Tutore e amministratore di sostegno
Seppur non espressamente previsto dalla legge, a tutti gli effetti, l'amministratore di sostegno è un pubblico ufficiale. Da questo punto di vista, le sentenze in materia (tra le ultime, Cass. Pen., Sez. VI, 12 novembre 2014, n. 50754) hanno, infatti, avvicinato la figura del tutore a quella dell'amministratore di sostegno, evidenziando che nelle norme introdotte dalla legge 6/2004 (in materia di amministrazione di sostegno) vi sono numerosi elementi che confermano tale circostanza:
In sostanza, dicono le sentenze, dal punto di vista formale e sostanziale, la disciplina che si ricava dal codice civile pone l'amministratore di sostegno sullo stesso piano del tutore con gli obblighi e le ricadute penali che la sua qualità di pubblico ufficiale comporta.
Più semplicemente, tutto questo significa che l'attività dell'amministratore deve essere svolta con particolare cura, sapendo che egli potrebbe incorrere in reati c.d. propri, ossia che possono commessi solo da chi ricopre un incarico di pubblico ufficiale. Ci riferiamo al peculato, all'abuso d'ufficio e al reato di falso.
Esaminiamoli meglio.
Il peculato
La possibilità che l'amministratore di sostegno si appropri indebitamente di somme di denaro appartenenti al beneficiario (tecnicamente si parla di peculato) è, senza alcun dubbio, una delle preoccupazioni principali che derivano dalla nomina di un amministratore di sostegno.
Proprio per questo motivo l'amministratore è tenuto a predisporre periodicamente il rendiconto, nel quale deve indicare e documentare le entrate e le uscite del beneficiario. In questo modo il Giudice Tutelare ha la possibilità di verificare l'attività dell'amministratore e se, del caso, chiedere chiarimenti o fornire indicazioni a riguardo.
L'abuso d'ufficio
Uno degli aspetti principali dell'amministrazione di sostegno è quello indicato nell'art. 410 c.c., che stabilisce che l'amministratore deve tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario e tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso.
Nel caso in cui, invece, l'amministratore agisca ignorando tale obbligo potrebbe incorrere nell'abuso d'ufficio, se con tale comportamento intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto. Nello svolgimento del proprio incarico egli, dunque, deve sempre rapportarsi con il beneficiario o, nei casi in cui ciò non sia possibile (ad esempio, per le condizioni di salute del beneficiario stesso), con il giudice tutelare, al fine di individuare la soluzione che si ritiene migliore nell'interesse della persona amministrata.
Il reato di falso
L'art. 479 c.p. punisce il pubblico ufficiale che nell'esercizio del suo incarico rende una falsa attestazione.
Nel caso dell'amministrazione di sostegno tale circostanza potrebbe verificarsi, ad esempio, qualora l'amministratore dichiarasse falsamente che il beneficiario si trova in condizioni di indigenza, per poter così beneficiare di determinati contributi economici.
Ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, e cioè la volontarietà e la consapevolezza della falsa attestazione. Tale delitto si verifica, dunque, non solo quando la falsità sia compiuta senza l'intenzione di nuocere ma anche quando la sua commissione sia accompagnata dalla convinzione di non produrre alcun danno.
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A sostegno delle tesi difensive sono citati numerosi e recenti apporti della giurisprudenza di legittimità e delle corti di merito.
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