I prezzi dell'energia peggiorano il quadro generale e minano la sostenibilità dell'economia italiana. A dirlo sono le ultime analisi di Banca d'Italia e Istat, che rispettivamente hanno condotto una indagine e una simulazione relativamente all'impatto della crisi energetica sui listini e i margini delle imprese italiane.
Dall'analisi qualitativa condotta da Banca d'Italia tra il 25 agosto e il 15 settembre 2022 presso imprese italiane con almeno 50 addetti, emerge che nel terzo trimestre la quota di aziende che ritengono la congiuntura economia sia peggiorata è salita di ben 14 punti percentuali. La fetta di imprese ora rappresenta il 77,9% del totale, con un netto incremento rispetto al trimestre precedente. Inoltre "Secondo oltre il 90 per cento delle imprese, la probabilità di un miglioramento del quadro economico generale non supererebbe il 25 per cento (sarebbe nulla per circa il 60 per cento)". Una rilevazione che sottolinea come il peggioramento del quadro generale sia ormai stato assimilato dalle imprese nelle aspettative invernali.
Diversi i fattori in campo. Per il 31,2% delle imprese si sono accresciute le difficoltà legate al costo dell'energia. Questa quota era solo il 17,7% tre mesi prima. Sul tema dei costi vi è poi uno dei dati di per sé più "inquietanti" di questa fotografia di Palazzo Koch: le imprese devono ancora scaricare a valle gli aumenti di prezzo subiti nel corso del 2022. "Per effetto degli elevati costi energetici, oltre due terzi delle imprese prevedono di aumentare i propri prezzi di vendita nei prossimi tre mesi; il rialzo sarà marcato rispettivamente per il 26,5, il 14,9 e il 20,5 per cento delle imprese dell'industria in senso stretto, dei servizi e delle costruzioni".
Sempre per quanto concerne i costi dell'energia, Istat ha tracciato una stima dell'impatto degli aumenti sui margini delle aziende italiane. Da questa simulazione emerge che, applicando questi rincari ai bilanci relativi al 2019, "L'incremento dei prezzi dei beni energetici avrebbe determinato un Mol negativo per oltre 355mila imprese, pari all'8,2% del complesso del sistema produttivo; di queste, oltre 307mila nel comparto dei servizi (9,1%), 47.600 circa nell'industria (5,4%), per un totale di 3,4 milioni di addetti coinvolti (20,1%; oltre 2,5 milioni nei servizi, più di 854mila nell'industria). Non si tratterebbe, peraltro, di imprese di dimensioni trascurabili: nel 2019 tali unità impiegavano in media 17,9 e 8,3 addetti rispettivamente nell'industria e nei servizi, con dimensioni medie superiori di 3 e 2,4 volte alle rispettive medie di comparto".
Il dato è allarmante, visto che lo scenario di partenza di Istat è il 2019, che lo stesso Istituto sottolinea non essere stato colpito da pandemia, lockdown e conflitti geopolitici. "In alcuni dei settori industriali nei quali le spese energetiche pesano in misura più elevata sui costi intermedi, tali aumenti potrebbero rappresentare un serio rischio per la capacità operativa di oltre la metà delle imprese; un fenomeno che non rimarrebbe confinato alle classi delle micro e piccole imprese (rispettivamente 1-9 e 10-49 addetti)", si legge nella nota.
Al momento le statistiche non hanno ancora fotografato questo scenario recessivo, sebbene ormai le stime di crescita dei principali organi abbiano incluso un peggioramento del risultato per l'anno in corso e l'anno venturo: "Le revisioni dei conti nazionali annuali e trimestrali hanno confermato il profilo congiunturale del Pil per l'anno corrente: al moderato aumento congiunturale del primo trimestre (+0,1%) è seguita una crescita più marcata nei tre mesi successivi (+1,1%)".
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