E' quanto ha stabilito il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza del 2 maggio 2016, n. 102, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Modica.
La vicenda
La pronuncia traeva origine dal FATTO che il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Modica, riceveva ordinanza trasmessa dal Giudice dell'esecuzione del Tribunale di Modica, con cui il Magistrato evidenziava la possibile sussistenza di profili di illiceità disciplinare a carico dell'Avvocato TIZIO, con riferimento agli artt. 6 e 22 CDF.
Dall'esame della documentazione riveniente dalla Cancelleria delle Esecuzioni Immobiliari del Tribunale di Modica emergeva che, dopo aver richiesto ed ottenuto l'emissione di un decreto ingiuntivo nei confronti della Sig.ra MEVIA per la somma di euro ........., essendo rimasto impagato tale decreto ingiuntivo (non opposto dalla controparte), l'Avv. TIZIO aveva notificato alla Sig.ra MEVIA il relativo atto di precetto e fatto eseguire in danno della debitrice un pignoramento avente ad oggetto i 2/24 di quattro beni immobili, successivamente chiedendone la vendita ed avviando il relativo procedimento esecutivo.
Il Coa di Modica riteneva, quindi, di aprire il procedimento disciplinare a carico dell'avv. TIZIO, contestandogli il seguente capo d'incolpazione: violazione degli artt. 6 e 49 C.D.F., poiché, con condotta professionalmente sleale e scorretta, attraverso l'adozione di onerose e plurime iniziative giudiziali, avrebbe aggravato la situazione debitoria della controparte (Sig.ra MEVIA) nell'ambito di più giudizi promossi nell'interesse di una Società sua Assistita (l'Associazione agricola "XX in liquidazione").
All'esito del giudizio disciplinare di primo grado, il C.O.A. di Modica riteneva sussistente la violazione, da parte dell'incolpato, delle citate norme deontologiche, e gli irrogava la sanzione della censura.
Con ricorso del 2013 l'avv. TIZIO insorgeva avverso la decisione del COA affidando le sue censure a tre motivi di impugnazione.
I motivi di ricorso
Con il primo motivo, il ricorrente ha lamentato l'insussistenza e comunque la mancata integrazione - nel caso di specie - dell'illecito deontologico di cui all'art. 49 C.D.F. sostenendo come la via del pignoramento immobiliare fosse stata la più opportuna e la meno gravosa per la debitrice, poiché ogni diversa iniziativa volta al recupero del misero credito sarebbe naufragata ed avrebbe dunque determinato un aumento ulteriore del credito medesimo.
Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente ha lamentato l'insussistenza e comunque la mancata integrazione dell'illecito deontologico non avendo egli fatto ricorso a mezzi illeciti o anche solo irregolari per coltivare la propria strategia difensiva.
Con il terzo motivo di impugnazione, il ricorrente ha lamentato l'abnormità e comunque l'eccessivo rigore della sanzione disciplinare della censura.
La decisione
Il Consiglio Nazionale Forense, chiamato a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 102/2016 ha ritenuto i motivi infondati ed ha rigettato il ricorso.
Osserva l'Organo disciplinare di prime cure come, a seguito di apposita istanza avanzata dalla debitrice nell'ambito della procedura esecutiva avviata dall'Avv. TIZIO il pignoramento immobiliare veniva convertito dal Giudice dell'Esecuzione nella somma pari ad euro ............ (oltre accessori di legge) a fronte di un credito originario di euro ......... , con conseguente enorme aggravio di spese a carico della Sig.ra MEVIA.
Secondo il C.O.A. di Modica, se è vero che nel nostro ordinamento non esiste una soglia minima al di sotto della quale non sia possibile procedere al pignoramento immobiliare, l'ordinamento medesimo prevede strumenti alternativi a quello perseguito dall'Avv. TIZIO, che avrebbero ugualmente consentito di recuperare l'esigua somma dovuta dalla debitrice.
A ciò l'Organo territoriale aggiungeva che l'iniziativa assunta dall'incolpato comportava certamente un inutile e rilevante aggravio di spese a carico della debitrice, senza che ciò corrispondesse ad effettive ragioni di tutela della propria assistita.
Ritiene il C.N.F. che la motivazione è condivisibile.
Infatti, il ricorso all'istituto della conversione del pignoramento da parte della esponente segnala la sua volontà di adempimento, anche in presenza di un così considerevole aggravio di spese a suo danno.
E' noto, ricorda il C.N.F., il proprio orientamento in tema di interpretazione dell'art. 49 CDF laddove ha affermato che "le iniziative giudiziali (ivi compresa, estensivamente, la notificazione di un precetto) da proporre nei confronti della controparte devono corrispondere a effettive ragioni di tutela del proprio cliente, e non devono essere inutilmente vessatorie." (Cons. Naz. Forense 19-07-2013, n. 117).
Infime, la semplice considerazione in fatto che il debito finale della esponente, in origine di euro 40,38, sia lievitato ad oltre 2.600 euro tutti riconducibili a spese e onorari, esclude che l'intento dell'incolpato fosse quello di tutelare gli interessi del proprio cliente e fulmina di illiceità il comportamento denunziato.
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