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Risoluzione Agenzia Entrate n. 279 del 12.08.2002
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Acquisto pro-soluto credito IVA futuro e compensazione tra debiti Tributari ante fallimento e crediti emergenti dalla procedura fallimentare - art. 5, c. 4ter del D.L. n. 70 del 1988 e art. 23. c. 1 e 2 del d.lgs. n. 472 del 1997.Interpello 954-197/2002 - articolo 11 legge 27 luglio 2000, n. 212
Risoluzione Agenzia Entrate n. 279 del 12.08.2002Con istanza d'interpello, presentata ai sensi dell'art. 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, la K Z S.p.A. ha esposto il seguente quesito, volto a conoscere l'esatta applicazione dell'art. 5, comma 4-ter del decreto legge 14 marzo 1988, n. 70, convertito nella legge 13 maggio 1988, n. 154, e dell'art. 23, commi 1 e 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472.
QUESITO
La K Z S.p.A. è una società operante nel settore della intermediazione finanziaria ed è interessata all'acquisto pro - soluto, da una società sottoposta a procedura concorsuale, di un credito IVA futuro.
Il credito oggetto di cessione, più precisamente, formatosi interamente nel corso della procedura fallimentare, non potrà essere chiesto a rimborso dal curatore fallimentare al momento della cessione, in quanto tale richiesta potrà essere avanzata soltanto in sede di presentazione della dichiarazione finale IVA.
Ciò premesso la società chiede se abbia efficacia nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria l'acquisto di un credito futuro, ossia di un credito che verrà ad esistenza soltanto con la richiesta di rimborso in sede di dichiarazione finale presentata a seguito di cessazione dell'attività.
Considerato inoltre che l'Amministrazione Finanziaria vanta crediti nei confronti della società fallita per somme iscritte a ruolo per tributi erariali e relativi accessori, regolarmente insinuati allo stato passivo del fallimento, l'istante chiede di conoscere se la stessa Amministrazione Finanziaria, dopo la chiusura della procedura concorsuale, possa compensare il debito precedente al fallimento con il credito, emergente dalla dichiarazione finale, chiesto a rimborso dal curatore.SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
La società istante ritiene che l'atto di cessione di credito "futuro" produca nei confronti dell'Amministrazione Finanziaria gli stessi effetti previsti dalla normativa civilistica. La giurisprudenza civilistica ha in proposito confermato l'efficacia obbligatoria di detta cessione, precisando che, in ogni caso, il perfezionamento di quest'ultima e il conseguente trasferimento del credito si verificano esclusivamente quando il credito stesso viene ad esistenza (Cass. Civ. sentenze n. 4040 dell'11 maggio 1990 e n. 8333 del 19 giugno 2001).
Da un punto di vista tributario, inoltre, l'istante sostiene che non possa essere considerata causa ostativa alla validità dell'atto di cessione il fatto che il credito (peraltro, già quantificabile) non sia ancora stato chiesto a rimborso nella dichiarazione annuale al momento della cessione, dato che tale circostanza comporta semplicemente il rinvio della piena efficacia della cessione al momento in cui il credito viene ad esistenza.
La società istante ritiene, altresì, che per l'Amministrazione Finanziaria sia interdetta la possibilità di compensare il debito precedente al fallimento con il credito emergente dalla procedura concorsuale, mancando il requisito della reciprocità tra i debiti e i crediti che si intendono compensare. L'istante osserva al riguardo come manchi nel caso di specie la condizione necessaria per l'operatività del meccanismo della compensazione, dal momento che i rapporti di credito - debito potenzialmente compensabili non solo si sono formati in tempi diversi della vita del fallito, ma intercorrono altresì tra soggetti diversi (Amministrazione Finanziaria - soggetto non ancora fallito; massa fallimentare - Amministrazione Finanziaria).PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
La richiesta della K Z S.p.A. non è riconducibile alla procedura di interpello di cui all'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212.
L'istanza di interpello è nella specie inammissibile, poiché la società istante non è in possesso di un interesse personale e diretto: l'interpello, a ben vedere, ha ad oggetto adempimenti gravanti sulla curatela fallimentare e solo indirettamente riguarda la società istante.
Difatti, il quesito riguarda la posizione fiscale della società sottoposta a procedura fallimentare e non della società istante, essendo quest'ultima esclusivamente interessata a verificare il grado di rischio insito nell'acquisto pro-soluto di crediti IVA vantati da procedure concorsuali nei confronti dell'Erario.
Ai sensi del comma 1 dell'articolo 11 della legge n. 212 del 2000 e dal comma 3 dell'art. 1 del D.M. n. 209 del 2001, nonché della circolare del 31 maggio 2001, n. 50, sono legittimati a presentare l'istanza di interpello, oltre al contribuente, i soggetti che in base a specifiche disposizioni di legge sono obbligati a porre in essere adempimenti tributari per conto dello stesso.
Ciò nondimeno, si reputa opportuno esaminare nel merito la questione prospettata, rappresentando qui di seguito un parere che non è produttivo degli effetti tipici dell'interpello di cui all'articolo 11, commi 2 e 3, della legge n. 212 del 2000, ma rientra nell'attività di consulenza giuridica da rendersi secondo le modalità illustrate con la circolare del 18 maggio 2000, n. 99.
Con riferimento alla questione riguardante la cedibilità o meno di un credito IVA futuro, si osserva che l'articolo 5, comma 4 ter, del d.l. n. 70 del 1988, nel disciplinare le garanzie da prestarsi a favore dell'Erario nel caso di imposta chiesta a rimborso, ha previsto implicitamente la cedibilità dei crediti IVA "risultanti dalla dichiarazione annuale".
Diversi documenti di prassi ministeriale hanno inoltre chiarito che ai fini fiscali possono essere oggetto di cessione esclusivamente i crediti risultanti dalla dichiarazione annuale IVA, richiesti a rimborso ai sensi dell'articolo 38-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e non quelli computati in detrazione nell'anno successivo ai sensi del disposto del comma 2 dell'articolo 30 del citato DPR n. 633, ed hanno altresì precisato le modalità di esecuzione dei rimborsi delle somme cedute (cfr. circolare n. 223 del 28 ottobre 1988; circolare n. 19 del 11 agosto 1993, paragrafo 2.10; circolare n. 192 del 8 luglio 1997; circolare n. 84 del 12 marzo 1998).
Dai dati prodotti nell'istanza emerge che il credito che nella fattispecie si intende cedere si è formato integralmente nel corso della procedura concorsuale, non essendo mai stato chiesto a rimborso (ma essendo stato, al contrario, computato in detrazione) nelle dichiarazioni relative agli anni precedenti.
La ratio delle interpretazioni che escludono la cessione del credito prima della sua indicazione nella dichiarazione annuale, consentendola solo nel caso in cui il medesimo sia chiesto a rimborso, risiede nella esigenza di certezza e trasparenza dei rapporti tributari tra il contribuente e l'Amministrazione. Prima che sia presentata la dichiarazione annuale, infatti, l'Amministrazione non può sapere se il credito formatosi negli anni precedenti e nell'esercizio in corso sia stato o meno utilizzato in compensazione di eventuali debiti tributari e previdenziali: il credito IVA spettante diviene, infatti, certo e definito solo al momento della sua esposizione in dichiarazione, cristallizzandosi nella scelta operata dal contribuente tra le alternative in proposito offerte dall'ordinamento (riporto del credito o richiesta di rimborso).
Dalle considerazioni che precedono emerge chiaramente come un atto che abbia per oggetto la cessione di un credito tributario futuro possa avere rilevanza puramente civilistica tra le parti, non producendo alcun effetto nei confronti dell'Amministrazione finanziaria.
In ordine alla ulteriore questione relativa alla compensabilità del debito tributario della società fallita con il credito maturato a favore della massa fallimentare in seguito alle operazioni compiute dalla curatela dopo la dichiarazione di fallimento, è necessario ricordare quali siano la natura e lo scopo dell'istituto civilistico del fallimento disciplinato dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e quali siano le conseguenze tributarie.
L'apertura di una procedura concorsuale ha quale presupposto sostanziale una situazione d'insolvenza dell'imprenditore che si trovi impossibilitato a far fronte regolarmente e puntualmente alle sue obbligazioni. La caratteristica della procedura è quella di avere portata generale, ovvero di essere prevista a tutela degli interessi di tutti i creditori del soggetto insolvente.
La procedura fallimentare presenta, infatti, le seguenti caratteristiche:
- investe tutto il patrimonio del fallito (cd. universalità del fallimento), il quale viene ad essere privato della disponibilità e dell'amministrazione del medesimo, che vengono affidate ad un organo (il curatore fallimentare) ausiliario di giustizia;
- si svolge nell'interesse di tutti i creditori del fallito che per vedere soddisfatte le proprie pretese devono presentare apposita domanda di insinuazione allo stato passivo del fallimento;
- si svolge d'ufficio, nel senso che a partire dal momento della dichiarazione di fallimento tutti gli atti sono compiuti d'ufficio.
La procedura è predisposta al fine principale di assicurare la parità di tutti coloro che concorrono al fallimento, prevedendo che tutti i creditori insinuatisi nello stato passivo della procedura vengano soddisfatti secondo un ordine normativamente stabilito (art. 111 del r.d. 267 del 1942).
L'Amministrazione Finanziaria, in quanto creditrice nei confronti del soggetto fallito per carichi pendenti antecedenti il fallimento, ha diritto (alla stregua degli altri creditori) ad insinuarsi al passivo, nella speranza di poter essere soddisfatta nel rispetto degli eventuali privilegi concessi alla categoria dei "crediti tributari".
Nell'ambito della procedura concorsuale il credito emergente dalla dichiarazione IVA finale, che il curatore presenterà una volta prodotta la dichiarazione di cessazione dell'attività ex articolo 35 del DPR 633 del 1972, ossia una volta concluse le operazioni rilevanti ai fini IVA (ancorché continuino ad esistere eventuali rapporti debitori e creditori come precisato dalla circolare n. 19 del 1993, dalla risoluzione n. 181 del 12 luglio 1995 e, da ultimo, dalla circolare n. 26 del 22 marzo 2002), è un credito destinato alla massa fallimentare cui l'Amministrazione partecipa per la propria quota.
Si ritiene, quindi, che non possa operare la compensazione fra il credito verso il fallito ed il debito verso la massa, poiché lo stesso art. 74-bis, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 633/72 distingue nettamente fra le operazioni effettuate anteriormente alla dichiarazione di fallimento e quelle successive all'apertura della procedura; in tale situazione infatti le posizioni del rapporto debitorio e del rapporto creditorio sono relative a soggetti diversi (fallito - massa fallimentare) e a momenti diversi rispetto alla dichiarazione di fallimento (anteriore il credito, posteriore il debito) con conseguente illegittimità della eventuale compensazione, fatta eccezione per l'ipotesi in cui il credito vantato dalla procedura derivi, per effetto del trascinamento, dall'attività del fallito precedente all'apertura della procedura concorsuale. In tale ultima ipotesi, peraltro, la compensazione potrà essere operata in misura comunque non superiore alla quota del credito vantato dalla procedura che effettivamente tragga origine dall'esercizio dell'impresa commerciale ante dichiarazione di fallimento.
La risposta di cui alla presente risoluzione, sollecitata con istanza d'interpello presentata alla Direzione regionale, viene resa dalla scrivente ai sensi dell'articolo 4, comma 1, ultimo periodo del DM 26 aprile 2001, n. 209.