Tra gli strumenti messi in atto dalla Fondazione, come supporti professionali alla gestione delle risorse umane, oltre all'intermediazione (meglio sarebbe dire collocamento privato) ed alla ricerca e selezione del personale, la ricollocazione, più conosciuta con il termine inglese di
outplacement, meno considerata all'inizio tra le attività specifiche, acquista un ruolo che si ripromette di diventare sempre più importante, anche e soprattutto in rapporto alle funzioni che il Consulente del Lavoro è sempre più frequentemente chiamato a svolgere a favore delle aziende, soprattutto se inquadrate in questo particolare momento sociale.
E' noto che
l'outplacement nasce e si sviluppa nei paesi di cultura anglosassone, particolarmente rivolto ai ruoli dirigenziali o comunque alle fasce caratterizzate da alte conoscenze tecniche; ha avuto maggiori difficoltà ad affermarsi nell'Europa continentale, dove però sta raggiungendo e consolidando alcune posizioni di rilievo, trova invece campo d'applicazione non ancora soddisfacente in Italia, dove dicono s'imbatta in un certo grado di impreparazione culturale. Questa è forse una delle probabili cause del mancato successo, però ritengo che sia giusto anche porre attenzione ad una caratterizzazione delle forze produttive di tipo di- verso, fatta di dimensioni medio-piccole e specializzazioni tecniche settoriali difficilmente intercambiabili. In più, talvolta ci si trova di fronte ad una pseudo-cultura del posto, cosa diversa dalla cultura del lavoro.
La crisi in corso ed il suo futuro può rivoluzionare e rivoluziona queste condizioni. Recentemente Giuseppe De Rita, richiamandosi a questa particolare caratterizzazione del tessuto economico italiano, in cui le grandi concentrazioni sono troppo deboli di fronte al panorama europeo e mondiale, scriveva (riassumo in due righe il suo pensiero) che le piccole e innumerevoli imprese che caratterizzano il nostro sistema usano la crisi per ristrutturarsi, facendo leva, come sempre nelle difficoltà, sulla silenziosa scelta di sopravvivere e di rilanciarsi e utilizzando in positivo i caratteri del nostro sviluppo molecolare e del nostro sistema così articolato e diffuso.
Forse è un punto di vista un po' ottimistico, ma quando non prevale il pessimismo, si potenziano anche gli strumenti che possano consentire un utilizzo circolare delle risorse umane, in grado di assicurare una buona percentuale di rioccupazione anche per quei lavoratori provenienti dai settori in crisi.
La riforma degli ammortizzatori sociali ed il potenziamento dei servizi per l'impiego attraverso lo sviluppo di percorsi di formazione volti al reinserimento lavorativo fanno parte di questa strategia, ma, senza il coinvolgimento attivo degli attori principali del processo, i lavoratori da una parte, le aziende dall'altra, rischiano di risolversi solo in una forma unilaterale di intervento pubblico.
Nel dibattito attuale si assiste perciò ad una forma di presa in carico di queste esigenze. Già il Libro Verde presentato dal governo nel luglio 2008 pone il problema di un "robusto welfare negoziale", concordato e magari gestito dai sindacati e dalle organizzazioni di lavoro, che agisca, tra l'altro anche in materia di collocamento, di ammortizzatori e di formazione. Nel frattempo anche le altre forze s'interrogano su come superare la contrapposizione; e la proposta per il conratto unico che il prof. Pietro Ichino studia e si avvia a formalizzare come proposta di legge contiene in sé tutti quegli elementi che, facendo leva sulla bilateralità, collega direttamente la riforma del contratto di lavoro all'attivazione di nuovi ammortizzatori sociali e ad attività di riqualificazione, prevedendo l'istituzione di un vero e proprio contratto di ricollocazione al lavoro.
Partendo perciò dalle necessità che emergono dalla crisi e da quelle in gran parte conseguenti della riqualificazione delle attività produttive nella loro dimensione media e medio-piccola, si può passare da un concetto di disoccupazione ad uno di flessibilità e da questa, largamente considerata come flessibilità imposta, passare ad una flessibilità naturale e spontanea, in diversi casi anche volontaria.
Mi vengono allora alla mente le parole che Valfrido Paoli scriveva su questa rivi- sta qualche anno fa, quando si era ancora nella fase di gestazione della Legge Biagi: il lavoratore in eccedenza non può essere considerato come un peso da avviare all'Ufficio di collocamento (sembra passato un secolo, ma allora si chiamava così), bensì una risorsa; in luogo degli interventi passivi, cig, prepensionamenti, mobilità, occorre impegnarsi in politiche attive; la soluzione degli esuberi non sta nel trasformare i lavoratori in pensionati, ma nella loro riqualificazione. Valfrido Paoli ci declinava allora
l'abc dell'
outplacement, quello che ora la crisi economica e sociale a cui stiamo assistendo, anzi di cui siamo anche attori e protagonisti, ci impone di riconsiderare come essenziale strumento di lavoro nella nostra professione. Oggi sappiamo che nelle più avanzate esperienze europee, l'accompagnamento alla ricerca di un nuovo lavoro costituisce un'attività estremamente importante tra quelle messe in opera dai servizi per l'impiego, pubblici e privati. Anzi tale funzione costituisce uno dei pilastri più significativi su cui poggia gran parte del sistema garantito di mobilità del lavoro, caratterizzato dal contemporaneo sviluppo degli strumenti tipici di un sistema di sicurezza avanzato.
Nelle riflessioni degli attori del processo, il Governo con il già citato Libro Verde, i sindacati e le associazioni datoriali, nonché nel dibattito degli operatori del diritto, grande importanza è data al ruolo che in questo contesto possono svolgere alcuni corpi intermedi, generalmente individuati negli enti bilaterali, per supportare l'adozione e la buona riuscita delle nuove politiche di welfare. L'outplacement si colloca a buon diritto tra queste, come strumento di accompagnamento agli ammortizzatori sociali, quando non si configura esso stesso come una vera e propria forma di ammortizzatore sociale, di cui sono manifestamente visibili la transitorietà e la finalizzazione.
In questa ottica la funzione del Consulente del Lavoro, in qualità di professionista specializzato nell'ampio settore delle risorse umane e della gestione delle stesse, diventa essenziale. E non tanto per gli interventi relativi e conseguenti alle grandi vertenze, per i quali, come dice Ichino, gli enti bilaterali o consortili investiti delle funzioni per il ricollocamento attingeranno utilmente al patrimonio di know-how accumulato dalle società specializzate nell'outplacement, quanto per tutte quelle attività minori in cui il Consulente del Lavoro è protagonista e spesso alter ego della proprietà o della direzione in tutte le problematiche legate alla gestione delle risorse umane e per le quali il Consulente riesce volta per volta ad individuare le soluzioni più adeguate e convenienti per tutte le parti in gioco. Funzione quest'ultima estremamente importante se si considera che un intervento personalizzato nelle due direzioni consente al lavoratore di riprogrammare il proprio futuro, evitando il trauma del licenziamento, tanto più grave quando ci si trova nelle piccole realtà senza significative ricadute all'esterno; e al datore di lavoro di offrire, sempre all'esterno, una buona immagine di se stesso, risparmiando sui costi effettivi, ma anche su quelli sociali e morali, tipici delle procedure di riduzione traumatica del personale.
Pubblicato sulla rivista 'Il consulente del lavoro' n.
31/2009.