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Risoluzione Agenzia Entrate n. 2 del 03.01.2005
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Effetti delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale sui rapporti tributari
Risoluzione Agenzia Entrate n. 2 del 03.01.2005La Direzione regionale del Lazio ha chiesto il parere della scrivente in merito al comportamento che gli uffici dell'Agenzia debbono tenere - in sede di autotutela, accertamento con adesione, contenzioso e conciliazione giudiziale - in relazione al trattamento fiscale delle plusvalenze derivanti dalla cessione di terreni edificabili pervenuti al venditore per successione o donazione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 328 del 9 luglio 2002.
Poiché il quesito, al di là della fattispecie concretamente esaminata, investe questioni giuridiche di generale rilevanza, si ritiene opportuno evidenziare quali effetti si producono sui rapporti giuridici tributari in conseguenza delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale.
Con la richiamata pronuncia, i giudici della Corte hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 82, comma 2 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 22 dicembre 1986 (nella formulazione previgente alle modifiche apportate con il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344), nella parte in cui non prevedeva che - per i terreni acquistati per effetto di successione e donazione - il valore dichiarato nelle relative denunce ed atti registrati, o in seguito definito e liquidato, assunto quale prezzo di acquisto ai fini della determinazione delle plusvalenze tassabili, fosse rivalutato in base alla variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati.
In ordine agli effetti della pronuncia della Corte costituzionale, il principio generale fissato dall'art. 136 della Costituzione e ribadito dall'art. 30 della legge 11 marzo 1953, n. 87, è nel senso che la legge dichiarata incostituzionale cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione - da effettuarsi nelle medesime forme stabilite per la pubblicazione dell'atto dichiarato costituzionalmente illegittimo - del dispositivo della decisione emessa dalla Corte costituzionale.
Detta regola vale con riguardo alle sentenze c.d. di accoglimento, cioè quelle che, riconoscendo la fondatezza della censura di incostituzionalità, espungono dall'ordinamento la norma non conforme al dettato costituzionale.
Nel caso di specie, è stata emessa una particolare pronuncia di accoglimento, ovvero una sentenza c.d. additiva (o manipolativa).
La sentenza additiva si caratterizza per la circostanza che, attraverso di essa, i giudici riconoscono l'illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui la stessa non contiene una certa previsione, che la Consulta espressamente enuncia.
Attraverso la pronuncia additiva, quindi, i giudici non si limitano a riconoscere la non conformità alla Costituzione della legge sottoposta al loro sindacato, ma provvedono di fatto anche a riscrivere la norma, integrandone il contenuto, per renderlo aderente al dettato costituzionale.
L'effetto prodotto dalla pronuncia additiva consiste quindi nel fatto che la norma "riscritta" dalla Corte deve essere riletta come se contenesse le parole aggiunte con la sentenza.
Gli effetti della deliberazione di accoglimento decorrono, come detto, dal giorno successivo alla sua pubblicazione.
Tali effetti si producono inoltre ex tunc, vale a dire anche relativamente ai rapporti sorti anteriormente alla declaratoria di illegittimità (efficacia c.d. retroattiva).
Come chiarito dalla Corte di cassazione, infatti, "la dichiarazione di illegittimità costituzionale, determinando la cessazione di efficacia delle norme che ne sono oggetto, impedisce, dopo la pubblicazione della sentenza, che le norme stesse siano comunque applicabili anche ad oggetti ai quali sarebbero state applicabili alla stregua dei comuni principi che disciplinano la successione delle leggi nel tempo" (Cass. civ., sez. I, sent. 24 giugno 1995, n. 7162).
Unico limite alla retroattività degli effetti della pronuncia è quello dei c.d. rapporti esauriti.
Per rapporti esauriti si intendono innanzitutto quelle situazioni "che sul piano processuale hanno trovato la loro definitiva e irretrattabile conclusione mediante sentenza passata in giudicato, i cui effetti non vengono intaccati dalla successiva pronuncia di incostituzionalità" (Corte Cost., sent. 7 maggio 1984, n. 139).
Poiché l'unica deroga espressa è quella disposta dall'art. 30 della citata legge n. 87 del 1953 per la materia penale, ne deriva che, in qualunque altro caso e come regola generale, il giudicato resiste alla sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale.
Analogamente, vengono considerati esauriti anche i rapporti rispetto ai quali sia decorso il termine di prescrizione o di decadenza stabilito dalla legge per l'esercizio dei diritti ad essi relativi (così, ad esempio, nei casi in cui sia decorso il termine di impugnazione di un avviso di accertamento oppure il termine previsto per presentare istanza di rimborso di imposte versate).
In tali ipotesi, ci si trova infatti dinanzi a situazioni non più contestabili in giudizio. In proposito, con riguardo alla materia tributaria, la giurisprudenza ha precisato che "...a) per rapporti esauriti devono intendersi quelli per cui sia intervenuto un giudicato o un atto amministrativo definitivo o, comunque, siano scaduti i termini concessi al contribuente per mettere in discussione la debenza dell'imposta; b) conseguentemente, gli effetti della dichiarazione d'incostituzionalità non operano in caso di pagamento eseguito in base ad iscrizione a ruolo, quando questa sia diventata definitiva, per mancata impugnazione entro il termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella esattoriale (art. 16 del d.P.R. 636/72), nonché, in caso di versamento diretto (autotassazione), quando non sia stata presentata domanda di rimborso all'intendente di finanza nel termine di diciotto mesi dal pagamento (art. 38 del d.P.R. 602/73)..." (Cass. civ., sez. I, sent. 28 maggio 1999, n. 5206; analogamente, Cass. civ., sez. V, sent. 6 agosto 2002, n. 11812).
In sostanza, la pronuncia di incostituzionalità "in tanto esplica effetti concreti nell'ordinamento, determinando l'inefficacia e, quindi, l'inapplicabilità della norma dichiarata incostituzionale (combinato disposto degli artt. 136 comma 1 Cost. e 30 comma 3 della legge n. 87 del 1953), in quanto la norma stessa sia, appunto, ancora 'applicabile' (ad es., sul piano giurisdizionale, quantomeno nel c.d. 'giudizio a quo'); e che, per converso, non li esplica, allorquando la norma illegittima non possa più essere applicata (sul piano amministrativo, giurisdizionale o dell'autonomia privata) in ragione del c.d. 'esaurimento' del rapporto giuridico dalla medesima regolato, come determinato, ad es., dal compimento del termine di prescrizione del diritto, dalla decorrenza del termine di decadenza o dalla formazione del giudicato, intervenuti prima della 'pubblicazione' della decisione di incostituzionalità..."(Cass. civ., sez. V, sent. 2 giugno 2000, n. 7339).
Tanto premesso, sarà cura delle strutture periferiche dell'Agenzia conformarsi ai suesposti principi nello svolgimento della propria attività, adottando gli opportuni provvedimenti - anche nell'esercizio della potestà di autotutela - diretti a dare immediata applicazione alle decisioni di accoglimento della Corte costituzionale, sempre che non siano sostenibili altre questioni.
Relativamente, infine, alle ipotesi in cui - anteriormente alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte costituzionale - si siano perfezionati i procedimenti di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale, la particolare natura dei predetti istituti e la ratio che ne ha ispirato l'introduzione nel sistema tributario inducono a ritenere che gli effetti di tali atti rimangano fermi.