la societĂ o l'ente partecipato.
4.Fermo quanto disposto dai commi 1, 2 e 3 del presente articolo, si applica il decreto del Ministro delle finanze 26 aprile 2001, n. 209, recante regolamento concernente l'esercizio dell'interpello e l'obbligo di risposta da parte dell'Amministrazione finanziaria.
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ALLEGATO n. 4
Esempi dei documenti utili per la dimostrazione dell’esimente della disciplina CFC
-bilancio della società estera relativo all’esercizio cui l’istanza si riferisce, corredato, ove disponibile, della relativa certificazione. Nel caso in cui la redazione del bilancio di esercizio non sia prevista come obbligatoria ai sensi della legislazione dello Stato o territorio estero di localizzazione, tale documento contabile va, comunque, presentato ai fini in esame e, pertanto, redatto su base volontaria;
-prospetto descrittivo della struttura organizzativa e delle concrete modalitĂ operative della societĂ estera;
-contratti di locazione degli immobili adibiti a sede degli uffici e dell’attività ;
-contratti di lavoro dei dipendenti che indicano il luogo di prestazione dell’attività lavorativa e l’adeguatezza delle mansioni svolte in relazione alle funzioni esercitate e ai rischi assunti;
-conti correnti bancari aperti presso istituti locali;
-estratti conto bancari che diano evidenza delle movimentazioni finanziarie relative alle attivitĂ esercitate;
-copia dei contratti di assicurazione relativi a dipendenti e uffici;
-autorizzazioni sanitarie e amministrative relative all’attività e all’uso dei locali;
-prospetto con la composizione dell’organo amministrativo della società estera
(numero, identità e residenza degli amministratori, eventuali altre cariche dai medesimi ricoperte all’interno del gruppo e la loro idoneità all’attività svolta);
-copia delle fatture delle utenze elettriche e telefoniche relative agli uffici e agli altri immobili utilizzati, che siano rappresentative dei consumi effettuati nel periodo di imposta per il quale si chiede la disapplicazione della normativa CFC;
-descrizione delle operazioni, effettuate nel periodo di riferimento, con parti correlate.
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ALLEGATO n. 5
Esempi di documentazione utile per la dimostrazione dell’esimente della disciplina CFC – elementi specifici per l’attività di holding e altre attività finanziarie
-descrizione delle funzioni effettivamente esercitate dalla controllata estera, nonché degli asset utilizzati e dei rischi assunti. Gli asset, in particolare, vanno descritti in termini di rendimento, livello di rischio e liquiditĂ .
-indicazione del personale idoneo allo svolgimento delle funzioni e all’assunzione dei rischi;
-l’autonomia dell’organo decisionale. Tale autonomia potrebbe essere evidenziata, a titolo di esempio, attraverso i verbali del cda (in cui gli amministratori non si limitino a ratificare decisioni prese dalla capogruppo attraverso "shareholders resolution” unilaterali); il sistema di deleghe e i relativi poteri attribuiti al cda; la circostanza che gli amministratori non siano a loro volta dipendenti di società di mera "domiciliazione”; la qualificazione professionale e un livello di seniority degli amministratori coerente con le funzioni svolte, cosÏ come l’attribuzione di una remunerazione adeguata;
-descrizione dei rapporti
economico-finanziari della societĂ estera con le altre societĂ del gruppo, dove si specifichi, in particolare, la consistenza e la tipologia delle operazioni, attive e passive, poste in essere con le stesse nel periodo di riferimento;-indicazione dell’entitĂ delle componenti di reddito "tipiche” in relazione all’attivitĂ esercita dalla societĂ estera e confronto tra tale dato e quello ricavabile dal bilancio della controllante residente. A titolo esemplificativo, nella particolare ipotesi di societĂ estere svolgenti attivitĂ bancaria potrĂ essere fornita l’indicazione dell’incidenza percentuale del componente negativo tipico (svalutazioni su crediti e perdite su crediti) sull’asset tipico (crediti), nonché il confronto tra tale dato e il risultato dell’analogo rapporto
(svalutazione crediti / valore crediti evidenziati in bilancio) registrato dalla controllante residente. Qualora dal bilancio dell’istituto di credito estero
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emerga un valore di tale rapporto sensibilmente incongruo rispetto a quello risultante dal bilancio della controllante italiana, l’istante potrà dimostrare che tale incongruenza non costituisce indice di un indebito vantaggio fiscale, realizzato mediante l’insediamento nel territorio estero di una struttura artificiosa;
-analisi di bilancio della societĂ estera con evidenziazione degli indicatori di redditivitĂ del capitale proprio e di quello totale investito e confronto con quelli della controllante residente.
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ALLEGATO n. 6
Esempi di documentazione da produrre in sede di interpello presentato dalla holding per un intero gruppo rientrante nella disciplina CFC
-descrizione delle funzioni svolte dalla holding e dalle societĂ da essa partecipate, del legame economico - funzionale tra la holding estera e il socio residente di controllo, del legame economico - funzionale tra le partecipate estere, nonché degli obiettivi cui la particolare struttura del gruppo risponde;
-prospetto della struttura organizzativa del gruppo;
-descrizione delle concrete modalitĂ operative del gruppo e di ognuno dei soggetti ad esso appartenenti per i quali si chiede la disapplicazione della CFC rule;
-bilancio d’esercizio di ciascuna società partecipata, in lingua italiana o inglese, corredato di eventuale certificazione, dal quale sia possibile trarre evidenza dell’attività dalla stessa esercitata e della sua funzione nell’ambito del gruppo.
Nel caso in cui la redazione del bilancio di esercizio non sia prevista come obbligatoria ai sensi della legislazione dello Stato o territorio estero di localizzazione, tale documento va, comunque, presentato ai fini in esame e, pertanto, redatto su base volontaria secondo i locali principi contabili;
-ulteriori documenti indicati nell’ALLEGATO n. 4