Interpello ex articolo 11, comma 1, lettera a) legge 27 luglio 2000, n. 212 - Eredi del professionista.
Con l'interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente:
QUESITO
Il signor X (di seguito istante), in qualità di erede del professionista Y, deceduto nel mese di novembre 2018, espone il caso concreto e personale qui di seguito sinteticamente riportato, in merito agli obblighi ai fini dell'imposta sul valore aggiunto cui sono tenuti gli eredi del professionista medesimo.
In particolare, l'istante rappresenta che:
- negli anni passati il professionista defunto ha emesso fatture con IVA ad esigibilità differita, ai sensi dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, nei confronti della Pubblica amministrazione, fatture non ancora riscosse alla data del decesso (ed i cui tempi di riscossione non sono prevedibili e, certamente, saranno più lunghi dei sei mesi previsti dall'articolo 35-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 per chiudere la partita IVA del de cuius);
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- nel corso dell'anno 2018, sono state effettuate e concluse prestazioni professionali non ancora fatturate alla data del decesso. Si tratta di lavori eseguiti sempre nei confronti della PA per i quali non è ancora intervenuta la liberatoria da parte del committente per considerare la prestazione ultimata (ancorché nella sostanza terminata) e, quindi, fatturabile.
Si pone, dunque, il problema di come versare l'imposta non ancora incassata, nell'eventualità che si debba comunque procedere entro sei mesi dalla morte a chiudere la partita IVA, nonché se considerare le prestazioni non ancora fatturate comunque concluse e, quindi, rilevanti ai fini IVA, nonostante la mancanza di autorizzazione della PA ad emettere fattura.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In sintesi, l'istante ritiene che, nel rispetto della sentenza della Cassazione a sezioni unite n. 8059 del 21 aprile 2016, e nell'ottica di un trattamento uniforme delle due fattispecie prospettate, al fine di poter versare l'IVA sulle fatture con IVA differita non ancora incassate e sulle prestazioni non ancora fatturate, sia necessario derogare a quanto disposto dall'articolo 35-bisdel d.P.R. n. 633 del 1972, che obbliga a chiudere la partita IVA entro sei mesi dalla morte del contribuente e, quindi, che sia preferibile, per ragioni di ordine pratico, mantenerla aperta fino alla data di integrale riscossione dei crediti verso la PA, provvedendo, ove tale termine risultasse ultrannuale, anche a presentare la dichiarazione IVA dei periodi successivi alla morte ma antecedenti alla definitiva riscossione dei crediti.
Ove la soluzione non fosse corretta, viene chiesto di dare indicazioni in merito:
1) a quando diviene esigibile l'IVA sulle citate fatture;
2) a come provvedere al versamento dell'IVA se si dovesse, comunque, procedere alla chiusura della partita IVA ai sensi dell'articolo 35-bis del d.P.R. n. 633 del 1972.
PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
Il quesito prospettato dall'istante si inserisce nell'ambito di un tema complesso - quello della cessazione dell'attività professionale - che ha visto nel tempo diversi pronunciamenti sia da parte dell'amministrazione finanziaria che della giurisprudenza.
In linea generale, la cessazione dell'attività professionale, con conseguente estinzione della partita IVA, non può prescindere dalla conclusione di tutti gli adempimenti conseguenti alle operazioni attive e passive effettuate. Pertanto, il professionista che non svolge più l'attività professionale non può estinguere la partita IVA in presenza di corrispettivi per prestazioni rese in tale ambito ancora da fatturare nei confronti dei propri clienti. Al riguardo, questa Agenzia si è espressa con la circolare n. 11/E del 16 febbraio 2007 al punto 7.1, affermando che
"[...] l'attività del professionista non si può considerare cessata fino all'esaurimento di tutte le operazioni, ulteriori rispetto all'interruzione delle prestazioni professionali, dirette alla definizione dei rapporti giuridici pendenti, ed, in particolare, di quelli aventi ad oggetto crediti strettamente connessi alla fase di svolgimento dell'attività professionale".
Con la successiva risoluzione n. 232/E del 20 agosto 2009, è stato ulteriormente specificato che "La cessazione dell'attività per il professionista non coincide, pertanto, con il momento in cui egli si astiene dal porre in essere le prestazioni professionali, bensì con quello, successivo, in cui chiude i rapporti professionali, fatturando tutte le prestazioni svolte e dismettendo i beni strumentali. Fino al momento in cui il professionista, che non intenda anticipare la fatturazione rispetto al momento di incasso del corrispettivo, non realizza la riscossione dei crediti, la cui esazione sia ritenuta ragionevolmente possibile (perché, ad esempio, non è decorso il termine di prescrizione di cui all'art. 2956, comma 1, n. 2 del codice civile) l'attività professionale non può ritenersi cessata".
Ad analoghe conclusioni sono pervenute le sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 8059 del 21 aprile 2016. Nello specifico il Supremo collegio ha enunciato il seguente principio di diritto: "il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell'attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione"; e questo perché "[...] il fatto generatore del tributo IVA e, dunque, l'insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati [...] con la materiale esecuzione della prestazione, giacché, in doverosa aderenza alla disciplina Europea, la previsione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 3, va intesa nel senso che, con il conseguimento del compenso, coincide, non l'evento generatore del tributo, bensì, per esigenze di semplificazione funzionali alla riscossione, solo la sua condizione di esigibilità ed estremo limite temporale per l'adempimento dell'obbligo di fatturazione.".
Tanto precisato con riferimento al professionista che intende cessare la propria attività, la Corte prosegue affermando che "[...] non emergono, peraltro, ragioni logico-giuridiche ostative all'applicazione della soluzione indicata relativamente ai corrispettivi di prestazioni eseguite, nell'esercizio dell'attività economica di soggetto deceduto o di società estinta, incassati dagli eredi o dai soci".
Ne consegue che, i principi sopra richiamati e le indicazioni di cui ai richiamati documenti di prassi tornano applicabili anche agli eredi del professionista. Ciò significa che, in presenza di fatture da incassare o prestazioni da fatturare, gli eredi non possono chiudere la partita IVA del professionista defunto sino a quando non viene incassata l'ultima parcella.
Per quanto sopra si ritiene che la soluzione prospettata dall'istante sia condivisibile e, quindi, che al verificarsi delle condizioni dal medesimo indicate (fatture ad esigibilità differita da incassare oppure fatture da emettere) sia ammissibile una deroga a quanto stabilito dall'articolo 35-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 che dispone la chiusura della partita IVA del contribuente deceduto da parte degli eredi entro sei mesi dalla data della sua morte.
Si ritiene, altresì, che una lettura sistematica dell'articolo 35-bis del citato d.P.R., consenta di applicare anche alla figura del professionista quanto disposto dal comma 2, secondo cui "Resta ferma la disciplina stabilita dal presente decreto per le operazioni effettuate, anche ai fini della liquidazione dell'azienda, dagli eredi dell'imprenditore.".
Resta, peraltro, salva per l'istante la possibilità anticipare la fatturazione delle prestazioni rese dal de cuius e di chiudere la partita IVA, salvo, in tale evenienza, computare nell'ultima dichiarazione annuale IVA "anche le operazioni indicate nel quinto comma dell'articolo 6, per le quali non si è verificata l'esigibilità dell'imposta" (così l'articolo 35 comma 4 del decreto IVA), ossia anticipare l'esigibilità rispetto al momento dell'effettivo incasso.AteneoWeb s.r.l.
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