Istanza di Interpello - Art. 11, legge 27-7-2000, n. 212. XX
Risoluzione Agenzia Entrate n. 17 del 27.01.2006
Con l'interpello specificato in oggetto, concernente l'interpretazione dell'art. 73, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986, è stato esposto il seguente
QUESITO
La società istante è una limited company di diritto irlandese che gestisce un Common Contractual Fund (di seguito CCF), rientrante nella categoria degli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari di tipo aperto, di diritto irlandese, conforme alle direttive comunitarie in materia di risparmio, il quale effettua - tra l'altro - investimenti in azioni di società di diritto italiano. Piu' in particolare, il CCF è un fondo d'investimento senza personalità giuridica, partecipato esclusivamente da fondi pensione non residenti né in Italia né in Irlanda. La costituzione del CCF, quale veicolo per effettuare gli investimenti, risponde all'esigenza di ridurre i costi e consentire la diversificazione degli stessi, rispetto all'ipotesi in cui tali investimenti siano effettuati direttamente dai fondi pensione.
Viene precisato, al riguardo, che i sottoscrittori del CCF attualmente investono direttamente in azioni di società di diritto italiano.
L'interpellante fa presente che i redditi percepiti dal CCF, cui, come nella fattispecie, partecipano solo fondi esteri, non sono soggetti in Irlanda ad alcuna imposta sui redditi.
La società istante chiede di conoscere quale sia il trattamento tributario, con riferimento sia alla tassazione in Italia sia all'applicazione dei trattati contro le doppie imposizioni, relativo ai dividendi distribuiti da una società italiana al suddetto CCF.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
A parere dell'istante, il CCF è soggetto passivo IRES ai sensi dell'art. 73, comma 1, lettera d), del TUIR.
Trattandosi di un ente straniero privo di stabile organizzazione in Italia, esso dovrebbe scontare, sui dividendi provenienti da società italiane, una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 27%, applicata da parte della stessa società che li eroga (art. 27, comma 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600).
Qualora i titoli siano immessi nel sistema di deposito accentrato presso la Monte Titoli S.p.A., invece, si dovrebbe applicare, al posto della citata ritenuta, un'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, secondo le modalità precisate nell'art. 27-ter del citato D.P.R. 600/1973.
L'istante rileva che, ai sensi dell'art. 3 della Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l'Italia e l'Irlanda l'11 giugno 1971 e ratificata con Legge 9 ottobre 1974, n. 583, il mancato assoggettamento del CCF alle imposte sui redditi in Irlanda, comporta l'inapplicabilità della Convenzione stessa ai redditi derivanti dagli investimenti effettuati in Italia.
Per contro, l'interpellante ritiene che ai dividendi in uscita dall'Italia sia applicabile - di volta in volta - la Convenzione contro le doppie imposizioni intercorrente tra l'Italia e lo Stato presso cui risiede fiscalmente il fondo pensione che partecipa al CCF. La società istante giunge a tale conclusione ritenendo che il CCF, non essendo assoggettato alle imposte sui redditi vigenti in Irlanda, possa essere considerato come soggetto fiscalmente trasparente e, in quanto tale, sottoposto allo stesso trattamento previsto dal Commentario OCSE per le società di persone qualificate come "trasparenti" nello Stato di residenza.
La soluzione prospettata sarebbe confortata dalla Circolare n. 306 del 23 dicembre 1996 che, nel fornire chiarimenti in merito alla non applicazione dell'imposta sostitutiva sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari percepiti da partnership, trust e fondi pensione residenti in Stati con i quali siano in vigore Convenzioni contro le doppie imposizioni, detta, a parere dell'istante, alcuni principi estensibili anche al CCF.
PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
Il Common Contractual Fund, figura giuridica propria del diritto irlandese, è considerato dalla legislazione di tale Stato quale veicolo fiscalmente trasparente. In base al Financial Act del 2003 e a quello del 2005, fino a quando ciascuna delle quote sia detenuta da un fondo pensione o da un fiduciario o da un custode di fondo pensione nessuna imposta sarà dovuta sui proventi e sui capital gains percepiti dal CCF. Il reddito derivante dagli investimenti sottostanti, infatti, sarà trattato come se fosse confluito direttamente in capo ai sottoscrittori - in proporzione al valore delle rispettive quote - senza "transitare" per il fondo.
L'assenza di soggettività passiva del CCF, in Irlanda, ai fini delle imposte sui redditi impedisce di considerare tale ente come "residente" in tale Paese e dunque di applicare la Convenzione tra l'Italia e l'Irlanda.
Come è noto, infatti, i trattati contro le doppie imposizioni intervengono a limitare i diritti impositivi degli Stati contraenti nei confronti delle persone che possono essere considerate "residenti" ai fini convenzionali, ossia delle persone che sono assoggettate in uno Stato ad un'obbligazione fiscale illimitata. I trattati, infatti, sono finalizzati ad evitare - come sottolinea l'OCSE - tanto la doppia imposizione quanto la doppia esenzione.
Si tratta di stabilire se il CCF possa essere assimilato ad una società di persone trasparente e, pertanto, possa essere applicata - di volta in volta - la Convenzione contro le doppie imposizioni intercorrente tra l'Italia e lo Stato presso cui risiede fiscalmente il fondo pensione che partecipa al CCF, come prevede per tale ipotesi il Commentario OCSE.
Al riguardo si osserva che il concetto di trasparenza fiscale vigente nel nostro ordinamento non coincide con quello adottato dal legislatore irlandese con riferimento al CCF. Nell'ordinamento fiscale italiano, infatti, la nozione di trasparenza implica che il reddito prodotto da un soggetto sia attribuito e tassato in capo ad un altro soggetto a prescindere dalla effettiva distribuzione dello stesso. Così il reddito delle società di persone - per legge - e quello delle società di capitali - per opzione - viene imputato a ciascun socio indipendentemente dalla percezione, in proporzione alla sua quota di partecipazione agli utili.
Presupposto indefettibile della trasparenza fiscale è, dunque, la tassazione del reddito prodotto dalla società trasparente in capo ai soci, a prescindere dalla distribuzione.
In tal senso si esprime anche il paragrafo 3 del Commentario all'art. 1 del Modello OCSE il quale chiarisce che, adottando la soluzione della trasparenza fiscale, "non si tiene conto dell'esistenza della società di persone ai fini dell'imposizione e ciascun socio è individualmente assoggettato ad imposta sulla rispettiva quota di reddito di tale società".
Tale principio trova una conferma nella disciplina dettata dallo stesso Commentario per superare il problema derivante dalla circostanza che, quando una società di persone è considerata fiscalmente trasparente in uno Stato, essa non può essere considerata residente in tale Stato ai fini convenzionali e, pertanto, non può invocare la Convenzione.
In tal caso il paragrafo 5 del Commentario all'art. 1 del Modello OCSE prevede che i soci della società trasparente dovrebbero essere legittimati ad invocare la Convenzione stipulata dagli Stati di cui sono residenti, in relazione alla quota di reddito a loro imputata, "a condizione che il reddito della società di persone sia a loro attribuito ai fini dell'imposizione nel loro Stato di residenza".
Tale presupposto deve ritenersi implicitamente richiamato dalla Circolare n. 306 del 1996 laddove chiarisce che "qualora le società di persone non siano assimilate alle società, secondo la normativa tributaria interna degli Stati contraenti, ai fini della Convenzione saranno considerati come residenti i singoli soci".
La disciplina del CCF, tuttavia, si differenzia da quella delle società di persone trasparenti poiché i redditi del fondo non vengono imputati e tassati in capo ai sottoscrittori, indipendentemente dalla percezione.
Ciononostante, sarebbe possibile applicare ai sottoscrittori del CCF il regime previsto dal Commentario OCSE per i soci delle società di persone trasparenti qualora il CCF si proponesse come mero "veicolo", attraverso cui i flussi di reddito conseguiti si limitano a "transitare" in favore dei sottoscrittori, in capo ai quali siano effettivamente sottoposti a tassazione in ciascun periodo d'imposta. Ciò richiederebbe quindi che lo statuto del fondo contemplasse l'obbligo di distribuire annualmente gli utili di gestione ai sottoscrittori e che lo Stato in cui essi risiedono li sottoponga a tassazione. Solo in tal modo verrebbe rispettato il principio sotteso alla nozione di trasparenza fiscale vigente nel nostro ordinamento e recepito nello stesso Commentario.
Nel caso in esame, tuttavia, non sembra ricorrere siffatta ipotesi, atteso che, come sostenuto dall'istante, i dividendi ricevuti dal CCF verranno pagati almeno una volta all'anno o, in alternativa, saranno erogati agli investitori al momento del rimborso delle quote o della liquidazione del CCF.
Tale circostanza impedisce di considerare il CCF come mero "veicolo", con la conseguenza che non sarà possibile applicare ai sottoscrittori la Convenzione vigente tra l'Italia ed il Paese in cui risiedono. Si renderanno in tal caso applicabili le norme interne che disciplinano i singoli elementi di reddito e, in particolare - per quanto concerne i dividendi - gli articoli 27, comma 3 e 27-ter del D.P.R. 600/1973. La presente risposta è resa dalla scrivente ai sensi dell'articolo 4, comma 1, ultimo periodo, del D.M. 26 aprile 2001, n. 209.
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