La natura del giudizio di ottemperanza, oggetto di studio in dottrina, è stata definita come estremamente "ambigua", in quanto si tratta dell'attività di un organo giurisdizionale, ma presenta una caratterizzazione innegabilmente "amministrativa".
Il solo criterio che distingue le funzioni svolte nell'esercizio dell'ottemperanza da quelle propriamente statali è quello della posizione formale dell'organo che pone in essere l'attività.
La qualificazione della natura del giudizio di ottemperanza non è tuttavia semplice, in quanto esso comporta un momento interpretativo - di rilevanza più o meno ampia - della sentenza da eseguire.
Nell'espletamento della funzione di adeguare la realtà al giudicato, che consente di configurare il giudizio di ottemperanza come giudizio "prevalentemente" di esecuzione, occorre infatti vedere necessariamente un "nucleo di cognizione", che consiste nell'interpretazione e precisazione del precetto contenuto nella sentenza.
I poteri del giudice sono teleologicamente collegati alla sentenza da eseguire, la sua attività non è libera, ma strumentalmente preordinata al raggiungimento di risultati coerenti e consequenziali alla sentenza cui occorre ottemperare; l'attività del giudice dell'ottemperanza è stata dunque definita formalmente (per il soggetto da cui promana) giurisdizionale, ma "oggettivamente" amministrativa.
Emerge pertanto l'ambiguità della natura del giudizio di ottemperanza, che deriva dalle sue funzioni del tutto peculiari, di giudizio sui generis, tra cognizione ed esecuzione: ha funzione di prosecuzione e completamento del giudizio (che si è concluso con la sentenza ottemperanda) e funzione di sostituzione all'Amministrazione (inadempiente).
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