Circolare Agenzia Entrate n. 23 del 04.05.2010

Reddito d’impresa – Rettifica dell’imputazione temporale dei componenti negativi di reddito – Recupero delle maggiori imposte versate – Disposizioni sul contenzioso pendente
Circolare Agenzia Entrate n. 23 del 04.05.2010

INDICE

Premessa
1. Quadro normativo
2. Orientamenti giurisprudenziali
3. Considerazioni conclusive

Premessa
Alcune Direzioni regionali hanno chiesto chiarimenti in merito alla gestione delle controversie nelle quali siano in discussione rilievi fondati sul mancato rispetto del principio di competenza nell’imputazione di componenti negativi di reddito da parte del contribuente.
Le controversie segnalate riguardano le ipotesi in cui l’ufficio accertatore abbia imputato per competenza il componente negativo di reddito ad un periodo d’imposta rispetto al quale il contribuente è decaduto dalla possibilità di emendare a proprio favore la dichiarazione già presentata, ovvero il caso in cui siano decaduti i termini per presentare istanza di rimborso della maggiore imposta versata.
In tale ipotesi il predetto componente negativo, la cui deduzione operata dal contribuente è stata disconosciuta dall’ufficio, non sarebbe più deducibile nel periodo d’imposta di effettiva competenza.

1. Quadro normativo
Per quanto concerne la possibilità per il contribuente di emendare a proprio favore le dichiarazioni di imposta, l’articolo 2, comma 8-bis del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322 dispone che “Le dichiarazioni dei redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare (…) non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo”.
In merito al rimborso di versamenti di imposte eccedenti quanto effettivamente dovuto, invece, l’articolo 38, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, prevede che “il soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare (…) istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento stesso, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell'obbligo di versamento”.
Infine, l’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 dispone che “Il ricorso avverso il rifiuto tacito della restituzione di cui all’art. 19, comma 1, lettera g), può essere proposto dopo il novantesimo giorno dalla domanda di restituzione presentata entro i termini previsti dalla ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto.”
Con riferimento al quadro normativo delineato e sulla base degli interventi di prassi dell’Amministrazione, nel caso in cui nella determinazione della base imponibile delle imposte sui redditi, l’ufficio accertatore abbia imputato per competenza un componente negativo di reddito ad un periodo d’imposta diverso da quello nel quale era stato dedotto dal contribuente, quest’ultimo potrebbe operare correttamente la deduzione:
- presentando una dichiarazione correttiva con esito a sé favorevole entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo a quello in cui la deduzione doveva essere operata;
- ove il predetto termine sia scaduto, presentando istanza di rimborso della maggiore imposta versata nel periodo di imposta nel quale non ha operato la deduzione entro il termine di quarantotto mesi dalla data del pagamento eseguito in assenza dei presupposti o dal termine per il pagamento del saldo di imposta;
- ricorrendo, entro il termine di prescrizione del diritto, avverso l’eventuale silenzio rifiuto dell’Amministrazione formatosi sull’istanza di rimborso presentata nel termine di cui sopra.

2. Orientamenti giurisprudenziali
E’ principio consolidato presso la giurisprudenza di legittimità che il contribuente non possa essere lasciato arbitro della scelta del periodo cui imputare i componenti negativi di reddito, stanti i principi contenuti nell’articolo 109 (già articolo 75) del Testo unico delle imposte sul reddito approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e gli innegabili riflessi che ciò comporterebbe sulla determinazione del reddito imponibile.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10981 del 13 maggio 2009, ha affermato che “in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 , sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, così da alterare il risultato della dichiarazione (…)” (si vedano sul punto anche le sentenze della Suprema Corte n. 7912 del 9 giugno 2000 e n. 16198 del 27 dicembre 2001).
La stessa Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6331 del 10 marzo 2008, ha inoltre specificato che “(…) la pratica conseguenza di una vietata (…) doppia imposizione, paventata dalla società ricorrente in rapporto alle circostanze del caso concreto, non risulta evento irrimediabilmente connesso all'applicazione del criterio sopra enunciato – ossia il criterio di competenza - (…), giacché, in base ai principi generali, può essere evitata (…) mediante l'esercizio da parte del contribuente - con istanza di rimborso e conseguente impugnazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 , del silenzio rifiuto su di esso eventualmente formatosi - dell'azione di restituzione della maggior imposta indebitamente corrisposta per la mancata esposizione nell'annualità di competenza dei costi negati in relazione a diversa imputazione temporale. Ciò, a decorrere dal perfezionamento del giudicato sulla legittimità del recupero dei costi in relazione all'annualità non di competenza, che, nella prospettiva di cui all'art. 2935 c.c. (…), segna - pur in presenza di termini per l'emendabilità della dichiarazione (cfr. il D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, ratione temporis peraltro inapplicabile alla fattispecie) - il momento in cui il diritto al rimborso può essere fatto valere”.
Più di recente, nella sentenza n. 16023 dell’8 luglio 2009, la Suprema Corte ha ulteriormente chiarito il principio sopra affermato, nel senso che “(…) sulla base del divieto di doppia imposizione e della consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia, la società potrà, dal momento del passaggio in giudicato della presente sentenza, presentare istanza di rimborso per recuperare la maggiore imposta indebitamente corrisposta e non potuta recuperare per non avere eseguito la corretta procedura di rimborso.”.

3. Considerazioni conclusive
In base ai consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità sopra richiamata, la deduzione - nel periodo di imposta di effettiva competenza - di costi oggetto di recupero per mancato rispetto del principio di competenza, può essere in ogni caso riconosciuta alla stregua delle seguenti considerazioni.
In applicazione del principio desumibile dalla richiamata giurisprudenza di legittimità, secondo cui nei casi di specie il diritto al rimborso è esercitatile soltanto dal giorno in cui lo stesso può essere fatto valere, è da ritenere che il diritto al rimborso della maggiore imposta versata con riguardo a un periodo d’imposta antecedente o successivo a quello oggetto di accertamento, decorre dalla data in cui la sentenza che ha affermato la legittimità del recupero del costo non di competenza è passata in giudicato, ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. Da tale data, infatti, si deve ritenere affermato irrevocabilmente anche il diritto del contribuente a dedurre nel periodo di imposta di effettiva competenza il componente negativo.
L’istanza di rimborso della maggiore imposta versata può essere presentata, ai sensi dell’articolo 21, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, entro due anni dal passaggio in giudicato della sentenza ovvero dalla data in cui è divenuta definitiva, anche ad altro titolo, la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica. Detta disposizione prevede che “La domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.”.
In nessun caso, ovviamente, potrà accogliersi l’istanza di rimborso del contribuente, qualunque sia la norma invocata (ex-articolo 38 del D.P.R. n. 602 del 73 oppure ex-articolo 8-bis del D.P.R. n. 322 del 1998 o, in alternativa, ex-articolo 21, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992), nel caso in cui la pretesa dell’Amministrazione finanziaria al recupero del costo oggetto di rettifica non si sia resa definitiva.
Avverso l’eventuale silenzio rifiuto dell’amministrazione è ammesso ricorso, ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992, nel termine di prescrizione ordinaria decennale.
Resta inteso che il diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata non comporta il venir meno o la rideterminazione delle sanzioni originariamente irrogate per effetto del disconoscimento del costo non di competenza, né degli interessi dovuti.
Se, infatti, il diritto al rimborso è diretta conseguenza del riconoscimento da parte del giudice della legittimità dell’operato dell’ufficio accertatore (in applicazione di un principio ritenuto inderogabile), è fatta salva l’applicazione dell’articolo 1 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, in tema di sanzioni applicabili in caso di violazioni relative alla dichiarazione delle imposte dirette.
Resta inteso che la presente direttiva, così come la stessa giurisprudenza di legittimità richiamata a supporto, si riferisce esclusivamente alla fattispecie esaminata, caratterizzata dal disconoscimento, in sede di accertamento resosi definitivo, di un costo ascrivibile alla competenza di un periodo d’imposta diverso da quello oggetto di accertamento, e che la stessa non ha implicazioni sulla disciplina generale dei rimborsi.
Alla luce delle considerazioni esposte, si chiede alle strutture territoriali di riesaminare le controversie pendenti e di abbandonare – con le modalità di rito, tenuto conto dello stato e del grado di giudizio – le posizioni volte a denegare il rimborso relativamente alle fattispecie sopra evidenziate, sempre che non siano sostenibili altre questioni.
Nel chiedere che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere, occorre prendere motivatamente posizione anche sulle spese di giudizio fornendo al giudice elementi che possano giustificarne la compensazione.

Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dagli uffici.
_______________________________
1: Si veda al riguardo anche la risoluzione n. 459/E del 2 dicembre 2008, che ha sostanzialmente ribadito l’interpretazione già fornita con la risoluzione 14 febbraio 2007, n. 24/E e con la circolare 25 gennaio 2002, n. 6/E.

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