Gestione degli interpelli che involgono anche questioni tecniche di competenza di altre Amministrazioni e determinazione dei termini per l'effettuazione dei controlli sui crediti agevolativi (o su taluni crediti o sul credito ricerca e sviluppo)
Sommario
Premessa
Premessa
Sono state avanzate da più parti richieste di chiarimento in ordine alle attività svolte dall'Agenzia delle entrate in relazione a fattispecie che implicano il previo coordinamento con enti o amministrazioni il cui parere tecnico costituisce il presupposto ineludibile per l'applicabilità di una determinata disciplina fiscale.
Tali chiarimenti riguardano, più nello specifico, l'istituto dell'interpello del contribuente nelle ipotesi di istanze finalizzate a verificare la spettanza dei benefici fiscali connessa all'applicazione di disposizioni agevolative in relazione alle quali si rende necessario acquisire il preventivo parere tecnico di altre amministrazioni o enti, con specifico riferimento a profili che implicano competenze tecniche non fiscali.
In relazione a tale aspetto, è necessario fare riferimento tanto all'istituto dell'interpello di cui all'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante lo Statuto dei diritti del contribuente (d'ora in avanti Statuto), quanto a quello dell'interpello di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 147 (interpello sui nuovi investimenti) ove (singolarmente o in seno al complessivo Piano d'investimento oggetto dell'istanza) il contribuente sollevi un tema connesso alla spettanza di una misura agevolativa fiscale riconosciuta solitamente nella forma del credito d'imposta.
Si tratta, in particolare, di istanze aventi ad oggetto fattispecie di rilevanza pluridisciplinare, la cui trattazione, con riferimento ai profili extra tributari, è rimessa, in tutto o in parte, ad altre Amministrazioni dello Stato (o, comunque, a soggetti differenti dall'Agenzia delle Entrate) istituzionalmente titolari di competenze in tema di interpretazione ed applicazione della disciplina "presupposta", indispensabili per la definizione dell'ambito oggettivo di applicazione del beneficio fiscale.
Le istanze sottoposte all'attenzione della scrivente riguardano in misura prevalente la definizione delle attività ammissibili all'agevolazione fiscale e la riconducibilità di quelle prospettate con l'interpello tra quelle di:
- ricerca e sviluppo, di cui all'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, e successive modifiche e integrazioni;
- ricerca, sviluppo, innovazione e design di cui all'articolo 1, commi da 198 a 209, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020).
Tenuto conto, altresì, delle numerose richieste pervenute in ordine alle attività di controllo ed eventuale recupero del credito d'imposta ricerca e sviluppo di cui al citato articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, con particolare riguardo alla individuazione del termine di decadenza dell'attività di accertamento, la presente circolare fornisce altresì alcune specifiche indicazioni al riguardo.
2 Istanze di interpello aventi ad oggetto fattispecie di rilevanza pluridisciplinare
In relazione alla riconducibilità delle fattispecie descritte nelle istanze d'interpello ad una (o più) delle attività ammissibili alla disciplina di cui all'articolo 3, decreto legge 23 dicembre 2013, n. 145, nella versione vigente fino al periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2019, come ulteriormente dettagliata dalle disposizioni del Decreto 27 maggio 2015 del Ministero dell'Economia e delle Finanze (di seguito, decreto attuativo), con la circolare dell'Agenzia delle Entrate del 16 marzo 2016, n. 5/E è stato precisato che le indagini riguardanti la effettiva riconducibilità di specifiche attività aziendali (ad esempio: sviluppo di una data molecola da parte di un'azienda nel settore chimico-farmaceutico) tra quelle accreditabili, analiticamente elencate dalle predette norme, comportano accertamenti di natura tecnica che involgono l'esclusiva competenza del Ministero dello Sviluppo economico (MISE).
Al riguardo, al fine di superare probabili incertezze interpretative generate dalla novella normativa, in sede di prima illustrazione della stessa con la circolare n. 5 del 2016 è stato previsto che a seguito della presentazione di un'istanza di interpello ai sensi dell'articolo 11 dello Statuto sarebbe stata la medesima Agenzia delle entrate ad acquisire il preliminare parere tecnico del competente Ministero.
Con la successiva circolare 27 aprile 2017, n. 13/E, anch'essa avente ad oggetto chiarimenti in merito alla disciplina rilevante ai fini del riconoscimento del predetto credito d'imposta, è stato ulteriormente puntualizzato che nei casi di incertezze riguardanti esclusivamente l'ambito oggettivo di applicazione dell'agevolazione e la riconducibilità delle attività oggetto dell'istanza tra quelle eleggibili al credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo, il soggetto interessato avrebbe potuto acquisire autonomamente il parere tecnico del MISE limitandosi a conservarlo, senza dover presentare a tal fine un'istanza di interpello all'Agenzia delle entrate.
Ciò premesso, con riferimento ai chiarimenti resi a proposito delle istanze relative al credito d'imposta in esame, giova rilevare che l'articolo 11, comma 1, dello Statuto, anche nella versione successiva alle modifiche apportate all'istituto dell'interpello dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, prevede letteralmente che «Il contribuente può interpellare l'amministrazione per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente a [...] l'applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tali disposizioni e la corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie applicabili alle medesime, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza [...]».
In sede di commento alle novità introdotte in relazione alla disciplina de qua, con riferimento alle istanze di interpello che implicano l'espletamento di attività di natura tecnica non di competenza dell'amministrazione finanziaria quale presupposto per l'applicazione delle norme fiscali oggetto di richiesta di chiarimento, con la circolare 1° aprile 2016 n. 9/E sono state fornite, a regime, puntuali indicazioni discordanti da quelle contenute nelle citate Circolari 5/E del 2016 e 13/E del 2017 sopra illustrate.
Con la circolare n. 9 del 2016, al fine di definire con maggiore puntualità l'ambito applicativo della nuova tipologia di interpello avente ad oggetto la qualificazione ai fini fiscali di una determinata fattispecie (cd. interpello qualificatorio) - introdotto accanto a quello interpretativo puro, di cui condivide la portata generale e la riferibilità, in astratto, a qualsiasi fattispecie - è stata richiamata la relazione illustrativa al decreto delegato n. 156 del 2015 di riordino della materia, nella quale si legge, tra l'altro, che «l'interpello qualificatorio, al pari dell'interpello ordinario, non può comunque avere ad oggetto accertamenti di tipo tecnico. Non potrà quindi correttamente qualificarsi istanza di interpello quella tesa ad ottenere accertamenti di fatto (ad esempio, le operazioni di classamento, di calcolo della consistenza e l'estimo catastale ovvero l'accertamento della natura illecita di un provento ai fini dell'applicazione della relativa disciplina) esperibili esclusivamente nelle sedi proprie».
La circolare n. 9/E del 2016, pertanto, assumendo a riferimento la predetta relazione illustrativa ha illustrato la generale volontà del legislatore di escludere dall'area dell'interpello tutte quelle ipotesi che, coerentemente alla loro natura, alle finalità dell'istituto ed alle regole istruttorie di lavorazione delle istanze, sono caratterizzate dalla necessità di espletare attività istituzionalmente di competenza di altre amministrazioni, enti o soggetti diversi dall'Agenzia delle Entrate che presuppongono specifiche competenze tecniche non di carattere fiscale (cd. accertamenti di tipo tecnico cfr. ipotesi sub b), paragrafo 1.1).
Tuttavia, lo stesso documento di prassi, proseguendo nella illustrazione della disciplina dell'interpello qualificatorio, ha comunque fatto salva la possibilità di raggiungere con gli interlocutori istituzionali, competenti ratione materiae, la possibilità di concludere specifici accordi di collaborazione alla luce dei quali, in caso di presentazione di istanze di interpello che presuppongano un accertamento tecnico nel senso sopra illustrato, è l'Agenzia ad attivarsi, al posto del contribuente, per ottenere il preliminare parere tecnico.
Proprio in relazione alla possibilità di qualificare una determinata attività di ricerca e sviluppo come agevolabile ai sensi del citato articolo 3 del decretolegge 23 dicembre 2013, n. 145, nel medesimo documento di prassi è stato espressamente ribadito il passaggio interpretativo contenuto nella circolare 5/E del 2016, sopra riportato, impegnando in tal modo l'amministrazione finanziaria, ai fini dell'istruttoria delle suddette istanze pluridisciplinari, a provvedere alla acquisizione di ogni elemento tecnico utile al caso attraverso il confronto diretto col MISE.
Ciò premesso, tenuto conto del consolidarsi medio tempore di una copiosa prassi in materia che offre oggi importanti strumenti di orientamento nella applicazione della disciplina agevolativa, nella prospettiva di agevolare la gestione comune delle questioni di rilevanza pluridisciplinare e consentire che le rispettive attività (interpretative tributarie e tecniche) si svolgano nelle forme, nei tempi e nei modi propri di ciascuna di esse, d'intesa col Ministero dello Sviluppo Economico, si ritiene necessario rimodulare, come di seguito descritto, le modalità di gestione di tali istanze di interpello, superando al riguardo l'impostazione descritta nella circolare n. 5/E del 2016 ed espressamente non superata dalle diverse indicazioni della successiva circolare n. 9/E.
2.1 Gestione delle istanze che presuppongono l'espletamento di accertamento tecnico
Alla luce delle considerazioni di cui sopra, in un'ottica finalizzata alla gestione efficiente, efficace ed economica delle istanze di interpello aventi ad oggetto esclusivamente la riconducibilità di una determinata attività all'ambito applicativo della disciplina agevolativa, configurando, nella sostanza, una richiesta di un parere tecnico nell'accezione sopra descritta, sono escluse dall'area di applicazione dell'interpello, in quanto l'istruttoria richiederebbe specifiche competenze tecniche non di carattere fiscale che rientrano nell'ambito operativo di altre amministrazioni, trovando, quindi, applicazione il chiarimento di portata generale contenuto nella citata circolare n. 9/E del 2016 (cfr. paragrafo 4.3.1).
Per quanto sopra rappresentato, nella fattispecie da ultimo individuata, gli Uffici comunicheranno ai contribuenti istanti che i quesiti posti non rientrano nell'ambito di applicazione dell'interpello di cui all'articolo 11, comma 1, lettera
a) della legge n. 212 del 2000.
Le istanze di interpelli che abbiano ad oggetto sia l'ammissibilità delle attività al beneficio, sia questioni di carattere fiscale sono oggetto di diversa valutazione a seconda che il contribuente
- alleghi il propedeutico parere del competente organo in ordine all'inquadramento tecnico dell'attività espletata;
- non alleghi alcun parere del competente organo in ordine all'inquadramento tecnico dell'attività espletata.
Nel primo caso l'istanza deve essere considerata - con riferimento al profilo in discussione - ammissibile e istruita secondo le ordinarie modalità operative indicate dall'articolo 11 dello Statuto.
Nella seconda ipotesi, stante l'assenza del parere tecnico, la risposta non potrà che avere ad oggetto soltanto l'esame del quesito di carattere fiscale per cui, in assenza di ulteriore vizi di inammissibilità dello stesso (quali ad esempio l'assenza di dubbio interpretativo), si procederà ad istruire la relativa risposta secondo le ordinarie modalità operative.
Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche nel caso di istanze aventi ad oggetto esclusivamentequestioni di carattere fiscale, fermo restando che in entrambe le ipotesi, in assenza di parere tecnico, la risposta fornita assumerà acriticamente gli elementi rappresentati dal contribuente in ordine ai profili di carattere tecnico (non fiscali).
Le considerazioni sopra esposte valgono anche in relazione all'istruttoria:
- delle istanze presentate dai soggetti che aderiscono al regime dell'adempimento collaborativo di cui al decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128;
- delle istanze di interpello sui nuovi investimenti di cui all'articolo 2 del citato d. lgs. n. 147 del 2015, ferme restando le peculiarità di tale ultimo istituto.
In particolare, in quest'ultimo caso, qualora in seno al Piano di investimenti che costituisce oggetto della suddetta istanza, l'investitore sollevi questioni che presuppongano l'accertamento della ammissibilità al beneficio fiscale di determinati atti o attività, l'istanza di interpello dovrà essere accompagnata dal parere rilasciato dalla diversa Autorità competente o, nei casi in cui l'agevolabilità non sia oggetto di dubbi da parte dell'investitore, come già rappresentato, la risposta sarà resa assumendo anche in tale ipotesi acriticamente gli elementi rappresentati dal contribuente in ordine ai profili di carattere tecnico (non fiscali).
2.2 Decorrenza degli effetti connessi ai chiarimenti resi con il presente documento
Le indicazioni contenute nel paragrafo precedente si renderanno applicabili alle istanze presentate a partire dalla data di pubblicazione del presente documento di prassi, dovendosi ritenere superati, al riguardo, i chiarimenti precedentemente forniti dalla scrivente[1]in relazione alla gestione delle istanze di interpello aventi ad oggetto il credito d'imposta per la ricerca e sviluppo di cui al citato articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145.
2.3 Ambito di applicazione (esempi)
Come accennato, le considerazioni illustrate in precedenza sono da intendersi riferite a tutte le istanze d'interpello in materia agevolativa che presuppongono per la loro corretta valutazione conoscenze di natura tecnica, giuridica e/o fattuale, non di competenza dell'Agenzia; pertanto, oltre alle istanze aventi ad oggetto il credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo di cui all'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9 di cui ai paragrafi precedenti, i chiarimenti forniti con il presente documento rilevano anche per:
- il credito di imposta ricerca, sviluppo, innovazione e design di cui all'articolo 1, commi 198 - 208, della legge di bilancio 2020;
- il credito d'imposta per investimenti in beni strumentali materiali tecnologicamente avanzati (allegato A, legge 11 dicembre 2016, n. 232) e in beni strumentali immateriali funzionali ai processi di trasformazione 4.0 (allegato B, legge 11 dicembre 2016, n. 232, come integrato dall'articolo 1, comma 32, della legge 27 dicembre 2017, n. 205), come novellati dai commi da 185 a 197 della Legge n. 160 del 2019 (di seguito, legge di bilancio 2020);
- il credito d'imposta formazione 4.0, di cui all'articolo 1, commi da 46 a 56, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, come da ultimo modificato dai commi 210-217 dell'articolo 1 della Legge di Bilancio 2020;
- il credito di imposta per gli investimenti nel mezzogiorno, di cui all'articolo 1, commi 98-108, della legge 28 dicembre 2015, n. 208;
- gli incentivi agli investimenti in start up innovative di cui all'articolo 29 del decreto legge 18 ottobre 2012, numero 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modifiche, anche se operano con strumenti diversi dal credito d'imposta;
- credito d'imposta per le attività di consulenza relative al processo di quotazione delle PMI, ai sensi dell'articolo 1, commi da 89 a 92, della legge 27 dicembre 2017, n. 205.
3 Termini per il controllo dei crediti di imposta ricerca e sviluppo
Come anticipato in premessa, sono giunte diverse richieste di chiarimento in ordine alle modalità ed ai tempi per l'esercizio delle attività di accertamento, in seno alle quali sono operati i controlli finalizzati a verificare la sussistenza delle condizioni di spettanza, tra l'altro, del credito d'imposta di cui dell'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (cd. credito d'imposta ricerca e sviluppo) e la corretta applicazione della relativa disciplina.
Al riguardo giova preliminarmente precisare che le disposizioni di attuazione della disciplina sono contenute nel Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 27 maggio 2015 - recante «Attuazione del credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo».
In particolare, nell'articolo 8 del citato decreto attuativo è disposto che «l'Agenzia delle entrate effettua controlli finalizzati a verificare la sussistenza delle condizioni di accesso al beneficio, la conformità delle attività e dei costi di ricerca e sviluppo effettuati a quanto previsto dal presente decreto» e «Qualora, nell'ambito delle attività di verifica e di controllo effettuate dall'Agenzia delle entrate, si rendano necessarie valutazioni di carattere tecnico in ordine all'ammissibilità di specifiche attività ovvero alla pertinenza e congruità dei costi sostenuti, la predetta Agenzia può richiedere al Ministero dello sviluppo economico di esprimere il proprio parere».
Con riferimento alle casistiche più ricorrenti di attività rappresentate dagli uffici dell'amministrazione finanziaria, giova ricordare che qualora a seguito dei summenzionati controlli sia accertato che le attività/spese sostenute non siano ammissibili al credito d'imposta ricerca e sviluppo si configura un'ipotesi di utilizzo di un credito «inesistente» per carenza totale o parziale del presupposto costitutivo ed il relativo atto di recupero dovrà essere notificato entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, non rilevando ai fini della violazione sopra richiamata la mera esposizione del credito in dichiarazione annuale.
Per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell'articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, infatti, l'articolo 27, comma 16, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, dispone che «[...] l'atto di cui all'articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato [...], deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo».
Così, ad esempio, qualora il controllo verta sull'esistenza del credito d'imposta maturato nel periodo d'imposta 2015, indicato nella dichiarazione presentata nel 2016 e utilizzato in compensazione nel corso del 2017, gli Uffici potranno procedere alle operazioni di verifica entro l'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, e, qualora riscontrino che il credito utilizzato è "inesistente" per mancanza dei presupposti costitutivi, dovranno notificare l'atto di recupero entro il 31 dicembre 2025.
Non è di ostacolo all'applicazione della suddetta norma la circostanza che in relazione a talune fattispecie potrebbe non essere stato richiesto, in quanto facoltativo, il parere tecnico al MISE. Ferma restando l'opportunità di attivare la suddetta richiesta nelle situazioni caratterizzate da un grado di tecnicismo elevato o dalla assoluta novità della questione riscontrata, gli Uffici, ricorrendone le condizioni, potranno procedere al recupero del credito d'imposta inesistente anche senza la previa acquisizione del parere tecnico del citato Ministero, laddove dovessero ritenere in base a proprie autonome valutazioni (tenuto conto altresì dei chiarimenti forniti sul tema nei documenti di prassi pubblicati o della assimilazione ad altre fattispecie già esaminate) che nella specifica fattispecie oggetto di controllo non ricorrano le condizioni di ammissibilità delle attività o delle spese al beneficio fiscale.
Nelle ipotesi di contestazione di crediti inesistenti trova applicazione la sanzione di cui all'articolo 13, comma 5, del decreto legislativo n. 471 del 1997 secondo cui «Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e all'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».
Fermo restando che per tale sanzione non è applicabile la definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, si rammenta che:
- il contribuente può beneficiare della riduzione delle sanzioni prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997 (cd. ravvedimento), anche successivamente alla constatazione della violazione, ma comunque prima che sia stato notificato l'atto di recupero;
- i competenti Uffici, in ragione delle «circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione», potranno applicare la predetta sanzione riducendo sino la stessa alla metà del minimo edittale, ai sensi del comma 4 all'articolo 7 del decreto legislativo n. 472 del 1997
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