La Commissione sosteneva, infatti, che la direttiva 98/59, il cui ambito di applicazione si estende a tutti i lavoratori senza eccezione, non risulta correttamente recepita dalla legge n. 223/1991, la quale ammette a beneficiare delle garanzie da essa previste unicamente gli operai, gli impiegati e i quadri, escludendo di fatto i dirigenti.
Chiamata a presentare le proprie osservazioni difensive, la Repubblica italiana affermava che la presenza di una normativa e di contratti collettivi riguardanti specificamente i dirigenti, che garantiscono a quest'ultimi una tutela di carattere economico in caso di licenziamento, rappresenti l'accoglimento da parte della Repubblica italiana della facoltà, concessa agli Stati membri dalla stessa direttiva nel suo art. 5, di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di favorire o consentire l'applicazione di disposizioni contrattuali più favorevoli ai lavoratori ai sensi dell'articolo 5 della direttiva 98/59 rispetto a quelle generali dettate dalla stessa direttiva.
Con sentenza pubblicata il 13 febbraio 2014, nel ricordare come la nozione comunitaria di "lavoratore" non possa essere definita mediante un rinvio alle legislazioni degli Stati membri, dovendosi intendere per "lavoratore" qualunque persona che fornisca, per un certo periodo di tempo, in favore di un altro soggetto e sotto la direzione di quest'ultimo, prestazioni a fronte di una retribuzione, la Corte di Giustizia ha affermato che lo spirito della direttiva 98/59 è quello di ravvicinare le disposizioni nazionali relative alla procedura da seguire in caso di licenziamenti collettivi. A tal fine, l'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 98/59 stabilisce l'obbligo, per il datore di lavoro, di procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori qualora preveda di effettuare licenziamenti collettivi. Tali consultazioni devono vertere, in particolare, sulla possibilità di evitare o di ridurre i licenziamenti collettivi previsti. La mancata attuazione della procedura di consultazione nei confronti di taluni lavoratori, i dirigenti, a prescindere peraltro dalle misure sociali di accompagnamento che siano previste in loro favore per attenuare le conseguenze di un licenziamento collettivo, priverebbe parzialmente la direttiva 98/59 del suo effetto utile. Da tali considerazioni, la Corte di Giustizia ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 1, paragrafi 1 e 2, della direttiva 98/59.
L'applicabilità della legge n. 223/91 anche ai dirigenti, però, comporterebbe notevoli profili di criticità anche per quanto riguarda il contributo di cassa integrazione guadagni (CIG) erogato ai lavoratori che vengono licenziati a seguito delle procedure previste da tale legge. Fino ad oggi, infatti, l'esclusione dei dirigenti da tale normativa comportava la loro esclusione da tale sussidio pubblico, è bene ricordare, è in parte finanziato dalle stesse aziende ammesse alla CIG. Ciò significherebbe che, qualora tutta la legge n. 223/91 risultasse applicabile anche ai dirigenti, questi avrebbero diritto anche alla CIG e le aziende si troverebbero, per l'effetto, a dover sostenere gli ulteriori costi per il finanziamento (parziale) di tale sussidio anche con riguardo a tali categorie di lavoratori.
In un periodo in cui si discute tanto di riduzione del costo del lavoro, i potenziali effetti della sentenza in oggetto sembrerebbero andare, invece, proprio nella direzione opposta, appesantendo ancor di più il "peso economico" per i datori di lavoro soprattutto con riguardo alle ipotesi di licenziamenti collettivi per crisi aziendale.
Una piena e totale applicabilità della legge n. 223/91 anche ai dirigenti potrebbe, invece, risultare possibile ove si addivenisse - in tempi celeri - ad una più organica riforma degli ammortizzatori sociali, volta, tra l'altro, a ridurre il loro impatto economico per le imprese.
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