I giudici della terza sezione penale hanno spiegato:
l'art. 167 all'art. 4 è evidente che laddove si parla di persona fisica, ci si intende riferire al soggetto privato in sé considerato, e non solo a quello che svolga un compito, per così dire, istituzionale, di depositario della tenuta di dati sensibili e delle loro modalità di utilizzazione all'esterno: una interpretazione siffatta finirebbe con l'esonerare in modo irragionevole dall'area penale tutti i soggetti privati, così permettendo quella massiccia diffusione di dati personali che il legislatore, invece, tende ad evitare.
Può quindi affermarsi senza tema di smentita che l'assoggettamento alla norma in tema di divieto di diffusione di dati sensibili riguardi tutti indistintamente i soggetti entrati in possesso di dati, i quali saranno tenuti a rispettare sacralmente la privacy di altri soggetti con i primi entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto trattamento di quei dati senza arbitrii o pericolose intrusioni.
Né la punibilità - in caso di indebita diffusione dei dati - può dirsi esclusa se il soggetto detentore del dato abbia ciò acquisito in via casuale, in quanto la norma non punisce di certo il recepimento del dato, quanto la sua indebita diffusione.
l'assoggettamento alla norma in tema di divieto di diffusione di dati sensibili, pertanto, riguarda indistintamente tutti i soggetti entrati in possesso di dati, i quali saranno tenuti a rispettare sacralmente la privacy di altri soggetti con i primi entrati in contatto, al fine di assicurare un corretto trattamento di quei dati senza arbitrii o pericolose intrusioni, indipendentemente dalla modalità in cui sono stati reperiti i dati.
La Corte di Cassazione, invero, confermando quanto statuito dal Giudice di secondo grado ha individuato proprio nella diffusione non consentita, specie perché preceduta da un intento ritorsivo, il comportamento che "colora" ancor meglio sia l'elemento soggettivo che quello oggettivo del reato.
Quanto all'elemento danno, è stato affermato come sia del tutto evidente che non si versa in quella ipotesi di "minimo vulnus all'identità personale del soggetto passivo ed alla sua privacy" in presenza del quale la condotta materiale di tipo diffusivo sarebbe scriminata (in termini Cass. sez 3, 28.05.2004 n. 30134, Barone, Rv. 229472), in quanto una diffusione ad ampio raggio, indipendentemente dal tempo più o meno breve di stazionamento del messaggio sulla chat line consente a chiunque di prendere cognizione di numeri telefonici riservati.
Quanto affermato dalla Corte comporta senza ombra di dubbio un'interpretazione, per certi versi, estensiva della normativa della privacy, in un'ottica di più ampia tutela del soggetto debole e leso, da una diffusione, contro la propria volontà, di un dato sensibile, quale il proprio numero di cellulare.
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