Il giudice delle leggi ha ritenuto che la presenza di diffuse e reiterate campagne di sensibilizzazione a favore della pratica delle vaccinazioni sia idonea a sviluppare nei cittadini un certo grado di "affidamento" nei confronti di quanto raccomandato dalle pubbliche autorità, e crei di conseguenza un obbligo per lo Stato di risarcire i danni causati dai vaccini stessi. Questo perché la sottoposizione, seppur volontaria, al vaccino da parte del singolo cittadino, corrisponde alla tutela della salute, ossia di un interesse non solo personale ma dell'intera collettività.
Per questo motivo, la Corte ritiene che "non vi è ragione di differenziare il caso in cui «il trattamento sanitario sia imposto per legge», da quello «in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorità, in vista della sua diffusione capillare nella società." Una tale distinzione, che negasse il diritto all'indennizzo in questo secondo caso, "riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale, un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza di minaccia di sanzione."
Di conseguenza, la Corte ha ritenuto ragionevole che, al verificarsi di complicanze di tipo permanente subite a causa di vaccinazioni raccomandate dalla pubblica autorità, debba essere lo Stato ad accollarsi l'onere del pregiudizio individuale, e non invece il singolo danneggiato il quale, per solidarietà verso i propri concittadini e nell'interesse del beneficio collettivo, abbia scelto di sottoporsi ad un vaccino facoltativo.
Recita così la sentenza: "In un contesto di irrinunciabile solidarietà, del resto, la misura indennitaria appare per se stessa destinata non tanto, come quella risarcitoria, a riparare un danno ingiusto, quanto piuttosto a compensare il sacrificio individuale ritenuto corrispondente a un vantaggio collettivo: sarebbe, infatti, irragionevole che la collettività possa, tramite gli organi competenti, imporre o anche solo sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute pubblica, senza che essa poi non debba reciprocamente rispondere delle conseguenze pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono uniformati."
di Anna Jennifer Christiansen
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