Lunedì 24 settembre 2012

I matrimoni gay: lo stato dell'arte tra le sentenze della Consulta, della Cassazione e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

a cura di: Studio Legale Avv. Edoardo Ferraro
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I matrimoni gay: lo stato dell'arte tra le sentenze della Consulta, della Cassazione e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

Articolo pubblicato su www.ateneolex.it

Alla luce dei recenti dibattiti politici nel Partito Democratico (che nella propria Assemblea approvava un documento sulle "unioni di fatto", escludendo il voto su di un o.d.g. relativo al matrimonio omosessuale), nonché delle molteplici dichiarazioni rese da altri politici quali il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola da ormai molto tempo, ed alla luce dell'ultimo discorso del Papa Benedetto XVI ai partiti cattolici anche su tale argomento, sembra opportuno, per fare un po' di chiarezza sull'attuale contesto normativo, ricostruire le recenti tendenze giurisprudenziali in merito, nonché richiamare la normativa dell'Unione Europea oggi vigente, al fine di valutare eventuali problematiche e soluzioni in ordine a tali questioni.

Com'è noto, ad oggi, in Italia la normativa sul matrimonio prevede la differenza di sesso tra i nubendi quale requisito essenziale non solo per la validità, ma pure per la sua stessa esistenza (in tal senso si sono pronunciate sia la sentenza 138/2010 della Corte Costituzionale, che la sentenza n. 4184/2012 della Corte di Cassazione, che pure sono oggetto di dibattito in relazione alla possibilità di arrivare ad un riconoscimento del matrimonio omosessuale).
Proprio sul punto della differenza di sesso, non citata espressamente nella Costituzione Italiana come requisito per contrarre matrimonio, sono state sollevate rilevanti questioni di legittimità costituzionale dal Tribunale di Venezia ("in riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile, nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso"1) e dalla Corte d'Appello di Trento ("in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis cod. civ., nella parte in cui, complessivamente valutati, non consentono agli individui di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso"2).
Nella sostanza, gli organi di giustizia rimettenti rilevavano come la normativa Costituzionale non consentiva di individuare un limite letterale al matrimonio tra persone omosessuali, ma la stessa restava indiscutibilmente legata alla definizione del Codice Civile del 1942. Nonostante ciò, ritenevano essersi "verificata un'inarrestabile trasformazione della società e dei costumi che ha portato al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia tradizionale ed al contestuale spontaneo sorgere di forme diverse di convivenza che chiedono (talora a gran voce) di essere tutelate e disciplinate"3, tale per cui risultava necessario chiedersi se l'istituto del matrimonio non fosse da adeguarsi alla mutata realtà sociale. Ciò, in particolare, rispetto al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., in quanto il diritto di contrarre matrimonio deve essere considerato "un momento essenziale di espressione della dignità umana (garantito costituzionalmente dall'art. 2 Cost. e, a livello sopranazionale, dagli artt. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948, dagli artt. 8 e 12 CEDU e dagli artt. 7 e 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000), vi è da chiedersi se sia legittimo impedire quello tra omosessuali ovvero se, invece, esso debba essere garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o dalle condizioni personali, quali l'orientamento sessuale, con conseguente obbligo dello Stato di intervenire in caso di impedimenti all'esercizio di esso"4.
In relazioni alle predette questioni, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 138/2010 ha riunito i giudizi, dichiarando inammissibile, in riferimento agli articoli 2 e 117, primo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile, sollevata dal Tribunale di Venezia e dalla Corte di appello di Trento, e non fondata, in riferimento agli articoli 3 e 29, la questione di legittimità costituzionale degli articoli già indicati del codice.
Nello specifico, per quanto concerne l'art. 2 Cost., che garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali, la Corte esclude che tale tutela "possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. È sufficiente l'esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate"5. Sul punto, la Corte ritiene come spetti al legislatore individuare come dar forma alle tutele ed alle garanzie per le unioni omosessuali, restando semmai al giudice delle leggi il successivo controllo di ragionevolezza. Le ordinanze pertanto, sul punto, chiedevano una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata, e come tali sono state dichiarate inammissibili.
Per quanto riguarda l'art. 3 e l'art. 29 Cost., la pronuncia della Corte è stata per l'infondatezza della questione. Partendo dall'art. 29, il giudice delle leggi ha chiarito come la "società naturale" preesistente a cui la Costituzione fa riferimento sia "un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi (i costituenti) tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale"6, escludendo quindi le coppie omosessuali, e ciò in quanto, pur ritenendo che i principi costituzionali non possano né debbano ritenersi cristallizzati al momento dell'emanazione del precetto, neppure gli stessi possono essere modificati a tal punto da incidere su situazioni non prese in considerazione al tempo. E che a quel tempo la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali viene ulteriormente confermato dal fatto che "la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (art. 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. La giusta e doverosa tutela, garantita ai figli naturali, nulla toglie al rilievo costituzionale attribuito alla famiglia legittima ed alla (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall'unione omosessuale"7. Sulla scorta di tali riflessioni, la normativa del codice civile non può ritenersi illegittima alla luce dell'art. 3 Cost..
Per quanto concerne, poi, la questione di legittimità in relazione all'art. 117 Cost. (con riferimento alle normative internazionali), la Corte ha ribadito quanto già sostenuto in ordine all'art. 2, ritenendo che un'eventuale adeguamento della normativa italiana, pur non obbligatorio, resti comunque nella discrezionalità del legislatore.

Tale sentenza ha dato adito alle più diverse letture, sia politiche che giuridiche.
Se da un lato i fautori del mantrimonio gay concentrano la loro attenzione sulla possibilità per il legislatore di modificare la normativa vigente, coloro che ritengono non estendibile il matrimonio agli omosessuali si richiamano a quanto stabilito dalla Corte in ordine all'art. 3, ribadendo l'importanza della distinzione tra le situazioni trattate.

Se l'analisi della Consulta in relazione alla normativa italiana risulta più che esauriente, è anche vero che (ne è prova la stessa ordinanza di rimessione del Tribunale di Venezia che si rifà alla normativa UE ed alla giurisprudenza CGUE), non può essere questo l'unico parametro da valutare per aver una visione completa della situazione.
Sin dai primi anni ‘90, la legislazione comunitaria ha portato a numerosi atti a tutela di posizioni a rischio di discriminazione. La Commissione Europea ha emanato la Raccomandazione n. 92/131/CEE allo scopo di eliminare le discriminazioni dell'omosessualità nei posti di lavoro. Il Parlamento Europeo, nel 1994, ha approvato una risoluzione che impegnava gli Stati a garantire l'uguaglianza dei lavoratori omosessuali. Ben più importante, la Direttiva 2000/78/CEE indicava l'orientamento sessuale come categoria protetta dalla discriminazione. Successivamente, sia le istituzioni dell'UE che la CGUE hanno preso provvedimenti tali per cui il concetto di famiglia dovesse comprendere anche i membri omosessuali.
Se tale normativa ha assunto un'importanza fondamentale, va rilevato come la norma che merita un'attenzione particolare è certamente l'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, il quale stabilisce come "Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio"8.
Se tale articolo può sembrare semplice e non contenere riferimenti alla discriminazione, in realtà potrebbe costituire la chiave di volta per reggere l'introduzione nell'ordinamento italiano di una tutela per le coppie gay.

Proprio tale articolo, infatti, pur non tale da consentire un automatico recepimento all'interno dell'ordinamento del riconoscimento del matrimonio gay9, è stato alla base della sentenza n. 4184 del 2012, con la quale la Corte di Cassazione, pur riconoscendo che il matrimonio omosessuale è improduttivo di effetti nel nostro ordinamento, del pari ha riconosciuto come la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo abbia creato una giurisprudenza sempre più tendente al riconoscimento di diritti e tutele alle coppie gay, considerandole come unità familiari.
Alla luce di ciò, la Corte di Cassazione statuisce come "i componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se secondo la legislazione italiana non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all'estero, tuttavia - a prescindere dall'intervento del legislatore in materia - quali titolari del diritto alla vita famigliare e nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata".
Il criterio fondamentale, quindi, diventa quello dell'omogeneità delle situazioni giuridiche, che diventano meritevoli di analoga tutela proprio perché simili e rispondenti a medesime esigenze.

Orbene, alla luce della normativa europea e delle sentenze richiamate, appare evidente che il riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali non dovrà passare necessariamente per l'equiparazione con le coppie sposate, in quanto il diritto a sposarsi è altro e diverso rispetto al diritto a costituire una famiglia.
Pertanto, se nell'ordinamento italiano il rischio dell'incostituzionalità di una legge sui matrimoni gay resta evidente per le argomentazioni più sopra riportate (pur con le aperture della sentenza 138/2010), ciò non vuol dire che una forma di tutela non possa venir introdotta nel sistema normativo, anche grazie alla giurisprudenza, andando ad inserirsi in un vuoto legislativo tutt'oggi esistente.

Note
1 Tribunale di Venezia, ordinanza n. 177 del 3 aprile 2009..
2 Corte d'appello di Trento, ordinanza n. 248 del 29 luglio 2009..
3 Corte d'appello di Trento, ordinanza n. 248 del 29 luglio 2009.
4 Corte d'appello di Trento, ordinanza n. 248 del 29 luglio 2009..
5 Corte Costituzionale, sentenza n. 138 del 14 aprile 2010..
6 Corte Costituzionale, sentenza n. 138 del 14 aprile 2010.
7 Corte Costituzionale, sentenza n. 138 del 14 aprile 2010..
8 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (2007/C 303/01).
9 Cassazione Civile, Sez. I, sentenza n. 6441 del 17 marzo 2009.

AUTORE:
Autore AteneoWeb: Avv. Edoardo Ferraro

Avv. Edoardo Ferraro

Avvocato
Studio Legale Avv. Edoardo Ferraro
Laureato nel dicembre 2003 in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Padova, con tesi di diritto amministrativo sul tema “I poteri dell'Autorità Garante delle Comunicazioni”. Avvocato dal...
2008, esercita la professione presso il Foro di Padova, in proprio e in collaborazione con lo Studio Legale Bertolo, presso cui ha svolto la pratica professionale dal 2004.
Ha maturato esperienza nel campo del diritto civile (famiglia, contrattualistica, diritti reali), nel diritto penale e nel diritto fallimentare. Ha svolto attività di consulenza presso aziende commerciali, in ordine alla redazione di contratti ed alla risoluzione di controversie in via stragiudiziale.
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