La Cassazione è ormai chiara sul punto: per il servizio civile non è più richiesto il possesso della cittadinanza italiana e quindi la relativa domanda può essere inoltrata anche da cittadini stranieri. Si è così conclusa la vicenda che ha riguardato un ragazzo pakistano di 25 anni, da 15 in Italia, Paese in cui ha svolto tutto il suo percorso di studi e dove si è ormai integrato completamente.
Nonostante la vicenda nello specifico si sia conclusa con un nulla di fatto - la Cassazione ha infatti affermato la inammissibilità del ricorso per difetto di interesse (il bando per il servizio civile era ormai lontano e tutti coloro che erano in graduatoria avevano concluso il servizio), ha condotto all'elaborazione di un principio di diritto che permetterà ai cittadini stranieri di fare domanda.
In origine, infatti, i bandi per il servizio civile richiedevano la cittadinanza italiana, riproducendo quanto imposto dall'articolo 3, comma 1 del decreto legislativo 77/2002 che disciplina il servizio civile in generale. La natura evidentemente discriminatoria di questa previsione è stata il fondamento del ricorso presentato dall'ASGI - Associazione studi giuridici sull'immigrazione e l'APN - Avvocati per niente Onlus, che il Tribunale di Milano ha confermato, così come la Corte d'Appello di Milano in secondo grado.
Quest'ultima, in particolare, assumendo un approccio molto al passo coi tempi, ha ritenuto mutata la fisionomia del servizio civile, che non costituisce più semplicemente un'alternativa all'ormai abrogato obbligo di leva, bensì "un'attività avente natura solidaristica, di cooperazione internazionale, di protezione del patrimonio storico, culturale, ambientale ed artistico, di promozione della cultura e della pace tra i popoli". Si tratta quindi di una sorta di "collaborazione civica" promossa e organizzata dallo Stato al fine di concorrere al progresso materiale e spirituale della società, ai sensi dell'art. 4, comma 2 della Costituzione. La Corte evidenzia inoltre come sia ormai caduto quel legame tra la finalità del servizio civile e l'esclusione dallo stesso degli stranieri: i doveri di solidarietà che discendono dall'art. 2 della Costituzione riguardano tutti i componenti della società, in cui sono innegabilmente ricompresi tutti coloro che hanno la propria residenza nel nostro Paese, non soltanto chi è legato alle Istituzioni pubbliche in forza della cittadinanza. La questione, come si capisce, è di rilevanza tale da esser stata oggetto di una sentenza della Corte Costituzionale, che l'anno scorso (sentenza 119/2015) ha dichiarato illegittimo il requisito della cittadinanza italiana per il servizio civile.
Quindi, nonostante la sopravvenuta carenza di interesse sul ricorso del ragazzo pakistano nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto la tematica comunque molto rilevante. Essa, infatti, riguarda un aspetto decisivo della vita sociale di molti giovani, che attiene ai diritti fondamentali della persona umana e al suo rapporto con gli altri; pertanto la Corte ha ritenuto di esprimere un principio di diritto (sentenza n. 7951 del 20 aprile 2016).
Nell'esercitare la sua funzione di garanzia di interpretazione uniforme e certa delle leggi (cd. funzione nomofilattica), la Corte ha innanzitutto fatto chiarezza sul concetto di "difesa della Patria": "(tale concetto) evidenzia una significativa evoluzione, nel senso dell'apertura a molteplici valori costituzionali"; (...) non si risolve soltanto in attività finalizzate a contrastare o prevenire un'aggressione esterna, ma può comprendere anche attività di impegno sociale non armato. Accanto alla difesa militare, che è solo una delle forme di difesa della Patria, può dunque ben collocarsi un'altra forma di difesa, che si traduce nella prestazione di servizi rientranti nella solidarietà e nella cooperazione a livello nazionale ed internazionale".
Questo nuovo concetto di difesa impone quindi una lettura del servizio civile come espressione di solidarietà sociale, tale per cui "l'esclusione dei cittadini stranieri dalla possibilità di prestare il servizio civile nazionale, impedendo loro di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore del bene comune, comporta (...) un'ingiustificata limitazione al pieno sviluppo della persona e all'integrazione nella comunità di accoglienza". Infine, proprio per scongiurare il ripetersi di tali discriminazioni, la Cassazione puntualizza che l'apertura all'accesso al servizio civile è consentita a tutti i cittadini stranieri che risiedono regolarmente in Italia, senza possibilità di limitazioni ulteriori basate su interpretazioni analogiche della legge.
di Cristiana Olivieri, Consulente legale Aduc
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