-
Risoluzione Agenzia Entrate n. 157 del 17.04.2008
-
Interpello - art. 11 legge 27 luglio 2000, n. 212. Società in nome collettivo, eredi del socio - Applicazione dell'art. 5 del DPR 22 dicembre 1986, n. 917
Risoluzione Agenzia Entrate n. 157 del 17.04.2008Con l'interpello specificato in oggetto, concernente l'interpretazione dell'art. 5 del DPR n. 917 del 1986, è stato esposto il seguente
QUESITO
La società di persone istante chiede di sapere quale criterio deve adottare per la corretta imputazione del reddito prodotto nell'anno 2007, tenuto conto della compagine sociale venutasi a determinare a seguito della morte di uno dei soci, avvenuta il 9 febbraio 2007.
Il de cuius, che era socio della società interpellante nella misura del 10%, ha lasciato in eredità la sua partecipazione a cinque nipoti, suddivisa in quote del 2 per cento ciascuna.
Mentre i primi tre nipoti, essendo maggiorenni, hanno già accettato l'eredità, le famiglie degli ultimi due, alla data dell'istanza, non hanno ancora avviato la procedura di accettazione dell'eredità presso il Tribunale competente.
La società interpellante chiede di sapere con quale criterio deve essere imputato ai soci il reddito prodotto dalla società nell'anno 2007, in attesa che il Tribunale autorizzi l'accettazione per i nipoti minorenni delle quote della s.n.c. lasciate in eredità dal nonno.SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L'interpellante è dell'avviso che, non potendo i nipoti ancora minori assumere la qualità di socio della s.n.c. fino alla legittima accettazione dell'eredità, che può avvenire con la maggiore età oppure con l'intervento del Giudice naturale, il reddito in questione vada imputato esclusivamente al socio superstite e ai nipoti maggiorenni che, alla data del 31 dicembre 2007, hanno già accettato l'eredità in questione.PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
L'articolo 5, comma 1, del DPR n. 917 del 1986 (di seguito TUIR), stabilisce che "i redditi delle società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili".
L'amministrazione finanziaria con nota n. .... del .... ha chiarito che, nell'ipotesi in cui muti in corso d'anno la compagine sociale delle società di persone e assimilate, il reddito prodotto deve essere riferito esclusivamente ai soci che rivestono tale qualifica alla chiusura del periodo d'imposta. Tale interpretazione è stata confermata anche dalla giurisprudenza di Cassazione secondo cui il reddito deve essere imputato ai soci che risultano tali alla fine del periodo di imposta (cfr. Corte di Cassazione nn. 8423 del 15.10.94 e 19238 del 16.12.03).
Si ritiene, pertanto, che la soluzione al problema prospettato dall'istante debba muovere dalla verifica dei soggetti che potevano definirsi soci alla chiusura del periodo d'imposta 2007, verifica che non può prescindere dall'esame dei principi civilistici che regolano lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio per causa di morte, nonché l'accettazione dell'eredità da parte di soggetti minori di età.
In merito, l'art. 320 del codice civile stabilisce che i genitori non possono accettare o rifiutare eredità o legati senza la preventiva autorizzazione del Giudice tutelare, mentre l'articolo 2284 del codice civile dispone che, in mancanza di una diversa determinazione del contratto sociale, quando muore uno dei soci, "gli altri devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano".
L'accettazione dell'eredità del de cuius comporta, quindi, solo il diritto alla liquidazione della proporzionale quota del capitale sociale spettante e non da diritto a subentrare nella società al posto del defunto, in quanto il rapporto sociale non si trasmette mortis causa. (Cass. sez. I, 14 marzo 2001, n. 3671)
Nel disciplinare le conseguenze derivanti dalla morte di un socio, il legislatore ha rimesso, infatti, alla volontà dei soci superstiti la scelta che possa risultare più idonea a soddisfare il loro interesse.
Quest'ultimi, dunque, anziché procedere alla liquidazione della quota o allo scioglimento della società, possono ritenere più opportuna la continuazione della società con gli eredi del socio defunto.
L'immissione nella società degli eredi del socio premorto è condizionata, dunque, al loro stesso consenso, poiché l'intuitus personae che caratterizza le società di persone non consente che entrino a far parte delle stesse gli eredi senza il consenso dei soci superstiti e, d'altra parte, non permette che si prescinda dalla volontà degli eredi stessi (Cass. civile, sent. 9 novembre 1962, n. 3104; Cass., sent. 16 luglio 1976, n.2815; Cass. civile, sez. II, sent. 16 dicembre 1988, n. 6849). Pertanto, "... l'erede del socio defunto diventa socio non iure successonis, ma ad opera di un accordo che è atto inter vivos: accordo che - come noto- non richiede forma scritta e può risultare anche da fatti concludenti" (Cass. sent. n. 6849 del 16.12.1986)
Quando nell'asse ereditario sono presenti soggetti minori, o comunque incapaci, l'accordo finalizzato a continuare il rapporto societario è subordinato, inoltre, alla richiesta e all'ottenimento dell'autorizzazione da parte del Tribunale, come espressamente previsto dall'articolo 2294 codice civile.
La disposizione contenuta nell'articolo 2294 è finalizzata, come è ovvio, a tutelare gli incapaci contro eventuali rischi in cui essi potrebbero incorrere per l'assunzione di una responsabilità illimitata nella gestione di un'impresa commerciale.
Gli effetti della normativa fiscale che disciplina l'imputazione del reddito di partecipazione devono, pertanto, essere valutati con riferimento al verificarsi di ambedue le condizioni previste dalla norma civilistica affinché gli eredi possano assumere la qualità di soci al posto del socio defunto: gli altri eredi devono accettare l'ingresso dei nuovi soci e il tribunale deve rilasciare l'autorizzazione alla continuazione del rapporto societario.
Nel caso prospettato, atteso che alla data di presentazione dell'istanza (13 dicembre 2007) ancora non era stata chiesta al giudice tutelare l'autorizzazione per l'accettazione dell'eredità, né era stata avviata presso il tribunale competente la procedura per l'autorizzazione alla continuazione del rapporto societario, si deve ritenere che gli eredi minori del socio defunto al 31 dicembre 2007 non siano subentrati ancora nella posizione sociale del dante causa e che, pertanto, a tale data la compagine sociale risulti composta esclusivamente dal socio superstite e dagli eredi maggiorenni. Ne consegue, conformemente al parere reso dalla Direzione regionale, che ai fini degli adempimenti di cui all'art. 5 del TUIR, il reddito di partecipazione dovrà essere imputato per intero e proporzionalmente ai soci che rivestono tale titolo al 31 dicembre 2007, senza tener conto degli eventuali altri eredi. In tal caso, la successiva autorizzazione del Tribunale che, con efficacia retroattiva consentirà ai minori la continuazione del rapporto societario, produrrà effetti civilistici, inerenti ai rapporti tra le parti, ma non produrrà effetti sugli obblighi di natura fiscale i cui termini siano ormai decorsi. Ne consegue che l'eventuale distribuzione in periodi di imposta successivi di utili accantonati in apposita riserva, conseguente all'intervenuta autorizzazione del Tribunale, non produrrà effetti di natura fiscale, essendo stato il reddito già imputato, ai sensi dell'art. 5 del TUIR, ai soci che risultano tali al 31 dicembre 2007.
La risposta di cui alla presente nota sollecitata con istanza d'interpello presentata alla Direzione regionale viene resa dalla scrivente ai sensi dell'art. 4, comma 1, ultimo periodo del D.M. 21 aprile 2001, n. 209.
Le Direzioni Regionali vigileranno affinché i principi enunciati nella presente risoluzione vengano applicati con uniformità.