Deducibilità di costi e spese riconducibili a fatti, atti o attività illecite. Art. 2, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289
Circolare Agenzia Entrate n. 42 del 26/09/2005
L'art. 2, comma 8, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003) ha introdotto il comma 4-bis nell'art. 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537. Tale disposizione risulta, pertanto, così modificata:
"4. Nelle categorie di reddito di cui all'art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. I relativi redditi sono determinati secondo le disposizioni riguardanti ciascuna categoria.
4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all'art. 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti."
L'art. 14, comma 4, della legge n. 537 del 1993 ha disciplinato l'imponibilità, ai fini delle imposte dirette, dei redditi derivanti da fatti, atti o attività che costituiscono illeciti civili, penali o amministrativi, da determinarsi secondo le ordinarie regole del testo unico delle imposte sui redditi (cd. TUIR, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dal decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344).
Il comma 4-bis introdotto dalla legge finanziaria 2003, in deroga a tali regole, esclude la deducibilità dei costi e delle spese riconducibili ai comportamenti illeciti, ma solo nel caso in cui gli stessi integrino gli estremi di un reato.
In sostanza, ferma restando l'imponibilità dei proventi derivanti da attività illecite, i relativi costi e spese seguono un regime fiscale differente in relazione alla tipologia di illecito: essi sono deducibili secondo le regole ordinarie, se riconducibili ad illeciti civili o amministrativi, sono indeducibili nel caso di illeciti penalmente rilevanti.
Il legislatore, quindi, inserendo il comma 4-bis nell'art. 14 citato, ha inteso ulteriormente specificare le modalità di tassazione dei proventi derivanti da attività illecite, ma solo con riferimento agli illeciti penalmente rilevanti.
In tale ottica la disposizione in commento, pur se collegata ad una norma a carattere interpretativo come quella del comma 4 dell'art. 14, deve essere considerata innovativa, per diversi ordini di motivi.
Anzitutto si osserva che il comma 4 dell'art. 14, per la determinazione dei redditi derivanti da attività illecite, richiama le disposizioni riguardanti le diverse categorie di reddito, comprese quelle relative alle modalità di deduzione dei costi e delle spese di produzione del reddito. Ne consegue che il comma 4-bis in esame introduce una deroga al principio espresso dal precedente comma 4, piuttosto che fornire una particolare interpretazione dello stesso.
La disposizione, inoltre, non ha il medesimo ambito applicativo del comma 4, che concerne in generale i proventi derivanti da illeciti di qualsiasi natura, ma riguarda solo gli illeciti penalmente rilevanti.
Essa, infine, si caratterizza per un intento indirettamente sanzionatorio dell'attività illecita, per cui una sua valenza retroattiva contrasterebbe anche con i principi costituzionali.
In definitiva si ritiene che la norma, in quanto innovativa, trovi applicazione solo in relazione ai costi ed alle spese sostenuti a partire dal 1 gennaio 2003, data di entrata in vigore della legge n. 289 del 2002.
Ciò premesso, si osserva come la disposizione in commento si renda applicabile in particolare in sede di determinazione del reddito d'impresa e di lavoro autonomo e, in generale, con riferimento a quelle fattispecie reddituali per le quali la norma tributaria prevede la deducibilità delle spese specificamente inerenti la produzione del reddito.
Con riferimento al reddito d'impresa - ma le considerazioni che seguono possono avere valenza generale - si ricorda che costi e spese sono deducibili secondo i principi ordinari, tra cui quello dell'inerenza, stabiliti dall'art. 109 del TUIR.
In tale contesto, quindi, la norma vieta la deducibilità di costi e spese comunque inerenti all'attività e funzionali alla produzione dei relativi proventi, nel caso in cui l'attività nel suo complesso ovvero il singolo atto o fatto illecito costituisca un illecito penalmente rilevante.
Atteso che la norma fa riferimento a costi e spese "riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato", nel caso in cui l'illiceità coinvolga la complessiva attività esercitata dal contribuente, l'indeducibilità riguarderà tutti i costi e le spese sostenuti in relazione all'attività stessa; diversamente nel caso in cui l'illiceità coinvolga solo uno o più "fatti o atti" nell'ambito della propria attività lecita, l'indeducibilità riguarderà sia i costi e le spese a questi specificamente afferenti, sia una quota dei costi riconducibili all'attività in generale ossia comuni a più fatti o atti, alcuni leciti e altri illeciti. In tale ultima ipotesi, la quota indeducibile dovrà essere determinata con criteri di proporzionalità in relazione alla fattispecie esaminata.
Si veda il caso di un'attività manifatturiera che utilizza lavoratori non regolari; il costo delle retribuzioni di tali lavoratori non può essere dedotto in quanto riconducibile ad un'attività qualificabile come reato, anche se l'impresa in sé non è illecita.
Un altro caso potrebbe essere la vendita di beni commerciabili ma acquistati in violazione delle norme doganali sull'importazione o di provenienza furtiva. La commercializzazione di questi beni è in sé attività lecita ma i costi sono indeducibili in quanto riconducibili ad attività qualificabili come reato, quali il contrabbando o la ricettazione.
Si ritiene, inoltre, che la norma debba trovare applicazione anche nel caso in cui i proventi derivanti dall'attività illecita siano sottoposti a sequestro o confisca penale.
In tali ipotesi il comma 4 dell'art. 14 prevede che i proventi non siano imponibili. I costi e le spese riconducibili a tali proventi, mancando il requisito dell'inerenza a proventi imponibili, non possono essere dedotti dai proventi derivanti da altre attività lecite o illecite esercitate dal contribuente non sottoposti a sequestro o confisca penale. Inoltre, nel caso in cui l'intera attività esercitata dal contribuente rilevi come illecito penale e tutti i proventi siano sottoposti a sequestro o confisca, la deducibilità dei costi e delle spese in regime di impresa determinerebbe, per assurdo, una perdita fiscale riportabile.
Si ritiene, inoltre, che l'indeducibilità recata dalla norma consegua già alla trasmissione al pubblico ministero della notizia di reato a carico del contribuente, come previsto dagli articoli 331 e 347 del codice di procedura penale. Ai sensi dell'art. 335, il pubblico ministero provvede immediatamente all'iscrizione della notizia di reato e del nome della persona alla quale il reato è attribuito nell'apposito registro. Nel caso di società, enti o associazioni, ovviamente, occorre fare riferimento alla denuncia di reato a carico degli amministratori o dei legali rappresentanti.
La norma, infatti, nella sua formulazione, fa riferimento a fattispecie anche solo potenzialmente "qualificabili" come reato e non richiede che il fatto penalmente rilevante sia oggetto di una azione penale già avviata o sia già stato accertato con sentenza di condanna.
In sostanza, gli uffici finanziari, nell'esercizio degli ordinari poteri di accertamento, potranno recuperare a tassazione i costi dedotti in violazione della norma in commento, sempre con riferimento ai costi sostenuti a partire dal 1 gennaio 2003 e riconducibili a reati in relazione ai quali sia stata trasmessa al p.m. la notizia di reato ai sensi dei citati articoli 331 e 347 del c.p.p..
Dal canto suo il contribuente, per evitare l'accertamento degli uffici, dovrà procedere ad una variazione in aumento del reddito imponibile in relazione a detti costi.
Nel caso in cui, a conclusione delle indagini preliminari il giudice disponga l'archiviazione della notizia di reato, o nella diversa ipotesi in cui, esercitata l'azione penale, il procedimento si chiuda con una sentenza definitiva di proscioglimento o di assoluzione dell'imputato, verrà meno il presupposto per il recupero a tassazione dei predetti costi. Su richiesta del contribuente o nell'esercizio dei poteri di autotutela, gli uffici finanziari potranno, quindi, disporre per la parte interessata l'annullamento degli atti di accertamento già compiuti ed il rimborso delle maggiori imposte eventualmente versate dal contribuente.
L'indeducibilità dei costi disposta dalla norma resta ferma, viceversa, in tutti i casi in cui il giudice emette una sentenza penale di condanna o provvedimento ad essa equiparato in esito ai procedimenti speciali di cui al Libro VI del c.p.p., articoli 438 e seguenti (giudizio abbreviato, applicazione della pena su richiesta delle parti, giudizio direttissimo, giudizio immediato e procedimento per decreto).
Si deve ritenere, inoltre, che l'indeducibilità dei costi riconducibili al reato permane anche durante il periodo di sospensione condizionale dell'esecuzione della pena, disposta dal giudice ai sensi degli articoli 163 e seguenti del c.p.p., e fino all'eventuale estinzione del reato. Il regime di indeducibilità disposto dalla norma in esame, infatti, non rientra tra le pene accessorie indicate dall'art. 19 del codice penale, alle quali ordinariamente si estende la sospensione condizionale.
Come espressamente previsto dalla norma, rimangono deducibili i costi sostenuti per l'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti, quali, ad esempio, le spese necessarie per l'assistenza legale in tutte le fasi del procedimento e del processo penale.
Per quanto riguarda, inoltre, le ipotesi di illeciti civili o amministrativi, la deducibilità dei relativi costi continua ad essere assoggettata alle ordinarie regole del TUIR.
La deducibilità dei costi da attività illecite va tenuta opportunamente distinta dalla pretesa deducibilità delle eventuali sanzioni pecuniarie comminate in conseguenza di tali comportamenti illeciti, in ordine alla quale la norma in esame non produce alcun effetto.
Riguardo al trattamento tributario delle sanzioni, in particolare di quelle comminate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, le c.d. sanzioni antitrust, si ricorda che l'Amministrazione finanziaria ha già affermato la loro indeducibilità con la circolare 98/E del 17 maggio 2000, paragrafo 9.2.6, ritenendo che si tratti di oneri non inerenti all'attività di impresa, ed ha ribadito tale posizione con la risoluzione 89 del 12 giugno 2001 (quest'ultima richiamata nella circolare 55/E del 20 giugno 2002, par. 5).
In linea generale, le sanzioni mancano di qualsiasi nesso funzionale con l'attività imprenditoriale ed anzi, in quanto irrogate da un organo estraneo all'impresa, rispondono per definizione ad una finalità extraimprenditoriale, quella repressiva e preventiva del comportamento illecito.
La rilevanza fiscale dei proventi illeciti e la conseguente deducibilità dei correlati costi di origine illecita (eccezion fatta, per quanto detto, per i costi riconducibili ad illeciti penalmente rilevanti), dunque, non può condurre ad affermare la deducibilità anche degli oneri sostenuti a titolo di sanzione amministrativa.
Ciò in quanto le sanzioni:
- in primo luogo, costituiscono non costi di origine illecita, bensì il frutto della reazione dell'ordinamento, fondata sulla legge, ad un comportamento illecito;
- in secondo luogo, non possono essere considerate costi finalizzati alla produzione di quei proventi.
Occorre distinguere, in altri termini, tra le spese sostenute per porre in essere l'attività e le spese sostenute a causa ed in conseguenza dell'illiceità dell'attività.
In relazione alle prime, pertanto, se l'attività costituisce una fattispecie penalmente rilevante, la deducibilità è espressamente esclusa dall'art. 2, comma 8, della finanziaria per il 2003, mentre nelle ipotesi di illeciti civili o amministrativi la deducibilità rientra nell'ordinaria determinazione del reddito ai sensi dell'art. 109 del TUIR.
Con specifico riferimento alle sanzioni derivanti dal compimento di attività illecite, essendo le stesse la conseguenza del comportamento illecito dell'imprenditore, non è possibile considerarle quali costi inerenti ai ricavi conseguiti. Non è configurabile, infatti, neppure in via indiretta, alcun rapporto funzionale tra il costo stesso e i ricavi realizzati. Tali costi restano, pertanto, indeducibili anche con riferimento ai periodi d'imposta precedenti a quello in corso al 1 gennaio 2003, dal quale spiega effetti la previsione contenuta nella norma in esame.
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