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Risoluzione Agenzia Entrate n. 104 del 03.07.2001
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Problematiche applicative connesse al pagamento di dividendi esteri
Risoluzione Agenzia Entrate n. 104 del 03.07.2001Con nota del 7 giugno 2001, codesta Associazione ha sottoposto all'attenzione della scrivente alcune problematiche inerenti agli utili corrisposti dalle società ed enti non residenti di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 87 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR).
In particolare, è stato chiesto il parere in merito agli adempimenti connessi all'applicazione della ritenuta alla fonte prevista dall'articolo 27, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché in ordine alla spettanza e alle modalità di utilizzo del credito d'imposta per le imposte pagate all'estero ai sensi dell'articolo 15 del TUIR.
Viene innanzitutto chiesto se la base imponibile della prescritta ritenuta alla fonte sia costituita dall'importo dell'utile proveniente dall'estero, vale a dire dal dividendo depurato dall'eventuale ritenuta applicata all'estero nel Paese di residenza della società emittente (cosiddetto "netto frontiera"). Conseguentemente, ai fini della compilazione della certificazione dei dividendi che il soggetto che ha corrisposto gli utili deve rilasciare ai sensi dell'articolo 7-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, si chiede se sia corretta l'indicazione del dividendo al netto dell'eventuale ritenuta alla fonte applicata all'estero.Al riguardo, occorre premettere che, ai sensi dell'articolo 27, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, i sostituti d'imposta che intervengono nella riscossione di utili esteri sono tenuti ad operare una ritenuta alla fonte del 12,50 per cento a titolo d'acconto nei confronti delle persone fisiche residenti, in relazione a partecipazioni, qualificate o meno, non relative all'impresa a norma dell'articolo 77 del TUIR.
La medesima ritenuta è, invece, applicata a titolo d'imposta, nella misura del 12,50 per cento, nei confronti dei fondi d'investimento immobiliare di cui alla legge 25 gennaio 1994, n. 86, e nella misura del 27 per cento, nei confronti dei soggetti esenti dall'imposta sul reddito delle persone giuridiche.
Con riferimento ai fondi pensione, si ricorda che - per effetto delle modifiche apportate al citato articolo 27 del D.P.R. n. 600 del 1973, dal decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47, recante la riforma della previdenza complementare - i fondi pensione non subiscono più, a decorrere dagli utili distribuiti dal 1 gennaio 2001, la ritenuta sui dividendi ivi prevista. Tali fondi, infatti, sono soggetti ad un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell'11 per cento commisurata sul risultato netto di gestione alla cui formazione concorrono, tra l'altro, anche i predetti utili.
La ritenuta non si applica, altresì, sugli utili relativi a partecipazioni in società estere negoziate in mercati regolamentati immesse in gestioni di patrimoni individuali, per le quali sia stata esercitata l'opzione per il regime di tassazione di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461. In tal caso, l'intermediario che interviene nella riscossione dei dividendi esteri non è tenuto ad applicare alcuna ritenuta in quanto il dividendo concorre a formare il risultato della gestione assoggettato ad imposta sostitutiva nella misura del 12,50 per cento.
Come precedentemente ricordato, la ritenuta trova applicazione soltanto nei confronti delle persone fisiche residenti; pertanto, sugli utili attribuiti ai soggetti diversi dalle persone fisiche (quali, ad esempio, gli enti non commerciali, comprese le ONLUS, le società semplici ed i soggetti ad essi equiparati), la ritenuta non viene mai applicata e il dividendo deve essere incluso nella dichiarazione dei redditi. Per tale motivo, gli utili attribuiti a tali soggetti, conseguiti nell'ambito di gestioni individuali di portafoglio, non possono concorrere al risultato della gestione soggetto all'imposta sostitutiva, proprio perché l'opzione per l'applicazione del regime di cui al citato articolo 7 del d.lgs. n. 461 del 1997 ha effetto limitatamente a quei redditi che, se percepiti fuori dalla gestione, sarebbero stati assoggettati ad un prelievo definitivo - nonché per quei redditi per i quali il legislatore ha inteso prevedere espressamente il loro concorso alla determinazione del risultato della gestione.Ciò premesso, occorre specificare che la ritenuta del 12,50 per cento a titolo d'acconto sugli utili di fonte estera deve essere applicata, dal sostituto d'imposta che interviene nella riscossione, sull'importo dei dividendi al lordo dell'eventuali ritenute applicate nello Stato di residenza della società emittente.
Tale interpretazione trae fondamento dalla circostanza che la disposizione contenuta nel quarto comma dell'articolo 27 del D.P.R. n. 600 del 1973 pone in capo ai predetti intermediari l'obbligo di applicazione di una ritenuta, con obbligo di rivalsa, specificando che essa va commisurata agli "utili corrisposti" da società ed enti non residenti, prevedendo, in tal modo, che la base imponibile sia rappresentata dall'utile corrisposto dalle società estere e non quello riscosso dagli intermediari.
Inoltre, come più volte specificato nelle istruzioni alla compilazione delle dichiarazioni dei redditi, l'utile - ossia il reddito di capitale - da dichiarare, sempreché non sia stato già assoggettato a tassazione definitiva, è quello al lordo delle ritenute alla fonte subite sia per effetto di disposizioni italiane sia di disposizioni vigenti negli Stati esteri di provenienza del reddito.Codesta Associazione ha altresì chiesto chiarimenti in merito alle modalità di scomputo da parte dei contribuenti delle imposte pagate all'estero in via definitiva sui predetti dividendi. In particolare, è stato chiesto se a tali fini sia possibile attribuire validità fiscale alle informazioni contenute nella certificazione dei dividendi rilasciata dagli intermediari ai sensi dell'articolo 7-bis del D.P.R. n. 600 del 1973.
Al riguardo, premesso che sugli utili di fonte estera non spetta il credito d'imposta interno, ossia quello disciplinato dall'articolo 14 del TUIR, bensì il credito d'imposta per le imposte pagate all'estero, è utile precisare che:
1. tale credito d'imposta consiste nella detrazione dalle imposte dovute in Italia e risultanti dalla dichiarazione dei redditi, delle imposte pagate all'estero in via definitiva sui redditi ivi prodotti;
2. la detrazione spetta nei limiti in cui i redditi prodotti all'estero concorrono a formare il reddito complessivo dichiarato;
3. la detrazione spetta fino alla concorrenza della quota dell'imposta italiana corrispondente al rapporto fra i redditi prodotti all'estero e il reddito complessivo dichiarato;
4. la detrazione va richiesta, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo. Pertanto, se un reddito prodotto all'estero ha concorso a formare il reddito complessivo in un anno, ma detto reddito è stato tassato all'estero in via definitiva l'anno successivo, il credito d'imposta spetta nell'anno successivo.
In tal caso, tuttavia, è necessario calcolare il limite di spettanza, rappresentato dalle imposte italiane corrispondenti al reddito estero, sulla base degli elementi di reddito del precedente esercizio in cui il reddito ha concorso a formare il reddito complessivo.Ai fini del recupero delle imposte pagate all'estero in via definitiva si ritiene che possa essere validamente utilizzata la certificazione rilasciata dall'intermediario ovvero altra documentazione rilasciata dall'Autorità fiscale estera dalla quale tali imposte risultino pagate in via definitiva.
Il contribuente può, pertanto, riportare nella propria dichiarazione dei redditi l'importo indicato nella certificazione e, in particolare, nelle annotazioni di cui al punto 10 del modello approvato con D.M. 4 febbraio 1998.
Occorre tener presente, tuttavia, che in presenza di Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia, qualora il prelievo sia stato effettuato nell'altro Stato contraente in misura eccedente l'aliquota prevista dal Trattato, la maggiore imposta subita (vale a dire la differenza tra il prelievo effettivamente subito e l'aliquota convenzionale) non può essere recuperata attraverso il credito d'imposta, bensì mediante un'istanza di rimborso da presentare alle Autorità fiscali estere con le modalità e nei termini stabiliti dalla relativa legislazione.
Pertanto, nei casi in cui sia stata applicata un'aliquota in misura maggiore a quella convenzionale, la certificazione può essere utilizzata dal contribuente - senza ulteriori adempimenti - qualora in essa sia riportata non solo l'imposta effettivamente subita in via definitiva, ma anche l'aliquota di tassazione nella misura convenzionale che può essere recuperata in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.
Qualora la certificazione contenga tali informazioni, si ritiene che essa possa costituire valida documentazione che il contribuente è tenuto a conservare in luogo della distinta, così come specificato dalle istruzioni alle dichiarazioni dei redditi, contenente l'evidenza dello Stato o degli Stati di produzione del reddito e delle relative imposte pagate all'estero in via definitiva.