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Risoluzione Agenzia Entrate n. 112 del 09.04.2002
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Interpello n. 954-205/2001 dell'11 dicembre 2001- Articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n.212 - Istituto Superiore della Sanità. IRPEG - IVA
Risoluzione Agenzia Entrate n. 112 del 09.04.2002Con l'istanza di interpello di cui all'oggetto, concernente l'esatta applicazione dell'articolo 4 del DPR n. 633 del 1972 e degli articoli 88 e 108 del TUIR, è stato esposto il seguente
QUESITO
L'Istituto superiore della sanità, ente pubblico dotato di autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e contabile, chiede di conoscere il trattamento tributario applicabile ad alcune attività da esso svolte.
In particolare, chiede di conoscere il trattamento tributario, ai fini IRPEG, delle attività svolte dietro pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione.
Ai fini IVA chiede di conoscere il trattamento tributario delle attività svolte nella qualità di pubblica autorità.SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
Ai fini IRPEG l'Istituto superiore della sanità, dopo aver premesso di erogare prestazioni di servizi che rivestono prevalentemente carattere di funzione statale, decommercializzate in base a quanto disposto dall'articolo 88, comma 2, lettera a) del TUIR, ritiene che, per quanto riguarda la residuale attività commerciale, sia applicabile la disposizione di cui all'articolo 108, comma 1, secondo periodo del TUIR.
Ritiene, invece, "di natura commerciale, con le conseguenze di cui agli articoli 108 e seguenti del TUIR, unicamente le attività di prestazione di servizi esercitabili con strumenti di diritto privato."
Ai fini IVA, l'Istituto chiede di "convalidare il principio secondo cui, saranno ritenute escluse dal campo di applicazione dell'IVA le attività ed i servizi, anche a pagamento, posti in essere dall'Istituto nella qualità di autorità preposta alla cura di funzioni pubbliche e nell'esercizio di un potere amministrativo".PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
In via preliminare si osserva che l'art. 11 della legge 212 del 2000 afferma: "Ciascun contribuente può inoltrare circostanziate e specifiche istanze d'interpello concernenti l'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali".
Il decreto del Ministro delle finanze 26 aprile 2001 n. 209, nell'individuare i presupposti fondamentali dell'interpello, ribadisce che "l'istanza può essere prodotta dal contribuente interessato a conoscere l'applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali."
In assenza di detto requisito non si verificano gli effetti tipici dell'interpello, previsti dall'articolo 5 del suddetto decreto.
Pertanto l'interpello non costituisce un'attività di consulenza di carattere generale, ma un mezzo tramite il quale risolvere problemi specifici, formulati in modo circostanziato dall'istante. Nel caso in esame, poiché l'interpello riguarda alcune problematiche tributarie rappresentate in termini generali, esso difetta del requisito della concretezza espressamente richiesto dalla norma.
Ciò nonostante, si reputa opportuno esaminare nel merito la questione prospettata, rappresentando qui di seguito un parere che non è produttivo degli effetti tipici dell'interpello di cui all'articolo 11, commi 2 e 3, della legge 27 luglio 2000. n. 212.
L'articolo 87, comma 1, del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917, alle lettere b) e c) reca la nozione rispettivamente di ente commerciale e di ente non commerciale.
L'elemento che distingue le due tipologie di enti è costituito dalla circostanza di avere o meno quale oggetto esclusivo o principale lo svolgimento di un'attività di natura commerciale, intendendosi per tale l'attività che determina reddito d'impresa ai sensi dell'articolo 51 del TUIR.
Il successivo comma 4 dell'art. 87 afferma che "l'oggetto esclusivo o principale dell'ente residente è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale s'intende l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto".
L'articolo 88, comma 2, lettera a) del TUIR prevede che non costituisce esercizio di attività commerciale l'espletamento di funzioni statali da parte di enti pubblici. Nel presupposto che dette attività risultino prevalenti, la previsione di decommercializzazione recata dalla norma in esame consente di ricondurre gli enti pubblici destinatari della stessa tra gli enti non commerciali di cui all'articolo 87, comma 1, lett. c) dello stesso testo unico (circolare n. 244/E del 28 dicembre 1999).
Ciò premesso, nel caso in esame, si rileva che, ai sensi del DPR 20 gennaio 2001, n. 70 riguardante "Regolamento di organizzazione dell'Istituto superiore di sanità, a norma dell'articolo 9 del decreto legislativo 23 ottobre 1999, n. 419 " l'Istituto superiore della sanità, ente pubblico dotato di autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e contabile, è un organo tecnico-scientifico del servizio sanitario nazionale del quale il Ministero della salute, le regioni e tramite queste le Aziende sanitarie locali e le Aziende ospedaliere si avvalgono nell'esercizio delle attribuzioni conferite dalla vigente normativa. In particolare, l'ente svolge funzioni di ricerca, sperimentazione, controllo e formazione per quanto concerne la salute pubblica.
Ai sensi dell'articolo 17 del DPR n. 70 del 2001, l'Istituto provvede allo svolgimento delle funzioni istituzionali con i mezzi finanziari derivanti dal proprio patrimonio, dal contributo finanziario dello Stato, da contributi a carico del fondo integrativo speciale per la ricerca, (art. 1 comma 3 del decreto legislativo 5 giugno 1998, n. 204) dalle somme di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502, da contributi di enti nazionali o esteri, nonché dai proventi derivanti dagli accordi di programma, contratti e convenzioni stipulati con altre persone giuridiche pubbliche o private e da ogni altro provento connesso alla sua attività.
I riferimenti normativi richiamati consentono di affermare che l'ente, nell'espletamento dell'attività principale tramite la quale si propone di raggiungere lo scopo primario per il quale è stato istituito, esercita funzioni statali e, come tale, è destinatario della disposizione normativa recata dall'art. 88, co. 2, lett. a) del TUIR.
L'operata decommercializzazione dell'attività essenziale tramite la quale l'ente realizza gli scopi primari indicati dalla legge consente di ricondurlo nella categoria degli enti non commerciali.
Pertanto, come tra l'altro sostenuto dalla circolare n. 37/E del 2 maggio 1994, mentre le attività svolte dall'ente nell'esercizio di funzioni statali non sono assoggettate ad imposizione, "concorrono invece a formare il reddito complessivo dell'ente in argomento i redditi derivanti dalle attività svolte in regime di diritto privato, anche se connessi all'esercizio di funzioni statali, quali ad esempio le attività svolte sulla base di rapporti convenzionali o contrattuali."
Quanto sopra considerato, con riferimento a queste ultime attività, l'articolo 108, comma 1, secondo periodo del TUIR, stabilendo i criteri per la determinazione del reddito complessivo degli enti non commerciali, dispone che non costituiscono esercizio di attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell'articolo 2195 del codice civile rese in conformità alle finalità istituzionali, senza specifica organizzazione e dietro pagamento di corrispettivi non eccedenti i costi di diretta imputazione.
La previsione normativa prevede la non commercialità in presenza di tutte le condizioni menzionate. Pertanto l'attività deve necessariamente possedere, congiuntamente, i seguenti requisiti:
- L'attività non deve rientrare tra quelle elencate nell'articolo 2195 del codice civile, diversamente, infatti, essa verrebbe a configurare esercizio di attività commerciale, in conformità a quanto previsto dall'articolo 51 del TUIR;
- la prestazione di servizio deve essere conforme alle finalità istituzionali, intendendosi con tale locuzione, che essa deve perseguire comunque le finalità indicate nel provvedimento istitutivo dell'ente;
- l'attività deve essere svolta senza un'organizzazione predisposta appositamente per la sua gestione, vale a dire senza impiego di fattori produttivi organizzati in funzione dell'attività in esame;
- i corrispettivi non devono eccedere i costi di diretta imputazione, nel senso che i compensi corrisposti per la prestazione resa possono remunerare solo le spese sostenute e non devono rappresentare un utile per l'ente.
Pertanto, sulla base di quanto sopra, si ritiene che le attività rese da codesto istituto, diverse da quelle decommercializzate ai sensi del citato articolo 88, qualora rispettino tutte le condizioni enunciate, possono ritenersi destinatarie della disposizione recata dall'art. 108, 1 comma, secondo periodo del TUIR.
Per quanto concerne l'imposta sul valore aggiunto, ai fini del corretto inquadramento tributario delle attività rese da codesto ente in veste di pubblica autorità, ed in particolare per quanto attiene la sussistenza del presupposto soggettivo, si formulano le seguenti osservazioni.
E' soggetto passivo di imposta, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, n. 2) del DPR n. 633 del 1972, l'ente pubblico o privato che abbia per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali.
Qualora lo stesso ente non abbia per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole, "si considerano effettuate nell'esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di attività commerciali.....".
Inoltre, ai sensi dell'articolo 4, n.5 della VI Direttiva CE "Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche Autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni.
Se però tali enti esercitano attività od operazioni di questo genere, essi devono essere considerati soggetti passivi per dette attività od operazioni quando il loro non assoggettamento provocherebbe distorsioni di concorrenza di una certa importanza".
In merito al concetto di pubblica Autorità, la Corte di giustizia della comunità europea, con sentenza del 17 ottobre 1989, cause riunite nn. 231/87 e 129/88, ha affermato che la sua definizione non può essere fondata sull'oggetto o sul fine dell'attività dell'ente pubblico, già prese in considerazione da altre norme della Direttiva, ma occorre individuare il regime giuridico applicato in base al diritto nazionale.
Ne consegue, quindi, conclude la sentenza citata, che le attività esercitate in quanto pubbliche Autorità "sono quelle svolte dagli enti di diritto pubblico nell'ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in forza dello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati."
Da quanto sopra deriva che codesto ente dovrà ricondurre nell'ambito della categoria delle attività svolte in veste di pubblica Autorità quelle che costituiscono cura effettiva di interessi pubblici, poste in essere nell'esercizio di poteri amministrativi. La direttiva, infatti, sottrae all'applicazione dell'IVA solo le operazioni effettuate da soggetti pubblici nell'esercizio di funzioni di tipo autoritativo, non imprenditoriale.
Tuttavia, allorché dette attività possono essere svolte anche da privati, in concorrenza con codesto Istituto, si dovrà tener conto che il mancato assoggettamento non provochi distorsioni di concorrenza di una certa importanza. Invece sono da ricomprendere nelle attività commerciali quelle svolte mediante attività giuridica di diritto privato. Ciò si verifica ogniqualvolta l'ente agisce con strumenti di diritto comune e non attraverso l'esercizio di poteri amministrativi.