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Circolare Agenzia Entrate n. 49 del 30.05.2001
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Imputazione del disavanzo di fusione ad avviamento - Deducibilità delle quote annuali di ammortamento - Sentenze Corte di Cassazione, V sezione, 24 luglio 2000, nn. 9663 e 9666 e 13 novembre 2000, n. 14687 - Controversie pendenti
Circolare Agenzia Entrate n. 49 del 30.05.2001La Corte di Cassazione, con alcune recenti pronunce, è ripetutamente intervenuta, con orientamento univoco, sul trattamento fiscale del disavanzo da annullamento derivante da operazioni di fusione per incorporazione.
La Suprema Corte ha, in particolare, statuito che la società incorporante può iscrivere in bilancio il disavanzo da annullamento a titolo di avviamento deducendo legittimamente le relative quote annuali di ammortamento. Ciò sia ai sensi e nel vigore dell'art. 16, secondo comma, del D.P.R. n. 598 del 1973 sia ai sensi delle disposizioni recate dall'art. 123 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (cfr. Cass. V sez. trib., 24 luglio 2000, nn. 9663 e 9666 e 13 novembre 2000, n. 14687).
Preliminarmente va ricordato che, nella fusione per incorporazione, la preesistenza di una partecipazione della società incorporante nella incorporata può determinare, con l'annullamento della partecipazione e l'eliminazione della corrispondente quota del patrimonio netto contabile dell'incorporata, l'emergere nel bilancio unificato di una posta differenziale che si colloca nell'attivo se, tra i due valori, quello della partecipazione è superiore (disavanzo), nel passivo se è inferiore (avanzo).
Al riguardo appare opportuno riassumere l'evoluzione normativa che ha caratterizzato la fattispecie in esame.
L'art. 16, secondo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, stabiliva, al secondo periodo, che, nelle operazioni di fusione, "Delle plusvalenze iscritte in bilancio non si tiene tuttavia conto agli effetti dell'art. 12 - ossia nella determinazione del reddito imponibile - fino a concorrenza della differenza tra il costo delle azioni o quote delle società incorporate annullate per effetto della fusione ed il valore del patrimonio netto delle società stesse risultante dalle scritture contabili". In pratica era consentito il riconoscimento, in esenzione di imposta, dei maggiori valori iscritti in bilancio a fronte di un disavanzo da annullamento.
Con l'entrata in vigore del TUIR la fattispecie ha trovato disciplina nell'art. 123, comma 2, che, peraltro, ha subito una particolare evoluzione.
Nella sua formulazione originaria, la citata disposizione stabiliva che nella determinazione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante non si tiene conto "...........delle plusvalenze dei beni delle società fuse o incorporate, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento, iscritte in bilancio in luogo e fino a concorrenza del disavanzo". Nel testo riformulato dall'art. 7, sesto comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67, in modo sostanzialmente identico al previgente art. 16 del DPR n. 598 del 1973, venne eliminata l'espressione "comprese quelle relative alle rimanenze e il valore di avviamento", facendo riferimento, senza alcuna delimitazione, alle plusvalenze iscritte, per cui si pose il problema se le plusvalenze afferenti al magazzino e il valore di avviamento potessero parimenti essere utilizzati per la copertura del disavanzo da fusione.
La questione è stata oggetto di vivace dibattito cui ha preso parte anche il SECIT che ha sostenuto la tesi della non iscrivibilità in franchigia fiscale dell'avviamento.
In sintesi il SECIT ammetteva l'utilizzazione del disavanzo unicamente per rivalutare elementi patrimoniali specificamente individuati, diversi dai beni merce, e non anche per iscrivere poste che, come l'avviamento, interessavano trasversalmente e globalmente l'intera azienda.
A supporto della propria tesi, richiamava il disposto dell'art. 2427 del codice civile (art. 2426, n. 6, successivamente alla riforma introdotta dal d. lgs. 9 aprile 1991, n. 127), secondo cui "L'avviamento può essere iscritto nell'attivo del bilancio soltanto quando è stata pagata una somma a tale titolo nell'acquisto dell'azienda alla quale si riferisce", circostanza che normalmente non ricorrerebbe nel caso di fusione o di incorporazione di società. Richiamava, altresì, l'evoluzione registrata dall'art. 123, comma 2, del TUIR e, in particolare, l'eliminazione, nel testo riformulato dall'art. 7 della legge n. 67 del 1988, dell'espressione "comprese quelle - le plusvalenze - relative alle rimanenze e il valore di avviamento".
Successivamente la legge 23 dicembre 1994, n. 724, invertì radicalmente la precedente impostazione introducendo espressamente il principio della totale irrilevanza fiscale del disavanzo da annullamento.
L'art. 27, comma 1, stabiliva, infatti, che "Le fusioni e le scissioni di società sono, agli effetti delle imposte sui redditi, neutrali.
Conseguentemente, il disavanzo di fusione e di scissione non è utilizzabile per iscrizioni di valori in franchigia d'imposta, a qualsiasi voce, forma o titolo operate".
Poiché tale disposizione, ai sensi del successivo comma 2, si rendeva applicabile alle operazioni deliberate a partire dal 14 gennaio 1995, data di entrata in vigore della legge, con l'art. 21, comma 1, primo periodo, del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito nella legge 22 marzo 1995, n. 85, venne introdotta una disciplina transitoria in forza della quale i maggiori valori iscritti in bilancio, per effetto dell'imputazione dei disavanzi da annullamento derivanti da operazioni di fusione o scissione deliberate anteriormente al 14 gennaio 1995, si consideravano fiscalmente riconosciuti, dietro pagamento di una somma pari al venti per cento del corrispondente ammontare, ferma restando l'applicazione del previgente regime tributario nel caso in cui il contribuente non si fosse avvalso di tale beneficio.
Infine, con l'art. 6 del d. lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, il legislatore è nuovamente intervenuto in materia e, adottando una soluzione intermedia rispetto alle precedenti impostazioni, ha consentito il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell'imputazione del disavanzo da annullamento subordinatamente all'applicazione dell'imposta sostitutiva del 27% (ridotta al 19% dall'art. 6, comma 1, lettera a), della legge 21 novembre 2000, n. 342); al tempo stesso ha esonerato la società incorporante dal pagamento dell'imposta relativamente ai maggiori valori iscritti o alla parte degli stessi scaturenti da plusvalori già in precedenza assoggettati a tassazione, sempreché ne sia data idonea documentazione. In altre parole è stata prevista, in ipotesi tassativamente indicate, la possibilità di ribaltare sui beni dell'incorporata il maggior costo derivante dall'acquisto delle partecipazioni annullate.
Ciò premesso, si fa presente che gli Uffici finanziari, sulla base delle istruzioni contenute nella circolare della Direzione Generale delle Imposte Dirette n. 16 dell' 8 maggio 1984, hanno proceduto, relativamente alle operazioni deliberate prima del 14 gennaio 1995 per le quali i contribuenti non avessero fatto ricorso alla normativa transitoria di cui al D.L. n. 41 del 1995, al disconoscimento ai fini fiscali dell'avviamento iscritto mediante utilizzo del disavanzo derivante dall'annullamento della partecipazione nella società incorporata e al conseguente recupero a tassazione delle relative quote di ammortamento.
La Corte di Cassazione ha, di contro, riconosciuto la legittimità dell'iscrizione in bilancio a titolo di avviamento del disavanzo e la conseguente deducibilità dal reddito imponibile delle relative quote annuali di ammortamento, sempreché l'operazione non si configuri come elusiva ai sensi dell'art. 10 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, che, come è noto, ha consentito all'Amministrazione finanziaria la possibilità di disconoscere i vantaggi fiscali conseguiti in operazione di fusione, concentrazione, trasformazione e scorporo e riduzione di capitale poste in essere senza valide ragioni economiche ed allo scopo esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio di imposta. Tanto si desume da Cass. sez. V trib., sent. nn. 9663 e n. 9666 del 24 luglio 2000.
Nelle citate sentenze il giudice di legittimità ha, infatti, affermato "con riguardo all'incorporazione di una società di capitali le cui azioni o quote siano detenute dall'incorporante, che questa, annullando le azioni o quote medesime, ha facoltà di recuperare contabilmente il maggior costo di esse rispetto al minore valore di libro del patrimonio netto dell'incorporata, ove la relativa divergenza dipenda dall'avviamento dell'azienda dell'incorporata stessa, iscrivendo nell'attivo del bilancio (o del conto economico) una corrispondente posta di avviamento, senza con ciò incorrere in un incremento del reddito tassabile, ai sensi e nel vigore dell'art. 16, comma 2, del D.P.R. n. 598 del 1973 (e successivamente dell'art. 123, comma 2, del D.P.R. n. 917 del 1986), e può inoltre detrarre dall'imponibile quote annuali di ammortamento del valore di avviamento, a norma dell'art. 69, comma 3, del D.P.R. n. 597 del 1973 (e successivamente dell'art. 68, comma 3, del D.P.R. n. 917 del 1986), se l'onerosità dell'acquisizione di tale avviamento sia in sé evidenziata dalla contestualità o comunque prossimità nel tempo dell'incorporazione rispetto all'acquisto di dette partecipazioni, ovvero, in ipotesi di soluzione di continuità fra le due operazioni, sia dimostrata la riferibilità di parte del prezzo pagato per quelle azioni o quote all'avviamento poi incamerato con la fusione".
Tale indirizzo interpretativo è stato successivamente confermato dalla sentenza n. 14687 del 13 novembre 2000 della stessa sezione tributaria. In particolare, in tale pronuncia è stata, in primo luogo, ribadita la legittimità civilistica della iscrizione dell'avviamento, evidenziandosi che nella fusione per incorporazione non può escludersi a priori che una parte del prezzo pagato per l'acquisto della partecipazione della società incorporata, da parte della società incorporante, sia effettivamente imputabile al valore di avviamento. Per quanto riguarda, invece, il profilo fiscale, la Cassazione ha ritenuto che l'eliminazione dall'art. 123, comma 2, del TUIR del riferimento specifico al valore di avviamento, fra le plusvalenze che possono essere iscritte in bilancio in franchigia di imposta, è compensato dalla contestuale eliminazione anche dello specifico riferimento ai singoli beni della società con la conseguenza, affermano i giudici, che il termine plusvalenza ha riacquistato tutta la sua espansione semantica, comprensiva anche dei valori di avviamento. In conclusione, anche secondo quanto sostenuto nella sentenza n. 14687 del 2000, acclarata la legittimità civilistica e fiscale dell'iscrizione di una posta di bilancio a titolo di avviamento, mediante utilizzo del disavanzo di fusione per incorporazione, sono correttamente appostate nel conto economico e fiscalmente detraibili le relative quote di ammortamento.
Ciò posto, preso atto dell'orientamento interpretativo, più volte ribadito, dalla Corte di Cassazione e tenuto conto delle considerazioni espresse dall'Avvocatura Generale dello Stato con nota n. 7464 del 24 gennaio 2001, si ritiene necessario abbandonare i giudizi instaurati al solo fine di sostenere in via astratta la non utilizzabilità del disavanzo contabile di fusione per iscrivere ex novo un valore di avviamento ammortizzabile.
L'opportunità di continuare il giudizio e di proporre ricorso per cassazione dovrà essere valutata caso per caso quando:
a) in concreto, tempestivamente e con adeguata documentazione, siano state trattate questioni relative alla veridicità ed effettività dell'asserito costo delle azioni o quote poi annullate;
b) si discuta dell'interpretazione ed applicazione del citato art. 10 della legge 29 dicembre 1990, n. 408 o di fusione rogitata successivamente all'entrata in vigore della legge n. 724 del 1994;
c) gli atti societari posti in essere per la fusione siano civilisticamente irregolari o comunque inidonei a produrre gli effetti desiderati dagli operatori;
d) si discuta dell'utilizzazione del disavanzo contabile di fusione per attribuire a rimanenze in titoli maggiori valori, specie se questi a loro volta danno luogo ad ulteriori disavanzi contabili di fusione;
e) l'operazione sia connotata da altre particolarità che inducano a ritenere sostenibili la rettifica e la pretesa tributaria, sempreché in concreto tempestivamente rilevate e documentate.
Ai fini della esplicazione delle attività processuali per l'abbandono delle controversie, gli uffici si atterranno scrupolosamente alle istruzioni impartite con la circolare n. 138/E del 15 maggio 1997.