Mercoledì 15 luglio 2020

Impatto del Covid sui bilanci delle società di capitali: le stime della Fondazione nazionale commercialisti

a cura di: Dott. Gianmaria Vianova
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Impatto del Covid sui bilanci delle società di capitali: le stime della Fondazione nazionale commercialisti

Il coronavirus è costato 280 miliardi di fatturato alle società di capitali italiane nel primo semestre 2020. Questo il risultato della simulazione riportata in un documento di ricerca della Fondazione nazionale commercialisti e dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili pubblicato nel mese di luglio. Gli autori hanno infatti raccolto i dati diffusi dall'Istat sull'impatto del lockdown e li hanno incrociati con i dati di bilancio delle società di capitali estratte dalla banca dati Aida: in tale modo è stato possibile condurre simulazioni con l'obiettivo di "cogliere l'entità dell'impatto sul fatturato delle società di capitali nel primo semestre dell'anno". Gli autori precisano come si tratti di "simulazioni e non vere e proprie stime", stima che è stata "resa particolarmente difficile sia dalla natura straordinaria di un fenomeno senza precedenti e, in quanto tale, impossibile da osservare con i modelli previsivi tradizionali, sia perché i dati congiunturali arrivano sempre con un certo ritardo". L'analisi considera circa 830mila società che fatturano complessivamente circa 2.700 miliardi di euro, l'89% di tutte le imprese e l'85% di tutti gli operatori economici.

Al di là delle premesse, i risultati della simulazione non passano di certo inosservati agli occhi di un qualsiasi analista. Il documento stima che la perdita per il fatturato delle società di capitali ammonti a 280 miliardi di euro (-19,7%) per il primo semestre. Nel solo mese di aprile la perdita di fatturato, calcolata sulla base di simulazione, risulta pari a 93 miliardi di euro (-39,1%). Le stime del documento non riportano la collocazione geografica tra i fattori determinanti, nel senso che la crisi avrebbe colpito tutte le società di capitali indistintamente. Tuttavia, sarebbe il nord-est l'area più colpita, con 68,5 miliardi di euro di fatturato in meno nei primi sei mesi dell'anno (-21,3%), seguita dal Nord-Ovest con 118,5 miliardi di euro persi (-19,5%). Arriva poi il centro, con -62,4 miliardi di euro (-18,3%), quindi il meridione con -22,9 miliardi di euro (-21,1%) e infine le isole con -7,2 miliardi (-17,6%).

Secondo gli autori le differenze territoriali sono da imputare alle diverse strutture produttive, "soprattutto la diversa composizione del peso del fatturato proveniente dalle società industriali e del commercio che esprimono il peso maggiore in termini di fatturato delle società di capitali italiane e che risultano essere anche le attività più interessate dal lockdown". Nel documento vengono quindi riportate le dieci province più colpite in termini percentuali: al primo posto Potenza, con un -29,1%, quindi Arezzo con -27,2% e Fermo con -26,3%. Giù dal podio (negativo) Chieti con -25,8% e Prato con -25,3%.

Per quanto riguarda gli effetti derivanti dall'impatto sul fatturato medio delle imprese si stima che l'arrivo della fase 1, 2 e anche 3 abbia portato ad una notevole contrazione e deviazione dallo scenario base. Se infatti nella fase pre-Covid (1 gennaio-22 febbraio) il fatturato delle imprese cresceva secondo le ipotesi del 5,4% annuo, nella fase Covid (23 febbraio-21marzo) il ritmo medio sarebbe sceso a 4,2%. La fase 1, legata al lockdown più stringente, ha visto una contrazione del fatturato del 41,4% per i settori chiusi per decreto. Con la fase 2 (4 maggio-14 giugno) l'effetto ripartenza avrebbe portato questa riduzione al 6,9%, quindi nella fase 3 (15-30 giugno) la percentuale sarebbe scesa allo 0,9%.

AUTORE:

Dott. Gianmaria Vianova

Gianmaria Vianova, classe 1996, si è laureato in economia e management presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza nel 2018. Attualmente è iscritto al corso di laurea magistrale in Economia...
e Finanza presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca. Dal 2017 collabora con il quotidiano Libertà di Piacenza, occupandosi di temi economici e cronaca.
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    In particolare è prevista l’applicazione di una imposta sostitutiva dell’8% (10,5% se le società sono risultate NON operative nei tre esercizi precedenti) sulla eventuale plusvalenza risultante dalla differenza tra il valore normale, in ipotesi di assegnazione, o il prezzo di cessione, in ipotesi di cessione, e il costo fiscalmente riconosciuto dei beni assegnati/ceduti, con la particolarità che in caso di assegnazione il valore normale per i beni immobili può essere, alternativamente al valore normale ex art. 9 del TUIR, assunto pari al “valore catastale” applicando alla rendita catastale i moltiplicatori previsti ai fini dell’imposta di registro. In caso di cessione il corrispettivo, se inferiore al valore normale, determinato alternativamente ex art. 9 TUIR o in base al “valore catastale”, dovrà essere computato in misura non inferiore al valore normale stesso.

    Altro vantaggio dell’operazione consiste nel fatto che, in caso di applicazione di imposta di registro proporzionale le aliquote applicate siano ridotte della metà.

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